Gestione commissariale dei rifiuti in Calabria: in 13 anni un miliardo in pasto a ‘ndrangheta e politica

Dopo 13 anni dall’istituzione del Commissariato straordinario per l’emergenza rifiuti in Calabria, non è stato realizzato nessuno degli obiettivi previsti dai piani regionali per i rifiuti.

Più chiaro di così si muore e a certificarlo è stata la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta da Gaetano Pecorella che ieri ha votato all’unanimità la relazione conclusiva di oltre 200 pagine. Una valutazione che ricalca quella della Corte dei conti di Catanzaro che aveva parlato di “fallimento di un’esperienza che invece di produrre scelte rapide e definitive, introduce conflitti istituzionali devastanti e incomprensibili, tanto più che si è riscontrata la totale assenza di pubblicità, correttezza e trasparenza nell'attribuzione degli incarichi esterni”.

Non sono dunque bastati 5 Governatori e 6 commissari delegati per superare la frammentazione delle gestioni e giungere ad un ciclo integrato. L’obiettivo non era impossibile da realizzare, alla luce dei dati quantitativi che danno conto del fatto che la regione Calabria produce annualmente poco più di 915 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, a fronte di una popolazione di circa due milioni di abitanti.

I Carabinieri del Noe hanno rincarato la dose: «Lo stato emergenziale nella regione Calabria, come peraltro accertato anche in altre regioni del Sud, invece di rappresentare una concreta risorsa per la collettività – ingenti risorse, poteri straordinari celerità nelle procedure amministrative e tutti gli altri strumenti di cui dispone la struttura commissariale – ha rappresentato un sistema di potere, da tutelare e prorogare ad ogni costo e per più tempo possibile, basato sugli appalti, sulle consulenze esterne e su tutti quei meccanismi di potere che caratterizzano un istituto emergenziale che, in alcuni casi, ha creato più danni di quelli rinvenuti all'atto dell'insediamento o del subentro in luogo di alcune amministrazioni locali”. La questione, alla luce della saturazione della discarica lametina di Pianopoli, rischia di esplodere in piena estate.

I soldi a disposizione non mancavano: dal ’98 a oggi circa un miliardo ha certificato la Commissione parlamentare.

Tutto sembra essere stato studiato in questi anni per agevolare gli interessi della politica affaristica e delle cosche. A partire dalla suddivisione in tre macroaree del territorio. “Tale anomala suddivisione non risponde in alcun modo alle esigenze del territorio e a quelle di un virtuoso ciclo integrato dei rifiuti nella regione” scrive la Commissione parlamentare e le assurdità si sprecano: i rifiuti viaggiano da un capo all'altro della regione, prima e dopo il loro trattamento, dal momento che le discariche di servizio non sono localizzate nelle vicinanze degli impianti di trattamento, ma a centinaia di chilometri dagli stessi, per di più in un territorio montuoso e privo di adeguata viabilità, come quello calabrese.

LE SOCIETA’ MISTE E I LORO DOPPIONI

Altro problema è quello delle 14 società miste pubblico-private – una per ciascun sottoambito territoriale – costituite dal commissario delegato per realizzare la raccolta differenziata.

Nel mese di agosto del 2000, sono state espletate tutte le gare di appalto per l'aggiudicazione del 49% del capitale delle società miste (pari alla quota privata di ciascuna società mista) alle ditte risultate vincitrici e sono stati trasferiti ai comuni le quote pubbliche del 51% delle stesse società, consistenti in 80 miliardi di lire di forniture in attrezzature e mezzi di trasporto, peraltro, già concessi in comodato d'uso alle ditte private per l'avvio del servizio di raccolta.

Le gare sono state ridicole, come ha rilevato la stessa Autorità garante della concorrenza e del mercato: sono state svolta a metà, e cioè solo per selezionare imprese private locali, mentre la scelta più importante, quella cioè del socio industriale, è stata effettuata dallo stesso commissario delegato, senza gara alcuna, in deroga alla normativa vigente a livello comunitario e nazionale.

