Il rischio secessione soffia da Cagliari e non solo dalla sede della Lega Nord di Via Bellerio a Milano.
Per la prima volta nella storia italiana una Regione sottoporrà a verifica le ragioni della permanenza nello Stato, il fisco, il sistema dei diritti e dei doveri, gli obblighi di sussidiarietà e leale collaborazione tra istituzioni. In altre parole: le ragioni dello stare insieme.
Con 31 voti favorevoli e 25 contrari due giorni fa il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato l’ordine del giorno presentato da Partito sardo d’azione, Sel, Udc, Fli, Idv, Api. Ha votato a favore una parte del Pdl e contro tutto il Pd e i Riformatori. Ecco coda dice l’ordine del giorno approvato: “Il Consiglio regionale, preso atto delle ripetute violazioni dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione da parte del Governo e dello Stato italiano nei confronti della Regione Sardegna, delibera di avviare una sessione speciale di lavori, aperta ai rappresentanti della società sarda, per la verifica dei rapporti di lealtà istituzionale, sociale e civile con lo Stato, che dovrebbero essere a fondamento della presenza e della permanenza della regione Sardegna nella repubblica italiana”.
“Accadrà tutto in modo pacifico e legale e senza esiti precostituiti. Per la prima volta la Sardegna giudicherà l’Italia, senza separatismi, senza eversione – si legge nel sito del Partito sardo d’azione – ma solo ponendo sul piatto una questione semplice: stare in uno Stato comporta la vigenza di un patto equilibrato e giusto, quale oggi questo patto non è. Adesso, per lo meno, se ne parla. L’altra novità è che il tema Sardegna attraversa gli schieramenti, si radica soprattutto nelle forze libere dal dogmatismo bipolare e scompagina le appartenenze per crearne di nuove e di più fresche. Da qui si deve partire per costruire una novità”.
L’ordine del giorno è stato presentato dai consiglieri Giacomo Sanna, Dessì, Maninchedda, Planetta, Uras, Sechi, Cocco, Cugusi e Steri Salis. L’anima del “nazionalismo” sardo è senz’altro rappresentata dal professor Paolo Maninchedda, che il giorno dopo in cui gli Stati generali della Sardegna avevano accantonato l’idea di indipendenza è tornato a far sentire in consiglio la sua voce.
Ve lo propongo per intero il suo discorso, aggiungendo un particolare che non entra nelle parole del consigliere: per il triennio 2010/2012, sulla base del nuovo sistema di partecipazioni erariali, la Sardegna attende dallo Stato italiano non meno di 3,3 miliardi.
Ora leggete il discorso di Maninchedda che apprezzo e stimo molto, conoscendolo personalmente da tempo. Chi conosce il mio nazionalismo (che talvolta sconfina nello sciovinismo) sa che non posso non dolermi per questo “amaro” ordine del giorno che, però, sia ben chiaro, deve risvegliare in tutti gli italiani (sardi inclusi) una serie riflessione sull’urgenza di azzerare le distanze economiche e sociali tra aree del Paese. Non è la secessione la ricetta – sia altrettanto chiaro che per questo considero il “leghismo” un cancro che non può e non deve diventare metastasi – ma la politica e la società civile non possono voltarsi dall’altra parte di fronte alle grida di disperazione che dal Nord al Sud del Paese giungono.
IL DISCORSO DI MANINCHEDDA
“Io parlo per proporre una decisione e non per confermare la nuova Costituzione reale della Repubblica italiana, secondo la quale i parlamenti discutono vanamente e invece il Governo Monti e altre venti persone decidono.
Io non vedo differenza sul piano del ruolo attribuito ai parlamenti tra il “piano per l’Italia” proposto a suo tempo da Licio Gelli è ciò che Luciano Violante è venuto a spiegare a Cagliari poco più di un anno fa sul ruolo dei parlamenti: non c’è alcuna differenza. E come mi opponevo agli oligarchismi “grembiulati” di Gelli mi oppongo agli oligarchismi dell’aristocrazia accademica e finanziaria del Governo Monti.
Contesto; e mi oppongo – e su questo dissento dal Presidente della Regione – all’immagine del governo dei migliori, del governo delle decisioni indiscutibili, che i giornali stanno accreditando rispetto al governo Monti. Contesto e mi oppongo a tutto questo non ideologicamente, cioè non per sposare il malcontento o la protesta, ma mi oppongo perché sono sardo e la Sardegna ha ragione per opporsi.
Il mio dissenso con il discorso del Presidente della Regione, ma soprattutto col discorso di molti parlamentari, sta proprio in questo aspetto: loro mirano a conseguire un risultato secondo le procedure della richiesta e della concessione, io penso che queste procedure siano state smentite rispetto alla loro efficacia dai fatti, e che occorra dimostrare di saper contrapporre l’intera società sarda allo Stato italiano per giungere ad un patto equo tra i sardi e l’Italia, patto mai esistito!
E quando dico “i fatti” sono in grado di elencarli: in primo luogo la questione fiscale.
Lo Stato italiano non ha mai notificato all’Unione Europea (unico Stato membro a comportarsi in tal modo) la previsione dello Statuto sardo per un regime fiscale agevolato per la Sardegna. Non l’ha mai fatto e mai lo farà perché teme una Sardegna con un regime fiscale diverso da quello dell’Italia! L’Italia applica lo stesso regime a tutte le latitudini, un Paese lunghissimo e diverso applica lo stesso regime fiscale in tutti i luoghi. La Sardegna, è stato dimostrato, è stata uccisa prima dal fisco piemontese e adesso dal fisco italiano, che non io, ma il Presidente della Corte dei Conti, ha definito “ingiusto, inefficace e punitivo per gli onesti”: non io, non un sardista, ma il Presidente della Corte dei conti!
