Alberto Cisterna, ex braccio destro di Pietro Grasso in Dna, muore solo: ieri colleghi, politici e società non c’erano. Paura?

Segnatevi questi nomi: Carlo Macrì, a capo della Procura dei minori di Reggio, uno che ha vissuto una vita contro le cosche dai tempi dell’anonima sequestri e la sua collega Francesca Stilla.

Segnatevi anche quest’altro nome: Aurelio Chizzoniti, consigliere regionale, politico di vecchio corso. Oltre a loro, quattro gatti tra i quali spiccavano i giornalisti molti dei quali, nonostante dovrebbero conoscere le vicende giudiziarie (vitali) della città come le proprie tasche, hanno posto all'ex pm alcune domande da far cadere le braccia. Ma forse la cosa era voluta. Rimando al post che ho scritto ieri per la cronaca della giornata (che ho seguito con altri 4 gatti in streaming sul sito di Calabria Ora, al quale va il merito di aver trasmesso la conferenza stampa).

Segnatevi questi tre nomi perché sono gli unici (due magistrati e un politico) che ieri erano presenti alla conferenza stampa reggina – aperta a tutti – dell’ex procuratore aggiunto della Dna Alberto Cisterna, indetta per reagire ad una "infamante" (così lui la giudica) richiesta di archiviazione avanzata dal Gip di Reggio nei suoi confronti per corruzione in atti giudiziari. "Infamante" – ha dichiarato Cisterna in conferenza stampa – perché contiene a suo dire cose false e perché le 500 pagine di richiesta di archiviazione della Procura di Reggio – redatte senza che sia mai stato chiamato una sola volta a fornire la propria versione – suonano per lui come una sentenza di condanna a morte. Umana e professionale. Per questo Cisterna ha chiesto di essere processato: non vuole l'archiviazione. Vuole un rinvio a giudizio. Un processo.

A parte i due magistrati, il politico e i quattro gatti giornalisti, non c’era nessuno. Dico nessuno. Nè tra i suoi colleghi di ogni parte d’Italia che prima facevano a gara a leccargli la pelandrana, sicuri di trovare una parola intelligente e di servizio nelle sue parole, nè tantomeno quelli che sulla lotta alla mafia la pensano esattamente come lui, nè tantomeno i politici che da quelle parti, a Reggio come in tutto il Sud, sono sempre pronti a correre sulla biga del vincitore. Figuratevi se salivano sul carro dell'"appestato"! 

Ricorderete – voi reggini e calabresi tutti – le decine e decine di flash che ritraggono decine di politici calabresi plurindagati a fianco dei pm più in voga in tutta la Calabria, nel corso di convegni, manifestazioni pubbliche, tagli di nastri, seminari, torte della nonna e via di questo passo. Una cosa indegna ma quelle foto – sui siti e sui quotidiani calabresi – rimarranno a imperitura memoria.

Non c’è stato un solo magistrato – a parte i citati e a parte quei pochi di cui conosco nome e cognome che non sono andati per altri motivi che pure conosco – che si è sentito il dovere di farsi vedere accanto o esprimere solidarietà o gridare tutta la sua rabbia all’”appestato”, al magistrato che fino a due anni fa loro stessi, colleghi assenti e tanti altri, vedevano volare e spingevano verso la stessa Procura di Reggio o persino verso mete più prestigiose. Vai avanti tu a fare la lotta alla cupola ‘ndranghetista, quella fatta di politica corrotta, politici punciuti, grembiuli sporchi, preti conigli, professionisti asserviti e servizi deviati. Vai avanti tu, Albè, che a noi ce viè da ride…

Zero carbonella, come diciamo noi romani. Nessuno era presente.

Perché? Semplicissimo secondo la mia erronea considerazione: per paura. Si lo so che se andaste a interrogarli uno a uno, quei nomi e cognomi di magistrati (per altro specchiati e limpidi) accamperebbero tutti delle scuse: “non volevo prestare il fianco a critiche”, “meglio agire che mostrare”, “Alberto sa che può comunque contare su di me”, “avevo un po’ di febbre”, “avevo il bambino sul fuoco e il latte che piangeva”. Scuse, scuse e scuse.

A Reggio la paura fa 90, 180, 260, si moltiplica al quadrato come i numeri in matematica. Il clima instaurato negli anni (in molti anni) è questo: inutile provare a dire il contrario. Tacete, vi prego. Reggio non è una città in cui si possa sventolare il proprio pensiero, la propria opinione, la propria faccia pulita, la propria anima linda. A meno che non si voglia pagare un prezzo. E nessuno, ormai, in Italia è disposto a pagarlo. Tutti teniamo famiglia….

A Reggio – e lo dico da molto, molto tempo prima dell’onorevole Angela Napoli, non a caso spedita a casa – la democrazia è sospesa. Non si può (e non si deve) avere il coraggio delle proprie idee e delle proprie azioni.