In molti comuni calabresi la situazione è ulteriormente aggravata dal fenomeno della duplicazione delle società deputate alla raccolta dei rifiuti, dal momento che a Reggio Calabria, Crotone, Catanzaro e in altre grandi realtà regionali, accanto alle società miste – deputate alla raccolta differenziata peraltro ferma al 9% in regione – continuano ad operare le vecchie società, che avrebbero dovuto essere poste in liquidazione. “ L'unica evidente finalità di tale gestione sembra essere quella di garantire posti di lavoro – si legge nella relazione commissariale – piuttosto che un servizio ai cittadini e di dare cittadinanza anche nel settore della gestione dei rifiuti a gruppi con evidenti connotazioni mafiose, così come è accaduto ed ampiamente documentato per la società «Leonia» di Reggio Calabria, preposta alla raccolta differenziata, per la Appennino Paolano operante nel Medio Tirreno Cosentino e, con differenti livelli di intensità criminosa, per l'altra società mista Alto Tirreno Cosentino”.

A distanza di pochi anni dalla loro costituzione, tutte le società miste sono state dichiarate fallite o, comunque, versano in stato di insolvenza sia per assunzione di personale in esubero, sia per il mancato versamento delle quote consortili da parte dei comuni interessati, che – a loro volta – non riscuotono i relativi tributi dagli utenti.

In Calabria non sono state realizzate nel corso di tutto il commissariamento nuove discariche pubbliche, sicché tutto il sistema delle discariche è rimasto affidato ai privati. Sono operative le discariche di Pianopoli (Catanzaro) e di Catanzaro-Alli, entrambe di proprietà del privato Enerambiente spa, nonché la discarica di Crotone, la più grossa della Calabria, gestita dalla Sovreco srl, che fa parte del discusso gruppo Vrenna, mentre tutte le altre discariche, pubbliche e private, sono praticamente esaurite.

IL PARADOSSO DI GIOIA TAURO

La gestione integrata dei rifiuti comprende gli impianti di trattamento – che in Calabria fanno capo per la gran parte a una società privata, la Tec-Veolia – nonché il termovalorizzatore di Gioia Tauro, gestito dalla stessa società.

Con riguardo a quest'ultimo impianto, dal Rapporto rifiuti 2008 Ispra-Onr e dal successivo rapporto del 2009 risulta: 1) che, negli anni 2007 e 2008, l'inceneritore di Gioia Tauro ha trattato un quantitativo di rifiuti, rispettivamente, di 114 mila tonnellate e di 97 mila tonnellate di cdr, a fronte di una potenzialità complessiva di 120 mila tonnellate; 2) che ha usato come combustibile cdr proveniente anche da altre regioni e, segnatamente, dal Veneto, dalla Toscana e dalla Lombardia.

“Alla luce dei dati sopra esposti, appare evidente la superfluità del raddoppio dell'impianto di incenerimento di Gioia Tauro – si legge nella relazione della Commissione parlamentare – il cui completamento è previsto per il 2012 e al quale, tuttavia, non è possibile sottrarsi per non dover pagare forti penali, in forza del concluso contratto di appalto”.

Tuttavia il raddoppio non è destinato a rimanere privo di conseguenze per il territorio, in quanto – nel breve/medio periodo e in attesa che anche in Cala
bria si produca cdr di adeguata qualità ed in quantità sufficiente a saturare la capacità di trattamento dell'impianto di Gioia Tauro raddoppiato – è destinato a produrre l'aumento, in modo esponenziale, dell'importazione da altre regioni italiane del cdr che, in quanto rifiuto speciale, non è sottoposto a vincoli territoriali, come i rifiuti solidi urbani.

COMMISSARIATO A CARO PREZZO

A lievitare, in compenso, sono i costi della struttura commissariale, indicati nella relazione della Corte dei conti sezione regionale di controllo per la Calabria, che – con riferimento al periodo compreso tra gennaio 2006 e agosto 2009 – sono stati complessivamente pari a 13,8 milioni. Tra le voci di bilancio meritano di essere sottolineate le seguenti: 1) i «compensi al personale amministrativo» nel 2007 hanno raggiunto la somma di 3,44 milioni, a fronte di una media negli altri anni di circa euro 1,5 milioni; 2) i «compensi per collaborazioni» – non meglio specificate – nel 2007 hanno raggiunto il picco di 979 mila euro e nel 2008, sono stati di ben 717 mila euro.

In via generale, si tratta di costi molto elevati, che non trovano alcun riscontro nel servizio reso – si legge nella relazione della Commissione parlamentare – e in particolare, la voce «compensi per collaborazioni» appare del tutto ingiustificata.

