Il 16 dicembre 2014 in Commissione parlamentare antimafia è andata in onda un’interessantissima audizione del capo della Procura della Repubblica di Napoli Giovanni Colangelo e dell’aggiunto Giuseppe Borrelli.
Un’audizione servita a ricostruire il volto della nuova camorra campana negli ultimi 15/20 anni che poi, dal punto di vista della potenza economica, altro non sarebbe che quella casalese. Ieri come oggi.
A questa interessantissima audizione dedicherò una serie di post, cominciando da questo nel quale dò conto proprio della veste imprenditorial/politica dei casalesi soprattutto attraverso il racconto del boss pentito Antonio Iovine che appare, agli occhi della procura, molto più affidabile dell’altro boss di camorra Giuseppe Setola.
Iovine racconta il passaggio della camorra da violenta a «imprenditrice» e delinea come, dal 2005, in poi la camorra abbia cercato di inserirsi in maniera sempre più attenta e oculata nel mondo e nel regime degli appalti e, in questo caso, oltre che nelle varie altre attività criminose, trattando direttamente con gli imprenditori e cercando di stabilire un rapporto con le imprese. Viene, quindi, dirà il procuratore capo Colangelo, a mutare il rapporto di pressione o di intimidazione nei confronti degli imprenditori e il camorrista diventa quasi un socio, un “collaterale” dell’imprenditore stesso.
In questa catena sarà poi l’imprenditore a doversi preoccupare di trovare i necessari riferimenti per conseguire l’oggetto finale delle sue aspettative, cioè l’appalto e poi il ritorno verso lo stesso camorrista. «Questo è il quadro così delineato – afferma Colangelo – che indubbiamente pone una prospettiva di verifica, sia per l’individuazione di tutti gli imprenditori che in qualche modo siano venuti a contatto con le organizzazioni camorristiche, sia per verificare quali siano le modalità con cui sono state conseguite le successive fasi degli appalti».
Nel prosieguo dell’audizione Colangelo tornerà ancora sull’analisi della camorra imprenditrice, che non si pone più in termini di violenza, per cui l’imprenditore è la vittima dell’estorsione. «Ecco perché, come diceva giustamente il presidente Bindi – afferma il capo della Procura di Napoli Colangelo – l’imprenditore a quel punto diventa concorrente o partecipe dell’associazione o, comunque, commette a sua volta dei reati che potrebbero essere gravati con l’articolo 7. Il contatto con l’amministratore o con il politico è intrattenuto dall’imprenditore, ma a questo punto si lega una comunanza di interessi: il camorrista riceve la tangente dall’imprenditore, l’imprenditore versa a sua volta una tangente a chi gli garantisce l’acquisizione dell’appalto e, nel frattempo, chi garantisce l’acquisizione dell’appalto si garantisce un appoggio e una sicurezza dalla base. Questa triangolazione delinea un rapporto nuovo su base non più violenta, ma fiduciaria. Sarà poi di volta in volta da verificare fino a qual punto vi sia stata una forma di totale e consapevole inserimento nell’associazione o di una conoscenza inerte, silente e compiaciuta. Si delineano i tre livelli, che vanno dalla corruzione alla collusione, alla cointeressenza addirittura».
Su questa catena corruttiva tornerò con il post di domani.
r.galullo@ilsole24ore.com
1 – to be continued