Processo Crimine/ Passa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il punto fermo per dare la caccia ai sistemi criminali

Cari lettori da ben tre settimane (ma ne vale la pena) sto analizzando la minuziosa e preziosa ricostruzione contenuta nelle 2.079 pagine di memoria depositate a fine 2013 dai pm della Dda di Reggio Calabria Antonio De Bernardo e Gianni Musarò nel processo d’appello Crimine. Non tutta ovviamente (gli spunti sono tantissimi e di livello) ma solo alcuni aspetti (si veda a piè di articoli i link di rimando).

Anche venerdì scorso sono e siamo rimasti ancorati alla parte – a mio modesto, umile e umido avviso – straordinariamente interessante di questa memoria, vale a dire quella in cui i due pm si tuffano sul “sistema” criminale che sta divorando la Calabria e su per li rami l’Italia tutta, con una rete di connessioni estesa a ogni altra tessera del “sistema” (Sicilia e Lazio innanzitutto).

Per terminare l’analisi (mi rendo conto assolutamente parziale e non esaustiva) della importantissima e fondamentale memoria depositata dai due pm vorrei essere chiaro e lineare. Come ho già accennato in uno dei post di questa lunga catena di articoli, mi auguro che la ricostruzione della pubblica accusa venga confermata (e arricchita) in Appello. Solo così, infatti, sarà possibile mettere un punto fermo e non essere costretti, ogni volta, a ricominciare tutto daccapo. Un punto fermo che va ben oltre i confini calabresi e abbraccia l’Italia intera, visto che i sistemi criminali sono come un puzzle: se manca una tessera il disegno non si fa.

Se la Procura di Reggio Calabria è convinta che l’unitarietà riconosciuta in sentenza definitiva (ergo, anche all’eventuale vaglio della Cassazione) sia un passo vitale (anche) per dare la caccia al “sistema”, non resta che sperare in una rapida soluzione giudiziaria in tale senso.

Per fare poi cosa?

Quel che la stessa Procura prospetta, vale a dire andare oltre quel che oggi, a “occhio nudo”, è già possibile vedere. E chi non vede è perché non vuole.

IN PARLAMENTO

Chiunque di voi, di noi, è autorizzato a pensarla come vuole. La realtà processuale e giudiziaria è altro rispetto alle ricostruzioni giornalistiche e al sentire (più o meno comune) di una collettività e dunque io continuo a pensare che è bene ripartire (rectius: continuare) da quanto il pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo disse il 27 ottobre 2010, alle ore 23.00, sedendosi davanti alla Commissione parlamentare antimafia. Saranno le 23.45 quando si alzerà.

Quarantacinque minuti di audizione nei quali risponderà punto per punto alle domande dei commissari e integrerà quanto, poco prima, riferito dal suo ex capo in Procura, Pignatone Giuseppe (si vedano i miei post in archivio del 3 e 4 maggio 2011).

Lombardo ricostruì per filo e per segno la geografia criminale della città di Reggio. Ad un certo punto dell’audizione, contò fino a 100, respirò profondamente e dosò ogni parola sul rapporto tra mafia e politica. «Lo spaccato che viene fuori dalle indagini (e si riferisce all’inchiesta Meta ndr ), questo è un dato oggettivo – esordì Lombardomette in contatto determinati ambienti criminali con esponenti politici».

Lombardo – e ricordiamo che non aveva ancora debuttato l’indagine Breakfast che, poco meno di due anni fa apportò a questa ricostruzione elementi ancora più preziosi – andò avanti. «In relazione alle risultanze emerse dalle indagini siamo ben consapevoli, o almeno questo è mio costume e del dottor Pignatone, con il quale ho uno scambio continuo di idee oltre che di strategie investigative, se così le possiamo chiamare – continuò Lombardo –  che un’indagine bisogna costruirla per gradi. Ci siamo trovati a confrontarci, lo sottolineo, con tutta una serie di mafiosi sulla carta. Passatemi questo termine che a me non piace utilizzare, se non ci sono sentenze passate in giudicato, ma solo al fine di far comprendere meglio quale sia la nostra impostazione».

Mafiosi sulla carta”è una allegoria che trovo spettacolare e, al tempo stesso, orribile. Dice tutto. Dice di personaggi politici, professionisti, massoni deviati, uomini sporchi dello Stato, che tutti sanno essere mafiosi nell’anima ma un conto è saperlo (e starne lontani, sport poco praticato dall’intellighenzia reggina e calabrese e dalla classe dirigente che esprime) e un conto è dimostrarlo. Fino a quel momento tutti sono innocenti. Eccolo lì lo scoglio vero: passare dai pensieri all’azione, dalla teoria alla pratica giudiziaria e processuale, dalle parole ai fatti. Dare continuità alle indagini senza guardare in faccia a nessuno.

Ricordo (ero presente) ciò che disse il capo della Procura di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, all’atto del suo insediamento: obbligatorietà dell’azione penale e legge uguale per tutti.

Fatto sta che Lombardo fu chiarissimo. «Perchè mafiosi sulla carta? Molti di questi soggetti – disse il sostituto – pur essendo indicati nelle varie informative come soggetti appartenenti all’una o all’altra cosca o legati a Tizio o Caio, in realtà, a livello processuale, non hanno niente a loro carico». Vergini anche se financo i muri sanno chi comanda a Reggio e in Calabria.

Eccola qui la mia riflessione conclusiva. Ma sappiate che non scopro nulla di nuovo. Neppure sotto il profilo dei decenni (nella migliore delle ipotesi) persi in tutta Italia nel dare la caccia all’evoluzione delle mafie 2.0.

Come ama spesso ripetere il Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato,

il “sistema criminale” altro non è che l’evoluzione logica – e non ancora completata – di quanto il 25 aprile 1865 il prefetto di Palermo Filippo Antonio Gualterio scrisse nella relazione che inviò al ministro degli Interni quando per la prima volta comparve quella magica parola: mafia. O di quanto scrivevano Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti nella “La Sicilia nel 1876, Firenze, Barbèra, 1877. Vol. I. Leopoldo Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia – Vol. II. Sidney Sonnino, I contadini in Sicilia”.

Come ama ripetere Scarpinato, in qui volumi c’è tutto ed è già descritto cosa era e cosa sarebbe stata la Mafia 2.0.

8 –the end ma solo per ora(le precedenti puntate sono state pubblicate l’ 8 gennaio http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/01/unitariet%C3%A0-della-ndrangheta-le-analisi-dei-pm-antimafia-de-bernardo-e-musar%C3%B2-e-le-lancette-mafiose-del-tempo.html, il 9 gennaio http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/01/lunitariet%C3%A0
-della-ndrangheta-loligarchia-al-comando-secondo-lanalisi-dei-pm-antimafia-de-bernardo-e-musar%C3%B2.html
, il 10 gennaio http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/01/i-pm-antimafia-de-bernardo-e-musar%C3%B2-sistemano-per-sempre-don-mico-oppedisano-non-%C3%A8-il-provenzano-della-calabria.html, il 14 gennaio http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/01/la-memoria-nel-processo-crimine-della-dda-di-reggio-calabria-e-il-detto-san-luca-regna-reggio-governa.html, il 16 gennaio http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/01/processo-criminedda-di-reggio-vuole-mettere-a-nudo-il-sistema-che-ha-rapporti-protegge-e-rafforza-la-ndrangheta.html; il 17 gennaio http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/01/processo-criminela-dda-di-reggio-calabria-apre-un-mondo-sul-sistema-zumbo-collaboratore-esterno-di-una-parte-del-si.html).