Dopo quella di Paola (Cosenza) tocca a Catanzaro. La Procura della Repubblica ha infatti dato mandato alcuni mesi fa all’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpacal) di fare rilievi e analizzare il contenuto di materiale estratto dalla cava dismessa di Gimigliano, comune a un trentina di chilometri dal capoluogo.
La notizia arriva dall’ex direttore scientifico dell’Arpacal, Antonio Scalzo, che a luglio 2009 ha dato le dimissioni. “Non solo la Procura di Paola – conferma al telefono mentre è ancora convalescente dopo un’operazione chirurgica – negli ultimi tempi ha fatto ricorso al nostro lavoro, ma anche quella di Catanzaro e quella di Crotone, dove la situazione dell’ex area Pertusola è esplosiva”.
PERTUSOLA E LE MANI DELLA ‘NDRANGHETA
Pertusola Sud Crotone è l’industria calabrese che ha prodotto zinco dagli anni Venti fino alla fine degli anni Novanta. Dopo diverse indagini, il caso è finito nel mirino della Procura di Crotone che con l’inchiesta “Black Mountains”, coordinata dal pm Pierpaolo Bruni, nel settembre del 2008 ha disposto il sequestro di 18 aree tra i comuni di Isola Capo Rizzuto e Cutro.
Dal 1999 a oggi sarebbero state smaltite illegalmente 350 mila tonnellate di rifiuti cancerogeni (tra cui il cubilot, scarto di lavorazione altamente tossico della Pertusola). Disastro ambientale, ma anche discarica abusiva di materiali pericolosi, avvelenamento delle acque, turbativa d’asta e frode in forniture pubbliche: questi i reati contestati a sette indagati, tra imprenditori e funzionari pubblici.
L’accusa ritiene che le scorie, contenenti zinco, piombo, arsenico, mercurio, indio e germanio, mixate alle polveri provenienti dall’Ilva di Taranto, siano state utilizzate in edilizia, per fondi stradali e parcheggi, anziché smaltite in discariche speciali. Le indagini, partite dopo le denunce di un imprenditore specializzato nella movimentazione terra e l’esposto anonimo di un gruppo di cittadini della zona, si sono poi avvalse anche di numerose testimonianze di ex operai della fabbrica. Da queste emergerebbe l’impiego dei rifiuti anche per i lavori all’aeroporto di Reggio Calabria e all’acquedotto di Crotone, oltre che per i cortili di tre scuole della provincia a cui sono stati immediatamente messi i sigilli.
All’indomani dei sequestri, ricorda ancora Legambiente, la Regione ha costituito una task force con il compito di avviare un monitoraggio dei terreni e della falda acquifera, che hanno rilevato la presenza di sostanze tossiche, oltre a un esame epidemiologico sulla popolazione per mitigare i rischi per la salute pubblica.
L’inchiesta ha poi ipotizzato che gli scarti tossici della Pertusola siano anche finiti nel mare crotonese, visto che nel 2007 uno studio del Conisma (Consorzio nazionale interuniversitario sui fondali marini) aveva rilevato la presenza di arsenico.
Pensare che tutto questo possa essere accadute senza l’”intelligence” delle cosche crotonesi sarebbe demenziale. Così come sarebbe ingenuo pensare che – tutto ciò chenon venova smaltito illegalmente nel coclo del cemnto – fosse smaltito regolarmente. Chissà dove saranno andate a finire migliaia di tonnellate di rifiuti tossici.
LE INDAGINI A GIMIGLIANO
Anche a Gimigliano l’ipotesi, tutta da verificare, è che la cava possa ospitare anche illegalmente interrati altamente nocivi. Nessuno per il momento può escludere che contengano scorie nucleari radioattive. “Del resto, così come lungo il greto del fiume Oliva – spiega Scalzo – i tecnici stanno ancora proseguendo il loro lavoro”. Proprio lungo il corso d’acqua tra Aiello Calabro e Serra d’Aiello, l’Arpacal – che già 5 anni fa aveva rilevato anomalie sulle quali non era poi andata a fondo per una ragione o per l’altra – ha individuato un triangolo collinare a forte rischio radioattivo. Il legame con i traffici internazionali delle cosche sono immediati e infatti l’inchiesta della Procura di Paola racchiude nello stesso fascicolo l’affondamento della Cunsky a largo delle coste di Cetraro (Cosenza) e il filone dell’entroterra.
Procura che sta per cedere l’inchiesta sull’affondamento della Chunsky alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Lo ha detto il procuratore capo, Bruno Giordano, il 22 settembre davanti alla Commissione palamentare sul ciclo dei rifiuti, confermando quanto aveva dichiarato a me nell’intervista rilasciata sul Sole-24 Ore di domenica 20 settembre.
CAVE: IL FAR WEST CALABRIA PER LEGAMBIENTE
A preoccupare è soprattutto l’utilizzo delle cave che può essere stato fatto negli anni da parte della ‘ndrangheta.
In Calabria – com
e ha denunciato nel maggio di quest’anno Legambiente – non esistono regole in materia di attività estrattive e quel che emerge con certezza è che la maggior parte sono del tutto illegali. Il controllo delle ecomafie sull’attività di cava permette di tenere sotto controllo il ciclo del cemento e a riutilizzare le aree abbandonate come discariche abusive con presenza di rifiuti pericolosi. Gli effetti sono evidenti nel paesaggio calabrese, con torrenti e fiumi deviati (come il Torbido e il Neto), boschi e aree cancellate.
Per dare un'idea del giro d'affari, basti pensare che è stato calcolato che la più piccola delle cave scoperte nel 2004, pari a duemila metri quadri, fruttava 100mila euro all'anno.
RAPPORTO ECOMAFIA 2009
La Direzione nazionale antimafia (Dna) non esita a denunciare la collusione tra ‘ndrangheta e istituzioni (sindaci, tecnici comunali, “perfino un ufficiale della Marina militare”) e la “pratica generalizzata del voto di scambio”. Nelle parole del magistrato della Dna Vincenzo Macrì, il giro di affari legato al “traffico, smaltimento illecito e reimpiego di rifiuti tossici”, soprattutto nelle province di Vibo Valentia e Crotone, è “colossale”. Anche la Direzione investigativa antimafia (Dia), a proposito della criminalità calabrese, concorda nell’attribuire al business dei rifiuti un posto “di assoluto rilievo dell’operatività mafiosa”.
Insomma, nessuno sa esattamente come e dove siano stati smaltiti nei decenni centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti (anche scorie nucleari) provenienti da tutto il mondo. E mentre l’attenzione si concentra nelle acque italiane del Mediterraneo, presto potrebbe aprirsi anche il fronte dell’utilizzo delle centinaia di piccoli laghi sulla Sila. Pochi forse sanno che il sistema più sicuro per conservare i fusti radioattivi è proprio quello di immergerli in acqua.
roberto.galullo@ilsole24ore.com