Rapporto Dna 2013/Unitarietà della ‘ndrangheta direttamente proporzionale alla profondità delle sue relazioni esterne – Il caso Zumbo

Sono certo che il tempo – per l’ereticità lucida, corrente di pensiero minoritaria e allo stato scarsamente influente, alla quale mi pregio di appartenere –sarà galantuomo.

Sono certo che i “lucidi eretici” che da anni affermano la necessità di superare gli stereotipi sulla ‘ndrangheta, vedranno riconosciute le proprie ragioni.

Sono certo che troppi anni siano stati persi per sigillare, nella lotta investigativa e processuale alla ‘ndrangheta, il “noto” e non affrontare, così, l’”ignoto”. Che poi è un modo elegante e a prova di bomba per celarsi dietro una falsa verità: investigatori, magistrati e giudici devono restare ancorati alla realtà e non possono inseguire fascinazioni. Falso: così le verità saranno sempre mezze verità e il nocciolo della fusione nucleare mafiosa sarà sempre fuori dai radar di investigatori e inquirenti.

Lo stesso Capo della Polizia, Alessandro Pansa, il 23 gennaio, davanti allo Commissione parlamentare antimafia dirà: «Se mi consentite, sulle organizzazioni criminali italiane vorrei fare un'ulteriore considerazione. Noi oggi abbiamo una fotografia analitica, completa e abbastanza precisa, ma a mio avviso è pur sempre una fotografia. Se noi non siamo attenti a cogliere i segnali di trasformazione di dinamiche interne, rischiamo di avere davanti sempre la stessa fotografia e non riusciamo a cogliere i mutamenti che avvengono. Sullo scenario nazionale e sullo scenario internazionale la criminalità si atteggia in forme diverse.
Non è pensabile che con una crisi finanziaria importante, seguita da una lunghissima crisi economica, nella presenza e negli scambi che intervengono tra le organizzazioni criminali italiane e le organizzazioni criminali straniere non si sia innescato un meccanismo di trasformazione. Di conseguenza, l'azione investigativa per noi è fondamentale non soltanto ai fini della consecuzione delle prove e dell'incriminazione dei soggetti, ma soprattutto a fini conoscitivi, per cogliere quegli elementi che facciano in modo che noi fra qualche anno non ci troviamo di fronte ad un mondo completamente nuovo, che contrastiamo con strumenti obsoleti o comunque con conoscenze non adeguate al momento
».

Non sono certo che il tempo dirà che i visionari di oggi saranno gli apprezzati analisti di domani (anzi, sono convinto che l’asfalto della mediocrità del pensiero unico coprirà ogni guizzo intellettivo). Ciononostante ci spero e quando leggo nel Rapporto 2013 della Dna (al quale oggi ho dedicato un’ampia inchiesta sul Sole-24 Ore a pagina 13) analisi come quella del sostituto procuratore nazionale antimafia Francesco Curcio (che dopo aver speso decine di convincenti e autoconvincenti pagine sulla necessità di brindare “alla” e blindare “la” unitarietà verticale della ‘ndrangheta, vira sapientemente sulla sua evoluzione), la mia speranza cresce. Forse (forse) i miei nipoti vedranno anche processualmente provata l’esistenza del “nocciolo” nucleare mafioso, fatto pure di ‘ndrangheta. Ma non solo.

A pagina 125 del Rapporto firmato dal capo della procura Franco Roberti, con sublime leggerezza, Curcio scrive: «Invero, la lungimiranza dell’azione investigativa che ha consentito di accertare che la ‘ndrangheta è struttura unitaria, è tutta in un rapporto proporzionale che non viene mai sufficientemente (e, forse, prudenzialmente) spiegato.

Alla lunga, infatti, la dimostrazione della solidità, della compattezza, della unitarietà della ‘ndrangheta sarà direttamente proporzionale alla dimostrazione processuale dell’entità, della profondità e della gravità delle relazioni esterne che saranno individuate».

Sublime e lucido eretico, Curcio.

Una lucida ereticità che lo porta, forse d’un fiato, forse invece con ragionata pacatezza, a fare il nome di un «campione, secondo l’impostazione accusatoria, della cosiddetta area grigia reggina». Il nome è quello di Giovanni Zumbo, «commercialista/custode giudiziario/massone/collaboratore dei servizi d’informazione/ amico della ‘ndrangheta». Un campione, dice Curcio. Al massimo un modesto galoppino, dico io, se paragonato a quanti – tra professionisti, politici e servitori infedeli dello Stato ad altissimi livelli – sono stati allevati a codici e “vangelo” e restano purtroppo ancora nell’ombra. Uomini della cupola che restano troppo a lungo impuniti perché invisibili.

Quello di Zumbo è un caso emblematico di concorso esterno, che ha trovato, anche sul piano probatorio, la sua più logica e ragionevole spiegazione, scrive Curcio, proprio grazie alla ricostruzione “unitaria” della ‘ndrangheta.

LA CARRIERA DI ZUMBO

Già con la sentenza del 16 luglio 2012 del Gup di Reggio Calabria, la posizione di Zumbo aveva avuto una sua prima significativa verifica processuale in sede di giudizio abbreviato con la sua condanna a cinque anni di reclusione per il delitto di fittizia intestazione di beni (si trattava di società operanti nel settore della commercializzazione di materiali edili – che controllavano una parte del capitale privato della municipalizzata Multiservizi Spa – riferibili e controllate a noti appartenenti alla cosca Tegano operante a Reggio Calabria all’interno del “cartello” egemone Tegano-De Stefano ). In tale ambito l’apporto di Zumbo era stato particolarmente rilevante mettendo a disposizione del sodalizio tutto se stesso e, quindi, non solo le sue capacità professionali per costruire l’architettura delle società controllate dalle cosche reggine, ma, anche, utilizzando suoi congiunti quali prestanome dei Tegano.

