Rifiuti radioattivi/1 Tutte le strade (pericolose) portano a Roma: 6.600 metri cubi di cui 2mila di rifiuti nucleari – Parola del Parlamento

La Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha depositato in Parlamento la relazione finale sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia. La relazione – depositata il 18 dicembre 2012 – ha visto come relatrice l’onorevole Susanna Cenni.

Se non ci fosse da piangere – vista la materia trattata – ci sarebbe da ridere. La relazione descrive infatti un quadro che definire fosco è un eufemismo. Riassumo in sintesi estrema: l’Italia ce la sta mettendo tutta ma la confusione è tanta e i soldi sono pochissimi.

Prosaicamente la commissione dice inizialmente che la situazione complessiva non può dirsi al momento ottimale. Detta così uno può pensare: vabbè, però i problemi non saranno poi tanto gravi. Come no…

«Il dato negativo di fondo è la perdurante mancanza di un sito nazionale ove i rifiuti possano essere depositati o smaltiti in condizioni di sicurezza – scrive subito dopo la Commissione, con una frase che, già da sola, entra dritta sulle caviglie –. La realizzazione del deposito nazionale è affidata alla Sogin ed è oggi previsto che si concluda nel 2020, un obiettivo temporale che potrà essere raggiunto solo con uno sforzo straordinario di tutte le parti interessate». Tradotto dal politichese all’italiano: campa cavallo che l’erba cresce. O se preferite: per quella data non ce la faremo mai!

La mancanza del deposito nazionale fa sì che la stragrande maggioranza dei rifiuti radioattivi prodotti negli impianti nucleari – centrali, installazioni sperimentali, reattori di ricerca – sia ancora conservata presso gli stessi singoli impianti, sparsi sul territorio italiano, nei quali sono stati a suo tempo generati. Una situazione che ha già influenzato il processo di decommissioning (parola inglese inutile che non vuol dire altro che smantellamento dei siti nucleari) e che, protraendosi, impedirebbe la liberazione dei siti, trasformando ciascuno di essi nel deposito finale dell’impianto che ha ospitato, inclusi i rifiuti prodotti dal riprocessamento del combustibile nucleare, effettuato in Inghilterra e in Francia, che dovranno rientrare in Italia.

In alcuni deposti temporanei sono invece raccolti e provvisoriamente stoccati i rifiuti prodotti (e che continuano inevitabilmente a prodursi) nell’impiego di sorgenti radioattive al di fuori degli impianti nucleari: attività industriali, ricerca, impieghi medici.

Ad aumentare l’attuale stato di precarietà – scrive sempre la Commissione parlamentare – c’è il fatto che la maggior parte dei rifiuti radioattivi si trova ancora allo stato in cui sono stati prodotti, senza aver subito, cioè, le operazioni di condizionamento con le quali i rifiuti vengono inglobati – se solidi – o solidificati – se liquidi – in matrici solide inerti, che costituiscono la prima, fondamentale barriera contro la dispersione della radioattività nell’ambiente.

Certo che c’è da stare allegri!

Deputata a queste operazioni, come pure allo smantellamento dei siti, delle centrali nucleari e degli impianti del ciclo del combustibile, è la Sogin, società a capitale interamente pubblico, nata nel 1999 nell’ambito del processo di liberalizzazione del mercato elettrico.

La Sogin – spiegano i commissari – avrebbe dovuto procedere al condizionamento dei rifiuti pregressi – circa 20mila metri cubi – presenti negli impianti nucleari dei quali è responsabile nell’arco di un decennio.

Volete sapere a che punto siamo? Bene. «Oggi il lavoro è giunto a poco più di un quarto di strada – si legge nella relazione – e anche i casi più urgenti, come i rifiuti liquidi ad alta attività che nell’impianto Eurex di Saluggia attendono da decenni di essere solidificati, dovranno attendere ancora diversi anni. Criticità in attesa di soluzioni da individuare o da attuare sono presenti anche in altri siti, ad esempio nella centrale del Garigliano, dove vi sono rifiuti a suo tempo sepolti in trincee che debbono ora essere recuperati e messi in sicurezza, o nella centrale di Caorso, dove vi è qualche migliaio di fusti di rifiuti già condizionati con un metodo che si è poi rivelato inidoneo, in quanto causa di corrosione dei fusti stessi». Che dire…evviva!

Strettamente connesso con la gestione e la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi è il decommissioning degli impianti, che, con gli smantellamenti, produrrà a sua volta alcune decine di migliaia di metri cubi di rifiuti. Qui, fino a oggi, le cose non sono andate meglio. Che (ri)dire…evviva!