Chi per un motivo, chi per un altro, gli esponenti della classe dirigente, politica, giudiziaria, ecclesiastica, delle professioni, dell’imprenditoria, non ne parliamo del giornalismo, vive sotto schiaffo: o perché ha paura o perché teme le conseguenze dell’esposizione o perché (ma qui siamo nel campo degli impresentabili) ha tanto da nascondere.

Dico a tutti i suoi colleghi e agli uomini dello Stato colpevolmente assenti (assolvo quel manipolo che non è andato per altri e in parte condivisibili motivi) che – si badi bene, non da ieri ma da anni – hanno lasciato solo Cisterna, una sola cosa: ma come potete tornare a casa e guardarvi in faccia allo specchio? La vostra giacca sarà pure immacolata – del resto schizzata di fango è quella di Cisterna – ma la vostra anima?

E la politica? Ma si quella politica parolaia e politicante che a Reggio si riempie la bocca del vuoto pneumatico e lo sputa sotto forma di infami libercoli e di inutili appelli alla legalità e alla democrazia! Dov era la politica di destra (che poteva finalmente guardare in faccia un uomo professionalmente morto, ritenuto falsamente un nemico dimenticando che la Giustizia non ha e non può avere colore politico)? Dov era la politica di sinistra che al telefono ti rompe i coglioni un giorno sì e l’altro pure per dirti che finalmente a Reggio l’aria è cambiata ma poi ha paura anche della propria ombra? Ma cambiata – dico io – in che senso?

Dov era la politica tutta che – a differenza della magistratura che aveva il dovere di interrogarsi su quanto successo a Cisterna e presenziare ad un evento più unico che raro come quello dell’annuncio della ricusazione di un’archiviazione – non aveva doveri ma solo oneri: quelli che toccano a chi, per esercitare al meglio il proprio mandato, deve capire cosa sta succedendo e cosa si nasconde dietro una delle pagine più buie e nere della nostra, della loro recente vita democratica. Perché il caso-Cisterna (qualunque sia l’epilogo e chiunque abbia ragione) questo è. E questo lo dico e lo direi se al posto di Cisterna ci fosse stato qualunque altro: chi, come lui, ha segnato la città con le sue indagine (quelle andate bene e quelle fallite), va comunque ascoltato. Che poi ciascuno si formi la propria opinione.

E la società civile? Quella che si incazza se gli dici che non esiste, per due banali motivi: 1) ad una società civile non può contrapporsi nell’espletamento della vita democratica una incivile (ergo: è inutile chiamarla civile); 2) a Reggio la coscienza democratica è prossima allo zero e il motto quotidiano è “a chi n’appartini?”.

Ma si quella società che riempie le città di manifesti deliranti, che si fa turlupinare dalla politica parolaia e parolante, che si mette in saccoccia i quattrini della politica stessa, per mandare avanti strutture e associazioni, che fa carriera (del gambero) sulle morti? Dov è? Dov era ieri? Fosse stato anche solo per capire cosa sta succedendo in questo scontro furioso traconcetti di intendere la lotta alla cupola mafiosa distanti anni luce.

Qui, signori miei, non stiamo assistendo allo scontro tra magistrati (è chiaro e palese come la luce del sole che ridurlo a questo sarebbe fare strame dell’intelligenza dei contendenti) ma di valori e principi tradotti in azioni o inazioni.

Ma dico io: anche solo cercare di capire, no? Mica dico che ha ragione Cisterna ma magari può averla e se così è vuol dire che la cupola massonicopoliticomafiosa che avvolge Reggio e l’Italia tutta ha vinto: fuori Cisterna dai coglioni, Grasso azzoppato e affari garantiti per i prossimi 100 anni all’ombra delle logge deviate…

 

 

r.galullo@ilsole24ore.com

  • teller |

    Vedete, ogni 5 o 6 giorni bisognerebbe ricordare che, nessuno oggi giorno è capace di giornalismo serio nel senso della parola, cioè, non avere paura delle altre persone, non ‘nascondere’ delle informazioni, e dire qualche verità, e ‘sviscerare i problemi’, e non indicare come persone che si sottraggono al confronto persone di talento, mi complimento.

