La diretta streaming sul sito del quotidiano Calabria Ora comincia puntualmente alle 15 e Alberto Cisterna, l’ex procuratore aggiunto della Dna, “trombato” del suo futuro per una inesistente corruzione in atti giudiziari (il fascicolo è stato infatti archiviato) e spedito in un angolo di Tivoli (Roma), non perde un attimo per raccontare ciò che gli è successo e che lo ha costretto a indire una conferenza stampa nell’associazione degli industriali della Città dello Stretto. A seguire la diretta setreaming siamo in 34, suppongo qualcuno in qualche ufficio giudiziario.
La conferenza stampa è infatti indetta proprio perché quella richiesta di archiviazione è uno schiaffo in faccia, che macchia ulteriormente la sua toga, già riempita (per sempre) di schizzi indelebili seppur senza riscontro. Insomma, vuole raccontare la sua verità, che giunge comunque dopo un'archiviazione.
“Se non parlassi ora significherebbe accettare questa storia – dichiara Cisterna -. Un indagato che vede archiviata una posizione solitamente organizza una festa con invitati, io farò il contrario. Vi chiedo di mantenere uno spazio intimo di valutazione su quanto è accaduto (dice rivolgendosi ai giornalisti, ndr)”.
Cisterna racconta i suoi fatti e racconta che da gennaio 2011, senza alcuna iscrizione, hanno indagato su 10 anni della sua vita, sulla sua unica abitazione, sul suo unico conto corrente. Sono state ascoltate decine e decine di testimoni, interrogati finanche i congiunti. Sono stati acquisiti 5 anni di tracciati di cellulari, con un’operazione “incessante, assillante, con l’applicazione straordinaria di un magistrato che anche se trasferita a Bologna da mesi si occupa esclusivamente della mia persona”, dichiara Cisterna.
Nessuna resistenza, si badi bene, perché il pm “trombato” per sempre, dichiara esplicitamente: “che si scavi sulla mia persona, sulla mia carta di credito e su quanto detengo e posseggo ma l’unica richiesta che ho fatto è stata dai fare in fretta. Certo è che di solito si fruga sui soldi presi e non su quelli spesi”.
Il processo penale non riuscirà mai a ristabilire la verità ma la decisione del giudice – vale a dire la richiesta di archiviazione – deve costituire una verità accettabile ma non lo è. “Ci sono fatti disonoranti”, chiosa Cisterna.
IL RACCONTO
Cisterna ricorda che il pentito Nino Lo Giudice, poco dopo aver lasciato un bazooka in giro per il Cedir o giù di lì, “repentinamente si è affidato ai magistrati reggini e subito esclude qualunque mio coinvolgimento in qualunque vicenda e dice che mi conosce come può conoscere uno spazzino”.
Il 30 novembre 2010 Nino Lo Giudice davanti ai pm esordisce: “Sono a conoscenza che mio fratello Luciano conosceva Cisterna”.
Scorrono i mesi, passano 180 giorni e nell’aprile 2011 il gip di Catanzaro dice che Lo Giudice è reticente e mendace. “Il primo giudice che si occupa di lui – scandisce Cisterna – gli da del bugiardo”.
Il 28 aprile Lo Giudice para il colpo e manda un memoriale a Catanzaro e tra i fatti decisivi che inserisce, ci sarebbe anche il fatto che Cisterna si sarebbe interessato del fratello e in qualche modo lui si sarebbe interessato alla cattura del “Supremo”, Pasquale Condello.
Interrogato, Lo Giudice dice che il fratello gli ha fatto intendere che Cisterna avrebbe avuto una grossa somma di denaro, tanto che in sede di interrogatorio, il pm che lo interroga dice: “questo lo abbiamo detto tre volte”.
A BOCCA APERTA
Quando ho aperto la busta, ha spiegato in conferenza stampa Cisterna, e ho visto che c’era il reato di corruzione per aver fatto scarcerare una persona, “ho sbagliato e per 20 giorni non ho fatto nulla”.
Il 17 giugno 2011 Cisterna incontra il suo avvocato alle 8.30 e lui stupefatto dice al proprio assistito: “ma lei ha letto i giornali? Guardi che è sulla prima pagina del Corriere della Sera”.
Ci sono stati due scontri durissimi nell’interrogatorio, ricorda Cisterna, con Giuseppe Pignatone e con la dottoressa Ronchi e mi sono state fatte domande su tabulati di mesi prima. Il procedimento è poi proseguito a vario titolo, anche disciplinare.