Dalla definitiva chiusura delle centrali nucleari, l’Enel, che ne era allora proprietario, si era praticamente limitato al loro mantenimento in sicurezza, scrivono sempre i commissari, anche nell’attesa, allora peraltro oggettivamente irrealistica, della possibile riapertura di almeno alcune di esse, nell’ambito di un ripensamento più generale sulle politiche energetiche.

La stessa cosa aveva fatto l’Enea per gli impianti del ciclo del combustibile di cui era esercente, per i quali, a quanto risulta alla Commissione parlamentare, non era stato neppure predisposto un piano di disattivazione. Sogin, subentrata a Enel nella proprietà delle centrali nucleari e, dal 2003, all’Enea nella gestione degli impianti del ciclo del combustibile, ha sin qui svolto, secondo quanto ha comunicato alla Commissione il ministro dello Sviluppo economico, solo il 12% del lavoro che i programmi del decommissioning prevedono.

«È evidente l’assoluta necessità di un radicale cambiamento dei ritmi con i quali le attività sono state sin qui condotte. Ciò richiederà lo sforzo di tutti i soggetti che, con differenti ruoli – scrive sempre la Commissione – partecipano o intervengono. Amministrazioni centrali e locali, ente di controllo, esercente. Non possono infatti essere ascritte unicamente alla Sogin le inefficienze che hanno condotto agli scarsi risultati che le cifre mostrano, così come non possono neppure essere attribuite tutte a cause esterne, come la stessa Sogin sembrerebbe invece voler fare. Va in ogni caso evidenziato l’impulso che le procedure autorizzative hanno ricevuto con l’entrata in vigore di alcuni recenti provvedimenti legislativi, dove è stato in particolare promosso lo strumento della conferenza dei servizi ai fini dell’accelerazione delle procedure stesse. Nella situazione di inefficienze e di ritardi emersa non vi è stata una vera valorizzazione delle competenze specifiche che operano e che potrebbero invece costituire una risorsa strategica in vista della prossima, forte crescita che l’attività di disattivazione degli impianti nucleari avrà in tutto il continente europeo, dove vi sono quasi cento centrali in attesa di smantellamento, con un mercato valutabile in decine di miliardi di euro».

Per quanto riguarda i rifiuti prodotti nei diversi impieghi delle sorgenti radioattive, la Commissione da atto all’Enea dell’importanza del ruolo svolto dal servizio integrato – da lei organizzato e posto in atto dalla Nucleco, sua società partecipata – per una gestione per quanto più possibile ordinata e controllata di tali rifiuti. Il servizio consente agli esercenti dei depositi temporanei operanti in alcuni punti del territorio nazionale, che raccolgono i rifiuti prodotti negli ospedali, nei laboratori di ricerca o in installazioni industriali, di conferire
quei rifiuti a un unico punto di raccolta che, per organizzazione e per la sua collocazione – all’interno di un centro di ricerche come quello Enea della Casaccia – offre le garanzie migliori che allo stato attuale si possono ottenere. Senza quel servizio, i margini per possibili illeciti nella gestione di quei rifiuti sarebbero probabilmente maggiori.

TUTTE LE STRADE (PERICOLOSE) PORTANO A ROMA

La perdurante assenza del deposito nazionale ha degli aspetti paradossali dei quali forse non tutti hanno la diretta percezione. A partire dalla Capitale.

Quella mancanza ha infatti finito con il trasformare di fatto nel deposito nazionale dei rifiuti radioattivi di origine sanitaria e industriale un deposito costituito da alcuni capannoni posti all’interno del comune di Roma, in una zona ormai raggiunta dall’espansione urbana e dotato di strutture del tutto diverse da quelle che un vero e proprio deposito finale dovrebbe avere. Il deposito sorge sulla via Anguillarese, circa 25 km a nord-ovest di Roma, in una zona detta “Casaccia”, termine con il quale ormai si identifica il centro ricerche dell’Enea.

All’anomalia della situazione va aggiunto un altro aspetto di criticità che la soluzione di «deposito provvisorio» offerta dal servizio integrato presenta, messo in evidenza dallo stesso commissario dell’Enea: in assenza del deposito nazionale dove trasferire i rifiuti raccolti dalla Nucleco, gli spazi disponibili per il loro stoccaggio nel centro della Casaccia sono destinati a giungere a saturazione in tempi non lunghi.

Nel deposito provvisorio – ma in Italia nulla è più stabile della provvisorietà – sono stoccati circa 6.600 metri cubi di rifiuti radioattivi. Di questi, poco più di 2 mila metri cubi sono di proprietà Sogin e pertanto di origine nucleare, mentre il resto è per la maggior parte afferente al servizio integrato. Negli impianti vi sono, inoltre, tra i 500 e i 600 metri cubi in fase di trattamento. Si tratta complessivamente, in termini di volume, del quantitativo nettamente più elevato presente in un singolo impianto e che da solo rappresenta un quarto del volume totale di tutti i rifiuti radioattivi presenti attualmente in Italia.

