Cari lettori, da qualche ora sto affrontando con voi la lettura di una delle parti (a mio avviso) più interessanti della relazione del sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio, confluita nel Rapporto di fine 2013 della Dna e spedita il 24 gennaio alle Istituzioni in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2014. Inoltre oggi sul Sole-24 Ore a pagina 13 ho dedicato un’ampia inchiesta su alcuni interessantissimi profili del Rapporto Dna (interdittive antimafia e operazioni sospette).
Abbiamo visto il cambio di passo nella relazione, nel momento in cui Curcio passa a descrivere quei soggetti «indispensabili» alla ‘ndrangheta. Tanto che, mi sono chiesto, se sono indispensabili vuol dire che senza di essi ‘ndrangheta non è ma, appunto, è altro. Qualcosa di più letale ed evoluto, quella ‘ndrangheta 2.0 che sto descrivendo da anni, fatta di massoneria deviata, professionisti marci, Stato infedele e, appunto, cosche.
Se mi avete seguito nel precedente articole (rimando in coda ai link per leggerlo qualora non lo aveste fatto) sapete che una parte fondamentale della relazione di Curcio è quella dedicata a Giovanni Zumbo, che Curcio descrive soavemente come «commercialista/custode giudiziario/massone/collaboratore dei servizi d’informazione/ amico della ‘ndrangheta».
La vicenda Zumbo consente di misurare quale sia il livello al quale è giunta la capacità d’infiltrazione della ‘ndrangheta. Che per Curcio supera i pure preoccupanti (ed endemici) rapporti fra livello mafioso e livello politico locale, o fra elementi, anche di rilievo, del sodalizio mafioso ed appartenenti a qualche struttura periferica degli apparati statali. «Qui il contesto è diverso – spiega infatti Curcio a pagina 127 della relazione – . Parliamo di un appartenente al ceto professionale della borghesia cittadina, che coniugando i normali rapporti che un professionista può avere con la classe dirigente anche statale, con quelli con la ‘ndrangheta, riusciva a fare da trait de union fra la parte malata della prima e la seconda. E che il caso non sia isolato è confermato da numerose e rilevanti indagini sviluppate nel periodo in esame da cui è risultato che non trascurabili settori della borghesia professionale e dell’imprenditoria che per ragioni professionali e sociali erano in grado di avere rapporti con esponenti delle Istituzioni, della Magistratura, della politica, erano, contemporaneamente, proni alla Mamma di Polsi».
Ma Curcio – lucido ed eretico, folle e visionario – va oltre e spiega che le stesse vicende relative alla fuga del nano Antonino Lo Giudice, alla dinamica delle sue conseguenti esternazioni pubbliche, al contesto relazionale della sua famiglia ed in particolare di suo fratello Luciano (che, peraltro, non ha mancato di vantare, anche nel corso di recenti udienze dibattimentali, i suoi rapporti con esponenti delle Istituzioni ) al coinvolgimento del gruppo mafioso dei Lo Giudice – risultante dalle sentenze pronunciate anche in grado di appello dalla Autorità giudiziaria di Catanzaro anche nel 2013 – nei gravissimi atti intimidatori del 2010, in danno dei vertici della magistratura inquirente reggina, «sono tutti elementi che, con certezza, non riconducono ad uno scenario esclusivamente ‘ndranghetista, ma, piuttosto, ad una convergenza fra diverse entità ed interessi, il cui accertamento, questo Ufficio, al pari della Procura di Reggio Calabria, ritiene sia una priorità dell’azione investigativa. L’impegno in questa direzione è positivamente dimostrato dalle penetranti attività investigative che hanno consentito alla Dda di Reggio Calabria di giungere alla cattura di Nino Lo Giudice a circa 5 mesi dalla sua fuga».
Devo dire che, sapendo che le indagini sono affidate a magistrati come Curcio (e anche altri, sia ben chiaro) e a due Procure come quelle di Reggio Calabria e quella nazionale di Roma guidate da capi come Federico Cafiero De Raho e Franco Roberti, i motivi di speranza nell’andare oltre gli stereotipi mafiosi sono alti.
2 – to be continued (si veda anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/02/rapporto-dna-2013unitariet%C3%A0-della-ndrangheta-direttamente-proporzionale-alla-profondit%C3%A0-delle-sue-relazioni-esterne.html)