Rilevanti sono, poi, le spese «per la gestione di discariche, impianti e stazioni» che, nel decennio, sono state complessivamente pari a euro 249.1 milioni con un crescendo costante”.

Due calcoli rapidi rapidi: per ogni cittadino calabrese sono stati spesi ben 123,89 euro solo per la gestione delle discariche e delle stazioni di trasferenza da parte del commissario, ai quali vanno ad aggiungersi le somme pagate a titolo di tariffa dai comuni. Il tutto per un servizio non reso, ovvero reso male.

Oltre al danno anche le beffe. I costi indicati prescindono dalle condanne, contenute in ben tre lodi arbitrali, del complessivo importo di oltre 100 milioni – importo che, paradossalmente, è pari al costo di un inceneritore da 120 mila tonnellate all'anno – subite dall'ufficio del commissario delegato. Tutto ciò a fronte di un'attività di recupero crediti svolta dall'ufficio del commissario nei confronti dei comuni per le tariffe rsu non versate, che è del tutto insoddisfacente, posto che nell'anno 2009 vi è stato un incremento dei crediti non riscossi della struttura commissariale verso i comuni, che sono passati dalla somma di 143, 9 milioni a fine 2008, a quella di 149 milioni a fine 2009.

L’ASFISSIA DELLE COSCHE

Le inefficienze del sistema hanno favorito l’inserimento nel ciclo dei rifiuti della criminalità organizzata, che è particolarmente presente nella provincia di Reggio Calabria, laddove, a fronte di un giro d'affari di complessivi 150 milioni all’anno, pari al 2% del Pil del territorio, solo 12 imprese delle 161 che si occupano di rifiuti hanno ottenuto la certificazione antimafia negativa, mentre 115 imprese risultano addirittura sconosciute al sistema. Si desume agevolmente che le imprese prosperano in modo anonimo con i subappalti o con la prestazione di manodopera.

La Commissione d'inchiesta si è soffermata anche sulle problematiche connesse alle discariche abusive e alla loro bonifica, nonché su quelle relative all'inquinamento delle acque.

La mancanza di regolari discariche autorizzate favorisce fenomeni estesi e diffusi di comportamenti illegali non solo da parte dei cittadini, che abbandonano i rifiuti in modo incontrollato, ma anche da parte degli stessi amministratori comunali, i quali fanno ricorso a discariche che – sebbene autorizzate – non sono, comunque, a norma, vale a dire non sono adeguatamente impermeabilizzate e dotate dei presidi tecnologici adeguati per raccogliere e trattare percolati e biogas, evitando che si disperdano rispettivamente nelle falde ed in atmosfera.

Accanto a queste discariche «autorizzate» dai comuni, ma non a norma, vi sono le discariche tout court abusive che, come tali, sono naturalmente del tutto prive di impermeabilizzazione e impianti, ma che spesso si caratterizzano per le dimensioni e i volumi dell'abbandono incontrollato dei rifiuti tutt'altro che irrilevanti.

Nel territorio calabrese il numero delle discariche esistenti, autorizzate e abusive, è di circa un migliaio, tuttavia, è del tutto carente l'attività di bonifica, dal momento che, a fronte di fondi comunitari europei destinati alla bonifica dei siti inquinati e gestiti dal Piano operativo regionale, dell'importo di 70 milioni per il periodo 2000-2006, sono stati dirottati alla «viabilità» fondi per l'importo di 50 milioni, per evitare di perderli, in quanto non sono intervenuti, entro fine 2006, impegni di spesa da parte dell'Ufficio del commissario delegato, che all'epoca era competente per le bonifiche.

IL CASO REGGIO

Secondo la prefettura di Reggio Calabria le ditte che nella provincia di Reggio Calabria, a vario titolo, si occupano del ciclo dei rifiuti sono 171 (un numero assolutamente spropositato in relazione al numero di abitanti serviti, come ha rilevato la senatrice Daniela Mazzuconi, componente della Commissione).

Di queste ben 115 non sono note al sistema, non essendo mai stata chiesta per loro alla prefettura la certificazione antimafia; 12 hanno avuto certificazione antimafia interdittiva; 31 sono state destinatarie di certificazione antimafia liberatoria; 3 sono in amministrazione giudiziaria, mentre per 8 ditte è in corso la relativa istruttoria, essendo stata richiesta per la prima volta la certificazione antimafia.