L’attività del deposito è d’altra parte al momento indispensabile, specifica la Commissione parlamentare, poiché, sino a quando non vi sarà il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi o non verrà comunque adottata una diversa, adeguata soluzione, esso rappresenta il migliore punto di raccolta disponibile per i rifiuti prodotti dagli svariati impieghi di materie radioattive, in particolare per l’uso dei radiofarmaci, un uso chiaramente non suscettibile di interruzioni. Sotto questo profilo, scrive sempre la Commissione, sono pienamente giustificati i termini positivi con i quali il commissario dell’Enea ha descritto il servizio integrato di cui l’ente è titolare.

Per quanto tempo verranno ancora accumulati i rifiuti radioattivi alle porte di Roma? E chi lo sa! La Commissione parla esplicitamente (e incredibilmente) di «indefinita provvisorietà». Bella e raccapricciante ‘sta frase: non l’avevo mai sentita ma rende alla perfezione il “modello Italia”.

VIVA I CONTROLLI!

Con questo quadro uno almeno pensa: chissà che fior di controlli il genio italico avrà messo in campo per tenere la situazione sotto…controllo! Come no!

Le funzioni di controllo sono svolte dall’Ispra o dalle agenzie di protezione ambientale che, con denominazioni diverse, hanno preceduto l’Istituto, sin da quando la prima di tali agenzie, l’Anpa, è stata istituita, nel 1994.

Da qualche anno, tuttavia, l’attribuzione è divenuta precaria.

Prima, nel 2009, nel quadro dell’allora programmato ritorno all’energia nucleare, era stata istituita l’Agenzia per la sicurezza nucleare, e l’Ispra aveva continuato a svolgere le funzioni di controllo in attesa che il nuovo soggetto diventasse operativo, cosa mai avvenuta; poi, quando nella mutata situazione determinatasi con la nuova chiusura delle prospettive di ritorno al nucleare l’Agenzia è stata soppressa, la legge ha previsto che tali funzioni vengano incorporate nel Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente, e le ha nuovamente affidate all’Ispra solo in via transitoria, in attesa che un decreto ministeriale non regolamentare dia attuazione all’incorporazione.

Già così c’è da perdersi! L’incorporazione, come se non bastasse,  dovrebbe avvenire nel rispetto di una condizione, che la legge stessa ricorda, che è però inconciliabile, scrivono letteralmente i commissari parlamentari, con qualsiasi attribuzione di competenze al Ministero dello sviluppo economico: l’indipendenza delle funzioni di controllo sancito dalle direttive comunitarie.

Mica male ragazzi!

Alla Commissione parlamentare sono state accennate dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro dell’ambiente soluzioni, peraltro non del tutto coincidenti, che tendono comunque alla valorizzazione delle competenze esistenti nell’Ispra e nell’Enea, «ma non sarà semplice soddisfare ad un tempo le indicazioni della legge – che ha soppresso un soggetto interamente dedicato ai controlli e ha previsto l’incorporazione delle funzioni nel Ministero – e il principio di indipendenza di tali funzioni. Né apparirebbe peraltro percorribile una via che, con un decreto ministeriale e al di fuori di ogni intervento del Parlamento, istituisse di fatto una nuova autorità di controllo».

In tutto questo, le risorse dedicate nell’Ispra alle funzioni di controllo, già notevolmente ridimensionate nel corso degli anni precedenti, «sono giunte ai livelli di guardia – concludono i commissari parlamentari – e sono oggi necessari provvedimenti urgenti, anche interni all’Istituto, affinché questo non divenga un vero e proprio impedimento per le attività di sistemazione dei rifiuti radioattivi e di decommissioning che debbono essere svolte, o non venga addirittura resa inefficace l’indispensabile azione di controllo. È auspicabile che su tutti i problemi emersi e le criticità qui sinteticamente ripresentate continui ad essere esercitata un’attenta azione di monitoraggio da parte del Parlamento».

Giusto! Il primo pensiero del prossimo Parlamento sarà quello di “decontaminare” l’Italia. Ma dalla politica o dai rifiuti radioattivi?

Buona vita cari lettori, continuo a breve con una storia incredibile!

1 – to be continued

r.galullo@ilsole24ore.com

  • ernesto |

    Eh, troppo comodo accartocciare tutte le volte i rifiuti di tutte quelle perosne da una parte e dare una spazzatina ogni tanto, il paese diventerebbe una betoniera, se non operano i camion almeno ogni 5 giorni, che paese avremo…

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