  • GALULLO |

    Caro Zorro
    Il suo commento è davvero prezioso. Lei è persona garbata e pone delle belle questioni alle quali cercherò di rispondere con la stessa identica franchezza (che del resto lei conosce essendo lettore di questo blog: 1) non mi piace rispondere agli sconosciuti. Zorro è una maschera e a me con le maschere non piace parlare. Al coraggio delle idee deve seguire nome e cognome. Sulla Rete la maleducazione dilaga e non presentarsi è un’abitudine deprecabile. Lei sa chi sono io. Io non ho lo stesso piacere. E’ vero che potrebbe mettere nome e cognomi falsi ma a tutto c’è un limite; 2) io non ho feeling con nessuno a parte me stesso. Me ne fotto di Cisterna, di Macrì e di qualunque magistrato al mondo. Se lei segue questo blog (non credo sempre perché altrimenti alcuni suoi dubbi sarebbero dissipati in origine) sa che sono anni – dico e ripeto: anni – che in-di-pen-den-te-men-te da tutto pongo un problema di tenuta democratica a Reggio e in tutta la Calabria. Il tema della lotta alla vera ‘ndrangheta è opinabilissimo contrariamemte a quanto afferma il pm Francesco Curcio che conosco personalemente e stimo da anni. Questo (forse lei si è perso un post scritto pochi giorni fa) non mi ha impedito di criticare duramente la sua relazione sulla mafia a Reggio. Ergo: io non getto benzina sul fuoco ma faccio quello per cui mi pagano: il cane da guardia della democrazia senza guarxcare in faccia a nessìsuno: da Cisterna a Pigantone .3) quanto al cerchiobottismo non capisco cosa voglia significare non praticandolo 4) sulla Laganà le racconto un episodio. Scrivo delle vicende Fortugno da quando uccisero suo marito. Ebbene (e se la Laganà leggesse questo post potrebbe solo confermarlo) per alcuni mesi mi tolse il saluto perché riteneva che le mie cronache (allora sul quotidiano oltre che sul blog) fossero troppo crude e, come dire, disallineate dal contesto delle cronache calabresi. Mi dispiacque per lei: io non guardo in faccia a nessuno. Ma il problema, caro Zorro, è che lei mi imputa lo stesso difetto che mi imputano decine e decine di lettori: non parlare di questo, questo o quell’altro. Lei di Laganà, un altro del porto di Corigliano, un altro di quello che accade a Vibo etc etc. Ricevo mail ogni giorno di questo tenore: Galullo lei non vuole scrivere di questo: perché? Signori miei: la Calabria è marcia dalla testa ai piedi. E’ un verminaio e io, francamente, non riesco a seguire i mille stimoli che arrivano ogni giorno e devo sempre tenere conto che “mamma Reggio” è la mamma di tutte le battaglie. So bene che la vicenda Laganà/Asl è deplorevole ma crede che non lo sappia e non lo condivida? Ma scrivere di tutto quel che accade in Calabria, mi creda, è impossibile. 5) guardi che io la stampa e i media calabresi li seguo tutti ma ognuno nella vita fa delle scelte: io seguo con particolare attenzione quel che scrivono alcuni e non talatri giornali/media anche se per la cronaca nessuno dei direttori dei giornali calabresi è mio amico né ci tengo che lo siano. E’ chiaro? Quindi nessuna parzialità di mia informazione ma solo legittima e cristallina scelta su quali media citare nelle loro (per me) puntuali cronachge e disamine.
    Cari saluti
    roberto

  • maria cento |

    Alberto Cisterna ha ragione da vendere, sono i colleghi magistrati e i politici assenti o corrotti a doversi vergognare. Se avessi saputo della conferenza stampa ci sarei stata io, semplice cittadino, ma purttroppo non si sarebbe accorto nessuno della mia presenza, non sono un personaggio pubblico.

  • b |

    caro galullo,
    ne’ il giorno della civetta parrinieddu, il personaggio che interpreta il doppio ruolo di confidente dei carabinieri e del capo mafia, quando viene messo alle strette dal capitano bellodi per farlo testimoniare in aula nel processo contro il boss e la sua organizzazione risponde – “in aula mai si disse!!!”
    l’insistenza del capitano a farlo testimoniare ha comportato la sua delegittimazione e quindi l’assassinio. ora non può che definirsi meritoria l’azione di cisterna di cogliere e coltivare le intenzioni di pentimento di luciano lo giudice, però, non si può allo stesso tempo, ignorare che la mafia trae linfa vitale dalle confidenze: non sono altro, i confidenti, che personaggi a mezzadria tra lo stato e l’antistato. il pentimento, invece, qualora fosse reale, potrebbe portare veramente al superamento delle mafie. così non è. e le circostanze tra i fratelli lo giudice sono lì a testimonianza di ciò: a detta di cisterna, pare che luciano abbia rifiutato di collaborare con la giustizia solo perché i pp.mm. erano diversi da quelli i quali lui si fidava. ha accettato, invece, nino lo giudice, e, guarda caso, ha accusato, ingiustamente a quanto pare, proprio quel pm di fiducia del fratello. insomma, fosse ancora attiva la mafia di don mariano chi sa quale dei due fratelli farebbe la fine del parrinieddu. lei dice galullo che la cupola calabrese su questi fatti se la ride. ritengo invece, sia da parte dello stato, sia da parte dell’antistato, non ci sia altro che piangere. e, piangere lacrime amare!
    infatti, la storia con il pentimento di luciano sarebbe stata scritta con gli arresti di una buona fetta della polizia di stato. con nino, invece, sono stati arrestati i carabinieri. in entrambi i casi, però, sarebbero identici i mafiosi. c’è da chiedersi se non abbia ragione grillo quando afferma che la mafia è stata infiltrata dallo stato.

  • antonio |

    il sud italia onesto e morto insieme a lui questo eh il dramma

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