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Fra inchieste, indagini e arresti sembra di essere in Calabria anziché in Liguria.
Non è un caso dunque che la Commissione parlamentare antimafia, il 20 e il 21 ottobre si sia recato in missione a Genova per completare un giro di conoscenze e audizioni iniziato a giugno. La sensazione è che molte altre visite correranno sotto i ponti…
L’ultimo tassello al puzzle della lotta alla criminalità è del Tribunale di Sanremo che il 20 ottobre ha condannato a tre anni di reclusione per tentata estorsione e violenza privata un imperiese e un reggino che avevano teso un agguato al costruttore Pier Giorgio Parodi. Lo stesso tribunale di Sanremo il 28 ottobre ha concesso ai due gli arresti domiciliari.
I due pretendevano di far lavorare i camion che sarebbero dovuti salire dalla Calabria nel mese di agosto ed essere impiegati nel movimento terra che stava sbancando i lavori per il porto di Ventimiglia. Ai “mediatori” sarebbero andati 1,5 euro per ogni tonnellata di materiale movimentato: 370mila tonnellate per una cifra che si aggirava intorno ai 555mila euro. I due costrinsero Parodi e il suo compagno di viaggio a sdraiarsi pancia a terra, minacciandoli col fucile. “Una scena di estrema violenza – dirà nella requisitoria il pm Roberto Cavallone – ed ecco perché è un comportamento davvero di tipo mafioso”.
Questa sentenza rappresenta uno spartiacque nella lotta al crimine perché Parodi non è un imprenditore qualsiasi: è il maggior costruttore edile dell’intera regione.
“L’imprenditore è sceso a patti con i due soggetti – dirà il procuratore antimafia Anna Canepa il 21 giugno alla Commissione parlamentare antimafia – e non ha pensato minimamente di denunciare l'episodio. Chiamato in procura, ha negato. Solo quando è stato messo davanti alle dichiarazioni del dipendente che si trovava con lui ha ammesso, dichiarando che pensava fosse uno scherzo. Questo episodio è estremamente significativo e sintomatico di quella che è la realtà nel Ponente ligure”.
Confindustria Liguria ha accettato l’autosospensione proposta dallo stesso costruttore all’associazione – ed è la prima decisione assunta in regione – proprio perché, ricorda il presidente Sandro Cepollina, “non aveva denunciato. Sottolineo con orgoglio che la figlia Beatrice è stata però tra le prime a sottoscrivere il protocollo di legalità. Il dna imprenditoriale ligure è sano e denunciare e schierarsi dalla parte della legalità è un obbligo”.
Eppure solo fino a un anno fa la parola mafia in Liguria era impronunciabile, ricorda Angela Napoli, membro della Commissione parlamentare antimafia che il 21 ottobre è salita con il presidente Beppe Pisanu e i colleghi a Genova per raccogliere elementi. «Questo territorio – dichiara – comincia a svegliarsi dal torpore. E dire che sono anni che denuncio i collegamenti tra la madrepatria calabrese e le famiglie che qui si sono insediate da decenni soprattutto nel ciclo del cemento».
Nella riunione del 21 ottobre con la Commissione antimafia le imprese hanno avuto una parte rilevante. Il presidente Cepollina ha ricordato che il protocollo di legalità firmato il 9 febbraio dall’associazione di Imperia con la Prefettura sta raccogliendo, giorno dopo giorno, nuovi sottoscrittori tra gli associati. «Mi creda – racconta questo imprenditore che è stato tra i pochi a parlare di infiltrazioni nell’economia legale ligure quando tutti tacevano – che non è facile risollevare le coscienze. Fino a poco tempo fa c’erano questori che affermavano che la mafia in Liguria non esiste. Vorrei che le aziende che sottoscrivono il patto fossero messe in grado di essere riconosciute, anche nei bandi di gara e nell’assegnazione dei lavori, per quello che sono. Vale a dire imprese che fanno della legalità e della trasparenza un credo. Non c’è infatti solo l’edilizia come terreno sensibile per le infiltrazioni. Pensiamo alle scommesse. Mi sono trovato a fare i conti con dipendenti che si erano venduti persino la casa per il gioco. È una piaga sociale nella quale la criminalità organizzata sguazza».
Da Ponente a Levante la Liguria è continuamente scossa da inchieste e se Ventimiglia – il cui Municipio potrebbe seguire verosimilmente la sorte del consiglio comunale di Bordighera sciolto per infiltrazioni della criminalità il 10 marzo 2010 dal momento che il Viminale ha disposto l’accesso agli atti amministrativi che potrebbe appunto sfociare nella proposta di scioglimento – è l’epicentro per la sua posizione di frontiera, da Genova a Sarzana, passando per Lavagna e Imperia, la ‘ndrangheta ha ormai spodestato Cosa nostra e ha messo radici profondissime come ancora pochi mesi fa, il 27 giugno, ha testimoniato l’indagine Maglio 3 che sta portando alla luce soprattutto i legami tra cosche e politica.