E tuttavia questa vicenda processuale, era, per così dire, di “contorno” (scrive Curcio a pagina 126 del Rapporto) rispetto ad altre due ben più inquietanti:

1) quella della cosiddetta indagine Reale nel cui ambito Zumbo venne arrestato ( con misure cautelari confermate nelle varie sedi) e, poi, il 4 luglio 2011, rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, per essere risultato uomo legato alla ‘ndranghetae, in particolare, vicino alla famiglia Ficara che , insieme a quella dei Latella, era pienamente inserita nel cartello reggino dei De Stefano-Tegano. In particolare, fra l’altro, è emerso che Zumbo, attraverso collusioni con apparati giudiziari e/o investigativi, accedeva a notizie riservate sulle più delicate indagini svolte nella Provincia di Reggio Calabria in materia di criminalità organizzata, le cui risultanze comunicava ai suoi sodali ‘ndranghetisti;

2) quella di cui, ancora una volta, Zumbo, unitamente a Giovanni Ficara, veniva tratto in arresto per detenzione e porto dell’ arsenale di armi rinvenuto nel gennaio del 2010 in Reggio Calabria, in zona prossima al luogo ove sarebbe passato il Presidente della Repubblica in visita nel capoluogo calabrese.

Il 4 marzo 2013 il Tribunale di Reggio Calabria, proprio con riferimento alla contestazione di concorso esterno in associazione mafiosa, ha condannato Zum
bo
a 16 anni e 8 mesi di reclusione.

La sentenza è assolutamente illuminante e, vista in prospettiva, se sarà confermata nei successivi gradi di giudizio, potrà essere considerata una vera e propria pietra miliare nella storia giudiziaria calabrese e nella storia giudiziaria della ‘ndrangheta.

Illuminante, secondo Curcio, per tre ordini di ragioni:

1) perché è una pronuncia importante, sia in termini giuridici che in termini criminologici, sul concorso esterno in associazione ‘ndranghetista;

2) perché, appare determinante in funzione della dimostrazione dell’unitarietà dell’organizzazione ‘ndranghetista;

3) perché, in fatto, descrive meglio di qualsiasi trattato in materia, l’intreccio (che si realizza in un unico soggetto) fra ‘ndrangheta, massoneria e attività dei servizi di sicurezza.

In termini giuridici la sentenza, passando in rassegna alcune formidabili conversazioni captate in ambientale fra Giuseppe Pelle e Giovanni Ficara, evidenzia in modo plastico la stessa essenza del concorso esterno.

I due boss discutevano dell’importanza e della precisione delle informazioni fornite da Zumbo, che a differenza loro era in grado di avere rapporti con entità diverse e superiori e, testualmente, affermavano che seppure gente come Zumbo non era «dei loro» pur tuttavia erano per l’organizzazione «indispensabili» (Pelle affermava «…questi sono indespensabili!.. ») definendo così, in modo laico e non giuridico, ma estremamente concreto, sia la figura del concorrente esterno che la rilevanza del contributo che fornisce alla vita del sodalizio.

A casa mia – dove alligna la lucida ereticità – basterebbe già solo questo concetto di «indispensabilità» di soggetti terzi alle cosche, per affermare che la ‘ndrangheta è da tempo entità diversa dalla iconografia statica rappresentata dai più, ma lasciamo perdere e andiamo avanti. Se sono «indispensabili» – mi domando da bambino di modesta intelligenza quale sono – come si può parlare di ‘ndrangheta (2.0) senza la loro presenza? E’ come dire che il portiere è “indispensabile” in una squadra di calcio: senza è un’altra cosa.

 

ALTRI ELEMENTI

La sentenza (ricordiamolo: di primo grado) fa venire alla luce un ulteriore aspetto, particolarmente inquietante, della vicenda che riguarda Zumbo: quello dei suoi ruoli istituzionali o para-istituzionali, che si incrociano – nella stessa persona – con quelli criminali.

Zumbo, per Curcio e dunque per la Dna, oltre che indispensabile supporto della ‘ndrangheta, era amministratore giudiziario e collaboratore “esterno” dei servizi d’informazione ed iscritto ad una loggia massonica. E se, quanto a possibili interazioni – attraverso Zumbo o altri soggetti di simile collocazione – fra l’entità ‘ndranghetista e quella massonica (o meglio, massonica/deviata) le indagini e le dichiarazioni raccolte non consentono ancora, allo stato, di formulare ipotesi accusatorie, e se ancora, quanto al ruolo di amministratore giudiziario infedele dello Zumbo, poco vi è da aggiungere alle chiare condotte collusive poste in essere in favore dei Molè, così come evidenziate dal Tribunale di Reggio Calabria, deve, invece, sottolinearsi, il rapporto fra Zumbo e gli ambienti investigativi e d’informazione con i quali collaborava.

Ed il problema non sono le informazioni che forniva – peraltro, da quanto emerso, neppure particolarmente rilevanti rispetto a quelle che avrebbe, invece, potuto fornire – ma quelle che riceveva. Ed in tutta evidenza, rammenta Curcio, si trattava di notizie – di eccezionale rilievo (per la ‘ndrangheta) – che riceveva (necessariamente) da ambienti investigativi e/o deputati alla raccolta d’informazioni.

Ma su questo tornerò a breve.

1-to be continued

r.galullo@ilsole24ore.com