Non è ancora mezzogiorno del 14 gennaio quando il commissario parlamentare antimafia Mario Michele Giarrusso (M5S), guardando in faccia Giovanni Tamburino, Capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, gli pone secco una domanda. Eccola: «Come è possibile che non si apra un'inchiesta interna per stabilire chi, come e perché sia stato scelto proprio quel detenuto per la socialità con Totò Riina?». Il riferimento è alla polemica furiosa su quelle allegre passeggiate nel carcere di Opera tra il boss di Cosa nostra e l’apprendista pugliese Alberto Lorusso, con il lungo seguito di minacce a destra e manca (in primis il pm Nino di Matteo e i suoi colleghi del pool palermitano impegnati nel processo sulla trattativa Stato-Cosa nostra)-
Tamburino risponde in maniera chiara ed esaustiva. «Tutte le volte in cui si deve decidere se fareun abbinamento con un altro detenuto di 41-bis si chiede all’autorità giudiziaria. Anche in questo caso è avvenuto così; è stato mandato un elenco di nomi alla Direzione nazionale antimafia e, all'interno di questo elenco, la Direzione nazionale antimafia ha scelto il nome di Lorusso».
La Dna è l’unico organo giudiziario che ha una visione complessiva, nazionale, e dal momento che in questo caso, come in altri, si tratta di scegliere eventualmente se mettere un detenuto che appartiene a un'altra organizzazione – in questo caso pugliese ma poteva essere diversa o venire dal terrorismo – «chi può valutare l’opportunità o meno, il rischio e le tante altre valutazioni non può essere altri che un organo centrale – chiarisce Tamburino – che conosce e domina, per così dire, tutta la materia. In questo caso, la Direzione nazionale antimafia, che ha un magistrato specializzato, che di questo si occupa, ha indicato quel nome nell’ambito dell'elenco di nomi che erano stati trasmessi come possibili persone da mettere insieme a Riina. Tutto questo è documentato».
Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dunque messo la parola fine. Basterà per placare le polemiche?
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