“Quella del 17 giugno è stata un’imboscata, non fatta da Pignatone – ha dichiarato Cisterna – visto che era in imbarazzo. Mi attendevo che vi fosse la riservatezza che il caso richiedeva”.
IL GOMMONE
Veniamo ad altro merito della vicenda. Quando nel 2002 ho acquistato un gommone di 5,50 metri, ha detto Cisterna, mi sono rivolto alle Forze dell’ordine per chiedere dove fare manutenzione e le stesse mi dissero: “Il cantiere di Spanò”.
Un giorno si presenta al cantiere un ragazzo e Spanò mi dice che mi vuole parlare Luciano Lo Giudice, che si presenta come il fratello di Maurizio. Chiacchierata senza alcun fine.
Lo Giudice Luciano vuole dare una mano per catturare Condello ma il collega della Dna disse a Cisterna che Lo Giudice non si fidava di nessuno. Negli uffici della Dna, terzo piano, in uscita Cisterna salutò il comandante dei Cc che si occupa della cattura dei latitanti e gli chiede: “Vuole conoscere uno che può portare alla cattura di Condello?”.
All’ultimo minuto chi avrebbe dovuto fare da tramite si ritira perché ha paura di essere ucciso da Condello e siamo al 2004.
Il Carabiniere interrogato dirà che è lui l’”avvocato” di Roma, che tanto farà penare gli analisti di questa vicenda.
Nel novembre 2009 viene trovato a casa di Lo Giudice un agenda con numeri di telefono ma il 7 aprile 2011 la squadra mobile di Rc non è riuscita, dice Cisterna, a identificare chi usa l’utenza intestata al Viminale.
Sette giorni dopo nell’ordinanza di Reggio si dice che l’”avvocato” di Roma è Cisterna. “Ebbene io chiedo perché dopo 17 mesi non erano riusciti a identificare chi usava quel cellulare” sbotta Cisterna.
GLI INCONTRI CON LO GIUDICE
Cisterna, per chi non lo sapesse, è stato messo in croce per i suoi rapporti
con la famiglia Lo Giudice.
Sentite cosa dichiara Cisterna (e non sta certo a me sapere se dice il vero o il falso): “Io non ho mai incontrato da solo Luciano Lo Giudice. Cosa voleva? 1) mi disse che c’è il figlio era gravemente ammalato e che aveva necessità di ricoverarlo. Capita che un mio amico della Guardia costiera conosce chi può aiutarlo e Luciano Lo Giudice ne sarà grato per anni; 2) la malattia del fratello, anoressico, ricaduto quando doveva espiare un residuo pena ma la Ronchi dice che era cicciottello anche se pesava 49,5 kg ed era in fin di vita ma vedrà che verrà fatto tutto il possibile e la magistratura di sorveglianza dichiara che è stato salvato. Questo atteggiamento sarebbe stato compensato da Luciano Lo Giudice ma non capisco in che modo. Chi, quando, quanto e dove mi sono stati dati i soldi? 3) ci fu un controllo su strada del 2005. Luciano Lo Giudice venne fermato a Villa San Giovanni e mi disse: “glielo dica che sono un uomo delle Istituzioni” ma, chiamando la stazione, dissi: “Dategli pure un calcio nel sedere ma non litigate per strada perché lei sa chi è Lo Giudice Luciano” Interrogato il tenente dei Carabinieri disse: “Mi fece capire che aveva un contatto con uomini delle Istituzioni, esplicitamente non mi disse altro ma io intuì immediatamente la sua intenzione”.
I CONTATTI
In tutto il 2007 ci furono 12 contatti di cui uno è di 101 secondi, dice Cisterna. “Mi avrà fatto gli auguri o parlato di suo figlio, non lo so”, precisa l’ex pm. Nel 2007 Lo Giudice chiama Cisterna e dice: “…l’amministrativa….”. “Gli dissi, puntualizza Cisterna: “Ci risentiamo…ma questa cosa finisce direttamente in un’informativa che va dritta dritta fino al Quirinale. Il 25 luglio 2011 furono scritte due informative. Nella seconda che viene infilata come un ago in un pagliaio in un altro processo, c’è una seconda telefonata che non c’è nella prima informativa e al Quirinale e al Csm nessuno sa nulla. Claudio Cordova pubblica la seconda informativa sul Dispaccio e nella seconda telefonata c’è Lo Giudice che parlava con Spanò: “Ho provato a chiamarlo ma mi chiude il telefono” e Spanò: “Ho ragione io? Ma perché come ti ho dimostrato che non abbiamo bisogno perché se ne avessimo bisogno ne possiamo avere nel culo…”. Una telefonata è stata nascosta e finisce in una montagna di carte di un altro procedimento”.