In conclusione, sulle 46 ditte note al sistema, solo 12 hanno certificazione negativa, più o meno il 20%, una percentuale già di per sé molto scarsa rispetto alle ditte note, che diventa addirittura irrilevante se rapportata all'elevatissimo numero di imprese (115) che, pur occupandosi di rifiuti, non sono note al sistema.

Si tratta di un dato che rivela, già di per sé, in modo drammatico quanto sia elevato il livello di diffusione dell'illegalità nell’intera provincia di Reggio Calabria, tanto più alla luce delle successive dichiarazioni dell’allora prefetto Franco Musolino.

A domanda del presidente della Commissione, Gaetano Pecorella, in ordine al fatto che ben 115 aziende – pur occupandosi di rifiuti e pur essendo iscritte alla Camera di commercio per tale attività, non sono note ai fini della certificazione antimafia – Musolino, dapprima, disse che la spiegazione può essere ricercata nel fatto che almeno parte di esse non ha lavorato con il pubblico ovvero che, di fatto, non esercita tale attività.

Tuttavia, secondo l’attuale prefetto di Genova, è anche possibile – anzi è probabile – che le ditte, una volta ottenuta la certificazione antimafia e vinto l'appalto, affidino il servizio in subappalto a una delle 115 aziende sconosciute dal sistema, consentendo così alla mafia di prosperare, tanto più che il ricorso al subappalto o alla semplice sostituzione del personale costituisce un dato oggettivo e, purtroppo, acclarato.

Carmelo Casabona, questore di Reggio Calabria, nel corso dell’audizione del 1° dicembre 2009, ha riferito che vi è una imprenditoria che, con il sostegno della 'ndrangheta e ricorrendo all'influenza tipica della mafia in genere, si immette nel settore dei rifiuti, gestendo appalti. Casabona ha anche rimarcato l'esistenza, nelle gare di appalto, di accordi tra tutti i concorrenti, alcuni dei quali accettano di fare la figura delle comparse, per un preciso tornaconto, come quello di vedersi affidati servizi in subappalto o di ottenere altri appalti, privi di interesse per la criminalità.

Sul punto, il questore ha parlato dell'esistenza «quasi di una consorteria», che consente la gestione degli appalti in base agli appetiti del momento e di una fase «quasi democratica» del sistema illecito nella distribuzione degli appalti.

LE REAZIONI: LO MORO

Illuminante la capacità di analisi di Doris Lo Moro, membro della Commissione Una dei pochi parlamentari calabresi degni di fare Politica. E badate che, come ben sapete cari lettori, del colore politico non me ne frega assolutamente nulla anche perché in Calabria la distinzione è una chimera.

Lo Moro Ha messo il dito nella piaga quando ha affermato che “nel disordine amministrativo, ovvero quando ci sono situazione di disordine, sfilacciamenti, situazioni promiscue non ben definibili dal punto di vista amministrativo è più facile che la criminalità organizzata si addentri e sia pervasiva; ciò è una condizione anche per analizzare bene questo fenomeno. Anzi direi che molto probabilmente il problema da porsi è proprio la questione di chi vuole questa situazione di disordine e di disamministrazione come quella che viene presentata in questa relazione. Non darei per scontato che tutto ciò sia casuale. Anzi penso che molto spesso a queste situazioni si arriva per consentire alle lobby e a tutto quello che è illecito in questo settore (come negli altri) di fare da padrone e di condizionare l’attività amministrativa, quindi la gestione democratica dei servizi”.

r.galullo@ilsole24ore.com

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica alle 0.15 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

p.p.s. Il mio libro “Economia criminale – Storia di capitali sporchi e società inquinate” è ora acquistabile con lo sconto del 15% al costo di 10,97 euro su: www.shopping24.ilsole24ore.com. Basta digitare nella fascia “cerca” il nome del libro e, una volta comparso, acquistarlo

  • pasquale montilla |

    Ieri il funerale di un mio paziente deceduto per neoplasia.Un signore dalla piccola statura sempre disponibile mai impaziente che ha subito e sopportato la malattia con rassegnazione .Abitava in un piccolo paesino della Calabria della pre-sila e vicinissima ai laghi e alle cave.
    Qualche settimana fa’,in una stanza povera vuota ma piena di ricordi mi ha chiamato per confidarmi che da ragazzo aveva partecipato ad uno dei piu’famosi sequestri di persona della ndrangheta avvenuto nel 1973 .Avevano messo le mani a un tale Paul Getty junior III nipote di un mecenate americano e a cui avevano poi mozzato brutalmente l’orecchio sinistro per richiedere un riscatto di 2 miliardi di vechie lire.Soldi poi spariti e mai ritrovati come i rifiuti della mafia e le loro consuenze pagate con la pelle inquinata della gente.
    Pasquale Montilla