L’Italia ha costretto la Regione Sardegna ad essere l’unica Regione in Italia a finanziare una strada statale: siamo gli unici!
L’Italia, con l’accordo del 2006, ha vigliaccamente imposto alla Sardegna di farsi carico del suo svantaggio geografico, gli ha caricato la continuità territoriale e il trasporto pubblico locale, e quando ha concesso il trasporto pubblico locale alle altre Regioni d’Italia dando loro anche i soldi, glieli ha dati fuori dal Patto di stabilità mentre noi siamo ancora con il trasporto pubblico locale compreso nel Patto di stabilità!
Questa è l’Italia a cui voi siete affezionati, noi no!
L’Italia ha impugnato, con la Corte costituzionale, tutte le leggi di questo Consiglio regionale e imposto a tutte le Regioni un presidenzialismo becero, giacché ha bocciato tutti gli statuti e le leggi statutarie che non avevano queste caratteristiche.
Questa è l’Italia e a questa Italia non ci si può presentare con la solita logica della rivendicazione, occorre fare un passo avanti. Questo Consiglio ha respinto la mozione sull’indipendenza, noi ne prendiamo atto ma chiediamo una cosa: che voglia considerare oggi, con un ordine del giorno, l’apertura di una sessione speciale dei suoi lavori, aperta alla società, ai deputati e ai senatori, impegnata a verificare la convenienza del nostro permanere nella Repubblica italiana.
La nostra proposta è di sottoporre a verifica da subito la vigenza dei diritti e dei
doveri sanciti dalla Costituzione, per accertare se essi siano rispettati da entrambe le parti; la nostra proposta è sottoporre l’unità d’Italia a verifica di giustizia e di vigenza.
Certo, questo non basta. Ieri ho sentito metafore calcistiche che auspicavano il passaggio dalla logica dei club alla logica della nazionale.
E’ una metafora suggestiva che però si sottrae una questione di fondo: la nazionale almeno in teoria è fatta dai giocatori migliori. Io, lo dico senza voler offendere nessuno, credo che tutti sappiamo che il governo regionale non è una nazionale e non è possibile creare un clima di collaborazione nazionale pretendendo di lasciare inalterata una squadra che a nostro avviso non sta brillando sul piano dell’efficacia.
Ma ancor più non si può evocare un clima nazionale senza prendere decisioni difficili, le decisioni sulla riforma sanitaria, per esempio, ma anche su altro.
Quando finiremo di fare bilanci fasulli? Non è iniziata certo in questa legislatura la questione dei bilanci campati per aria, non è iniziata in questa legislatura l’abitudinaccia di recuperare i residui cioè di nascondere l’incapacità di spesa, sta solo continuando.
Quando semplificheremo le procedure che sono tutte contro i cittadini e contro l’impresa?
Le procedure della Regione Sardegna presuppongono che il cittadino sia un truffatore e un imprenditore sia sempre un ladro e invece l’istruttore sia sempre santo.
Quando metteremo mano al sistema della scuola e della formazione?
Allora?
Quando diremo che il bilancio della Regione protegge chi il lavoro ce l’ha già e non chi non ce l’ha?
Quando saremo in grado di capire che deve finire l’idea che la Sardegna ha bisogno di nuovi Mosé che la conducano verso sorti progressive, quando invece ha bisogno di una squadra di persone capaci e oneste.
Per fare tutte queste cose non si deve fare una nazionale, bisogna cambiare il quadro politico.
Ieri ho sentito tanti potenziali candidati alla Presidenza della Giunta parlare tutti in modo molto ecumenico e forse parlare in modo ecumenico proprio perché hanno questa ambizione.
Bene, io credo che il prossimo Presidente della Giunta o nasce da accordi originali e da soluzioni non scontate o non servirà a nulla, cioè sarà un presidente conservatore, sarà un presidente gestore delle macerie.
Noi lavoriamo a soluzioni di profondo cambiamento nazionale sardo ma non ecumenico, non tale da comprendere tutto e il contrario di tutto.
Se la nazionale sarda dovesse essere un minestrone, un minestrone buonista, noi non ci saremo, saremo un ingrediente mancante.
Se si tratterà di fare un’alternativa fondata sul senso del dovere, della responsabilità e di un profondo cambiamento noi ci saremo. E quindi per concludere, se vogliamo fare riforme profonde bisogna costruire un quadro politico diverso, inedito, diversissimo dalla melassa di ieri dove non si capiva nulla e rispetto al quale il maggior compito è dei colleghi del Pd e del Pdl, giacché i colleghi di Sel già dialogano con noi di sovranità e sviluppo, senza dogmi e senza posizionamenti precostituiti.
C’è un problema con voi.
Volete voi andare oltre i vostri partiti, oltre i meriti, le medaglie e i disastri che vi attribuite reciprocamente ed essere uomini della nazione sarda, rompere quest’inerzia del gioco attuale, proporre una novità mai vista in Italia?
Dipende largamente da voi, dalla vostra capacità di uscire dalla politica di posizione.
Se troverete questo coraggio, noi ci saremo, ma nel frattempo vi chiediamo, ve lo chiediamo con la forza e con l’umiltà anche della nostra storia, facciamo insieme, in questo Consiglio, la verifica del sistema dei diritti e dei doveri con la Repubblica italiana”.
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