Nel 2009 arriva nell’ufficio alla Dna di Cisterna una lettera aperta in cui Lo Giudice riferisce “che è stato arrestato, che è innocente, che è per bene e chiude la lettera dicendo: non ho mai tradito la sua fiducia”. La lettera finisce agli atti della Dna. “Scopro che arrestano Lo Giudice per usura non aggravata da mafia e infatti – dice Cisterna – non si può dimostrare che esistesse una cosca Lo Giudice dopo la fine della guerra di mafia. Dopo qualche giorno mi chiama la moglie che mi vuole parlare per una cosa urgente e io gli dico: venga a Roma in Dna e si porti un documento. Il giorno che lei sale a Roma io gli dico, la prossima settimana sarò a Reggio mi venga incontro perché non la conosco. La settimana dopo mi avvicina con altre persone intorno e mi dice che il marito è innocente e ha parenti ammalati. Io pensavo che volesse parlarmi della sua situazione di collaboratore di giustizia e invece sono cose personali. Mi contatta ancora, ne scrivo alla Pna e mi arriva un telegramma da Tolmezzo e la trascrizione è infedele e vorrei vedere quando verranno arrestati gli uomini di stato infedeli oltre ai consulenti. Scrivo al procuratore e dico: guardate che questo vuole collaborare e dopo la terza lettera, il 7 maggio, Grasso mi dice: “Ho parlato con Reggio e mi hanno detto questo non collaborerà mai: Il 22 maggio viene intercettato Luciano con la moglie e gli dice: “adesso basta, dì all’avvocato di Roma che voglio parlare con lui così 100 andranno in galera, 99 della questura e qualcuno tra i magistrati”.
L’8 giugno Luciano arriva a Reggio Calabria ma ad aspettarlo, dice Cisterna, non trova lui ma la sua collega Beatrice Ronchi, un altro Pm e un avvocato ma il 7 giugno, poche ore prima di questa visita in carcere, dice Cisterna, “si presenta Pignatone nella mia stanza e mi dice: “Sai nulla di una videocassetta di Lo Giudice? Siccome pensavamo che ti avesse affidato qualcosa.” Non ho nulla, rispondo io, tranne due lettere e un telegramma di cui ti do copia perché Grasso mi autorizza”.
C’è anche la lettera di novembre che per il Csm Cisterna non avrebbe protocollato e occultato ma c’è un problema, dice Cisterna: “L’ho data io a Pignatone”.
Altro fatto che racconta Cisterna: i contatti durano per pochi secondi e secondo il Csm questo vuol dire che gli incontri sarebbero avvenuti di persona. “Ma quella telefonata scomparsa da un’informativa e comparsa in un’altra dimenticata – spiega Cisterna – vuol dire che non incontravo proprio nessuno”.
Dice ancora il Csm, riassume Cisterna: “Appare evidente che la consegna della corrispondenza a Grasso è stata di gran lunga successiva agli articoli sulla stampa e a fatti ormai noti…”. E qui Cisterna si inalbera: “Non sono intercorsi 10 giorni ma 1 anno e 10 giorni, il 7 giugno 2010 e non del 2011”.
Infine Cisterna torna sul famoso controllo su strada fatto a Lo Giudice, agganciandolo a una storia personale. “Un giorno mia figlia venne fermata alle 2 di notte per un controllo. Mi chiamo è io le dissi di far terminare il controllo e che poi ce la saremmo vista a casa…Io non sono intervenuto per favorire Luciano Lo Giudice: ho ritenuto di intervenire per salvargli la pelle”.
RIAPRIRE IL FASCICOLO
“Ho fiducia incondizionata nella magistratura ma la mia posizione è stata archiviata in 600 pagine che sono una sentenza di condanna sebbene siano di archiviazione. Combatto a mani nude perché l’ordinamento non concepisce che l’indagato reagisca alla richiesta di archiviazione. Chiederò che la richiesta di archiviazione venga respinta e chiedo il rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Reggio Calabria . Richiedo un giudizio immediato senza udienza preliminare e sono sicuro che portando davanti ai giudici le scorie velenose si potrà chiarire tutto. Lo debbo alla mia famiglia e a chi è sicuro della mia innocenza e del mio onore. Così potrò restituire onore alla mia toga intonsa”.