  • RDT "F. NISTICO'" |

    Gentilissimo Galullo,
    sono anni che ci battiamo. Siamo stanchi.
    Ci stanno avvelenando la vita nostra e dei nostri figli: navi dei veleni, discariche e inceneritori, il fiume oliva radioattivo, invasi per l’acqua inquinati, ferriti sepolte sotto le arance, case e scuole costruite con gli scarti dell’eni, disboscamento per le biomasse, elettrodotti sopra le case, e tanti altri veleni.
    MO BASTA. Delle nostre vite vogliamo decidere noi!
    http://www.difendiamolacalabria.org/

  • Francesco caroselli |

    La situazione in Calabria si aggrava di giorno in giorno e sembra non ci sia modo per invertire la rotta.
    Sapevo che la Calabria aveva una gestione commissariale dei rifiuti.
    Ma non è il solo reparto. Visto i magnifici risulati apportati da questo tipo di gestione a molti portafogli anche a livello ambientale si è arrivatoi ad una gestione commissariale.
    Ma queste gestioni “straordinarie” non servono a riportare il sistema ad una situazione di normalità, anzi mi pare che siano un modo sempre meno velato di agire in deroga alle regole.
    Persino l’uomo ragno-peter parker sa che “a grandi poteri corrispondono grandi responsabilità”.
    Fa molto bene a segnalare la situazione del tirreno cosentino dove la commistione fra clan è totale.
    Vorrei raccontarle tante cose che negli anni ho visto ma mi manca la speranza e poi sono cose vecchie…
    invece vorrei riferirLe di cose fresche fresche: i dati Arpacal sulla salute del mare. Se si comparano i dati di qualche mese fa (fino ad Aprile) con gli ultimi sembrerebbe che da tutte le parti siano stati finalmente costruiti ed attivati i depuratori. Infatti se prima le concentrazione di Escherichiacoli e altri batteri rendevano i mari NON balneabili ora (guarda caso per la stagione estiva) il mare nostrunm è in condizioni ottimali.
    Visto che il ciclo delle acque reflue e dei depuratori non ha subito nessuna modifica io dico molto chiaramente: Io non ci credo.
    Come è già stato appurato durante l’indagine Poseidone, l’Arpacal è solito nascondere e manomettere questi dati.
    Ora mi chiedo è possibile che nessuno indaghi su questa colossale presa in giro?
    Qualche magistrato si vuole svegliare? Oppure devo pensare che c’è una certa ritrosia a toccare certi argomenti?
    Ritorno a bomba sulla questione della gestione commissariale; propongo che tutte le decisioni di questi organi che influiscono cosi pesantemente nelle nostre vite siano trasparenti. TOTALMENTE
    Ogni seduta di consiglio deve REGISTRATA e pubblicata su youtube, ogni ordine del giorno, ogni appalto vinto, ogni ordinanza deve essere disponibile on-line in modo che i cittadini possano veramente controllare.
    PS-Da Segnalare che sulle navi dei veleni in Calabria sono state raccontate tante tante bugie…e mi dispiace farglielo notare anche da Grasso che si è prestato a confermare le bugie preaparate ad arte. La nave di Cetraro non è la cunsky ma il piroscafo Catania….peccato che il Catania sia stato affondato nel golfo di Napoli.
    Mi dispiace dirglielo perchè so che lei Galullo ha una profonda stima per Grasso ma in questo caso è stato, ad essere buoni, molto approssimativo e superficiale oppure si è fidato delle persone sbagliate (I motivi per giustificarlo sono tanti e validissimi: 1)non si può soffermare su tutto con tutti i problemi che ha 2)non si può mica intestardire su un posto sperduto e inutile come Cetraro 3) anche Francesco Greco che iniziò l’inchiesta ne ha chiesto alla fine l’archiviazione…)
    La seguo sempre Continui nel suo splendido lavoro
    Francesco Caroselli

  Post Precedente
Post Successivo