La cosa più sorprendente, però, come dichiara Canepa, è che “sono stati molti in Liguria i provvedimenti di archiviazione di indagini condotte su vari soggetti, anche se che per fortuna la direzione distrettuale antimafia di Genova in questo momento sta procedendo ad una rilettura dei relativi procedimenti risalenti nel tempo, perché sono la chiave di lettura di quello che sta accadendo adesso sul territorio. In particolare, c'è un procedimento molto significativo denominato “Colpo della strega” che si conclude con la condanna per estorsione di tutta una serie di soggetti che oggi, passati 20 anni, non solo grazie all'apporto dei collaboratori di giustizia, ma anche con l'aiuto delle intercettazioni emerse nell'ambito di altri procedimenti risultano operanti sul territorio e chiaramente affiliati alla 'ndrangheta. Questo procedimento, che si concluse con la condanna per i reati-fine di soggetti che non si ritiene appartengano alla 'ndrangheta, secondo la giurisprudenza del tempo, in realtà costituisce semplicemente la chiave di lettura di ciò che è successo e di ciò che sta succedendo oggi sul territorio imperiese”.
L’amarezza sta nel fatto che questa Regione – che sembra essere per la mafia calabrese ma anche per la camorra campana un pozzo senza fine – è partita con ritardo.
Genova croce e delizia nella lotta alle mafie nazionali e internazionali.
Il Comune sta varando una serie di misure che fanno storcere il naso a quanti finora erano abituati a trescare – soprattutto nel settore edile – sul filo della legalità.
Il sindaco Marta Vincenzi (nella tempesta per la gestione pre e post alluvione), nel corso del seminario sulle infiltrazioni delle mafie al Nord organizzato da Libera a Torino l’8 ottobre aveva ricordato come «tra il 2007 e il 2009 si sono affacciate figure politiche di secondo profilo che sfiorano mondi di illegalità. In queste seconde e terze file gli inquirenti stanno scoprendo che si praticava un voto di scambio. Gli anticorpi ci s
ono ma ci vuole una consapevolezza politica nuova».
Uno sfogo inatteso, per molti versi, quello del sindaco. «Quello che abbiamo cominciato a vedere – aveva detto di fronte a una platea di amministratori pubblici, comuni cittadini, magistrati e rappresentanti delle Forze dell’ordine – è una trasformazione all’interno delle tradizionali alleanze tra ceti economici e politici, nelle quali si rischia di essere toccati da mondi e complicità che neppure pensavamo potessero esistere. I pericoli sono dunque quelli di un’infiltrazione ancora più forte e di uno sradicamento delle vecchie logiche affaristiche, con attori che hanno radici nella ’ndrangheta. Di questo la politica si è occupata e preoccupata troppo tardi».
Il rischio è che Genova si scopra nuda di fronte alla protervia delle mafie che si gettano a capofitto perfino nella finanza. «Il boss Onofrio Garcea* – ha raccontato il pm antimafia Anna Canepa in Commissione parlamentare antimafia il 21 giugno – è stato arrestato per esercizio abusivo del credito, come titolare di una finanziaria. Ho iniziato la mia attività 25 anni fa e proprio durante il mio primo anno di attività, quando sono arrivata a Genova, ho incontrato Onofrio Garcea, che trafficava cocaina. Al momento – questo fatto è pacifico – egli è uno dei capi della ’ndrangheta genovese e ha modificato le sue attività: dal traffico di sostanze stupefacenti, ha ora aperto una finanziaria e ha cominciato ad esercitare abusivamente il credito».
* ANSA 9 NOVEMBRE 2012 Sono stati assolti i dieci calabresi imputati nel processo con rito abbreviato scaturito dall'inchiesta dei carabinieri del Ros sulle infiltrazioni delle 'ndrine calabresi in Liguria denominata Maglio 3. La sentenza e' stata pronunciata dal gup Silvia Carpanini. Appresa la notizia, i parenti degli imputati, che attendevano fuori dall'aula hanno applaudito a lungo.
Nella requisitoria di metà ottobre, i pubblici ministeri Vincenzo Scolastico e Alberto Lari avevano chiesto 12 anni di carcere per Onofrio Garcea, 10 anni e 8 mesi per Benito Pepé, 9 anni per Rocco Bruzzaniti, 8 anni per Fortunato e Francesco Barilaro, Michele Ciricosta e Antonio Romeo e 6 anni per Antonino Multari, Raffaele Battista e Lorenzo Nucera: secondo i magistrati, Bruzzaniti, Battista, Multari e Lorenzo Nucera avrebbero avuto il ruolo di “partecipi” dell’associazione, mentre gli altri sarebbero stati “promotori”.
Secolo XIX Genova 10 novembre – «Le sentenze non si commentano, se non si è d’accordo si appellano, personalmente ho vissuto un’esperienza simile nel 1996 quando in primo grado sono stati assolti tutti i clan siciliani dal 416 bis poi il tutto è stato capovolto dalla Corte d’appello, e confermato in Cassazione».
Così ha detto la vice presidente dell’Anm Anna Canepa la sentenza del gup di Genova