Dopo 58 minuti esatti – che vi ho riassunto al volo, termina la conferenza stampa.
RIFLESSIONI PERSONALI
Chiudo questa pagina con alcune considerazioni personali:
1) Cisterna ha atteso troppo per ra
ccontare la sua verità (e ribadisco: la "sua" verità). A chi delegittima, se questo è quel che si vuol provare, si risponde colpo su colpo. Non si attendono due anni di presunte calunnie, presunte falsità, presunte manipolazioni, presunte ingerenze, presunti travisamenti, presunti giochi sporchi e chissà cos altro prima di rispondere. Il vantaggio accumulato dall’avversario è incolmabile, le acque sono ormai torbide e nulla potrà renderle limpide;
2) Cisterna ha raccontato molto ma non perché tutto questo è successo. Eppure, al termine della conferenza stampa i colleghi glielo hanno chiesto, interrogandolo sulla possibilità di un complotto o di una cospirazione.
“Sto tirando le fila di alcuni tasselli che mi mancano – ha risposto Cisterna – e ora non posso puntare l’indice in maniera netta contro qualcuno. Poi vorrò capire come siano stati commessi gli errori ma quello che ho visto in questo processo, dal mio punto di vista è senza precedenti, è un unicum di errori, problemi e forzature. Quanto alla carriera ci ho messo la pietra tombale il 17 giugno 2011 quando ho ricevuto l’invito a comparire in doppia busta chiusa. Cosa volete che pensi, che fu causale la notizia che ero indagato, con tanto di verbali dell’11 giugno? Ma ora non gliene lascio passare una, ho fatto esposti su qualunque virgola. Qualcuno abbia il coraggio di fare processi e portare Lo Giudice davanti a tutti, a partire da me. Sono sicuro che qualcuno accoglierà il mio invito anche se il mio avvocato mi ha detto che non si celebrerà mai perché non è gestibile ma io non vedo l’ora”.
Queste le sue risposte. Ora le mie riflessioni (le ho scritte mille volte).
1) l’abile e per sempre sconosciuta regia che lo ha fatto disegnare “corrotto in atti giudiziari” nasce nel momento in cui chi deve e deve vedere, e sono in tanti, magari mentre indossano qualche grembiulino sporco, capisce che Cisterna è un valido concorrente per ricoprire degnamente il ruolo di capo della Procura di Reggio Calabria per il post Pignatone. O Cisterna o comunque uno della famosa “squadra” degli anni Novanta, che ruota intorno ai nomi di Roberto Pennisi, Enzo Macrì e compagnia cantando. Colpirne uno per educarne 100, si deve essere detta la cupola mafiosopoliticomassonica reggina. La cupola non poteva correre il rischio e abbattere Cisterna – la chiave di accensione di quel motore “pulito” che rischiava di “inquinare” Reggio, visto che è dagli anni Novanta che rompe i coglioni prima con il caso del giudice Scopelliti, poi con quella pazza idea di colpire la zona grigia della mafia calabrese – era la prima cosa da fare;
2) far fuori Cisterna voleva significare azzoppare Pietro Grasso, (ex) capo della Dna. Un azzoppamento mirato e voluto
3) far fuori Cisterna e tutto quello che la sua figura rappresenta voleva e vuol significare garantire che la cupola mafiosa sa come attivare gli anticorpi nel momento in cui qualcuno cerca di aggredire il corpo che malato è e marcio deve diventare, infettando non solo la Calabria. Gli affari sono affari e vengono prima di tutto. Volete forse che le cosche Libri, Condello, De Stefano, Tegano con la compiacenza della “mamma” sanlucota sia rimasta estranea a tale regia?
“Perché Lo Giudice deve essere salvaguardato a ogni costo? Perché? E’ impossibile”, ha concluso Cisterna mentre salutava i colleghi giornalisti, scongiurando di riaprire il processo.
Si consoli Cisterna: ha perso. Le mani, se devi usarle, le usi quando ti danno il primo schiaffo, non quando ti hanno lasciato a terra moribondo sapendo che non potrai mai più rialzarti. La cupola, anche oggi, ha goduto.