A differenza di molti (beati loro) ammetto di non avere affatto le idee chiare sulla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere.
Da una parte mi repelle l’idea che lo Stato venda cannabis e da essa tragga profitto, dall’altra mi rendo conto che già lucra sull’assuefazione da tabacco e alcool. Una contraddizione dietro l’altra, atteso anche il fatto che il peso del welfare di Stato e della sanità pubblica legato alla dipendenza da tabacco e alcool ricade sulle nostre tasche.
Lo dico senza vergogna: non farei accedere alla sanità pubblica né tabagisti né consumatori abituali di alcool, ma questo è un altro discorso.
Torniamo alla legalizzazione e al motivo per il quale molti (non tutti) tra gli esperti e i politici che seguono questa tematica (un ddl giace da tempo in Parlamento) vorrebbero introdurla.
Il motivo, si dice, è che l’intervento dello Stato prosciugherebbe buona parte dell’acqua nella quale nuota (e si arricchisce) la filiera del traffico della criminalità organizzata. Ho i miei fondati dubbi ma una cosa è certa: restare a guardare senza prendere una decisione non è possibile perché gli effetti indesiderati sono più alti di quanto una collettività possa sopportare. L’ultimo caso del giovanissimo suicida a Lavagna (Genova) a seguito di una perquisizione della Gdf a caccia di cannabis, la dice lunga sulla disattenzione corale al problema.
QUI PALERMO
Se volete un esempio di quanto possano rendere anche le cosiddette droghe leggere, eccovi accontentati.
Ieri l’Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico della Questura di Palermo ha individuato un’estesa piantagione “indoor” di droga e sequestrato oltre 250 piante di marijuana.
L’operazione ha consentito di proseguire il contrasto dell’attività di produzione e di spaccio di droga nelle zone di Palermo e della sua provincia, la cosiddetta “droga a Km 0”.
In questo caso le antenne dritte della (sola) Polizia (visto che la vigilanza della popolazione in certi contesti è prossima allo zero) hanno dapprima avvertito una sorta di ronzio proveniente dagli scantinati di un immobile, che unito all’odore dolciastro della cannabis non lasciava adito a dubbi.
I poliziotti una volta entrati si sono trovati di fronte ad una vera e propria piantagione “indoor”, creata artificialmente con l’ausilio di lampade alogene e di umidificatori montati ad arte in uno scantinato dello stabile, oltretutto mediante un abusivo alla rete elettrica cittadina. Una piantagione ricca: 250 piante per un valore complessivo di vendita, al dettaglio, di circa 500mila euro.
E anche in questo caso vale la pena di leggerlo il comunicato stampa della Questura di Palermo, nella parte in cui recita che ci si trova ancora una volta di fronte ad «un fenomeno di elevato allarme sociale, quale è la produzione in loco delle cosiddette droghe leggere, il cui smercio continua a costituire un importante fonte di reddito per le organizzazioni criminali locali (data la globalizzazione del mercato della droga), rappresentando ad oggi uno dei principali strumenti di approvvigionamento economico per le associazioni illecite».
Lo ammetto: le mie idee, dopo aver letto queste frase, sono ancora più confuse, sospese come sono tra etica e pragmatismo.
Una cosa è certa: la repressione testimonia che i guadagni nella catena della tossicodipendenza – soprattutto con cocaina ed eroina – sono colossali.
Volete un altro esempio? Lo faccio subito.
QUI PAVIA
Sempre ieri – dunque l’analisi procede in parallelo anche in ambito temporale, vale a dire l’arco di 24 ore – i Carabinieri di Vigevano (Pavia, siamo dunque all’altro capo d’Italia), agli ordini del capitano Rocco Papaleo, hanno portato a termine l’operazione “Riso amaro” su delega del pm Andrea Zanoncelli di Pavia.
L’operazione merita di essere raccontata perché – nel suo piccolo – ha tutti gli ingredienti di una storia in cui ciascuno fa il proprio dovere: i Carabinieri con tre mesi di osservazione e controllo, oltre agli arresti, gli agricoltori della zona con le antenne dritte e la denuncia pronta, così come del resto un sindaco della Lomellina pronto a far rispettare la legge.
Già perché i tre arrestati – extracomunitari senza fissa dimora tra Milano, Corsico e Vigevano – avevano pensato bene di acquattarsi nelle risaie della zona per spacciare indisturbati. O almeno così pensavano perché non è sfuggito ai protagonisti di questa storia, che da settembre 2016 questa placida e un tempo ricca area del Paese era diventata più frequentata dai tossici che Riccione ad agosto.
Così ora i marocchini il “Pallido”, “Barba” e lo “Scuro” (sembrano usciti da un sequel cinematografico di Sergio Leone) hanno smesso di spacciare nelle aree umide coltivate a riso dei comuni di Vigevano, Parona, Cilavegna, Nicorvo, Castelnovetto e S. Angelo Lomellina, a tossici che arrivavano perfino dalle province di Novara, Alessandria, Vercelli ed Asti.
Questa operazione – ripeto – nel suo piccolo è uno spaccato di tutti gli ingredienti che farciscono la torta del traffico di droghe. Abbiamo visto gli ingredienti “sani” (Carabinieri, collettività attenta e amministrazione pronta a tutelare la propria collettività) e vale allora la pena di dare un’occhiata alle dosi mortali.
Intanto – afferma il comunicato stampa spedito dal Comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri di Pavia, il tenente colonnello Stefano Nencioni – si assiste allo «spaventoso fenomeno del ritorno prepotente delle dipendenze da eroina, ora non più consumata con le siringhe, ma sniffata, inalata o fumata come già avviene per la cocaina».
Il giro di affari della piazza si aggirava intorno ai 5,000 euro al giorno, con un ricavo netto, per i tre – Pallido, Barba e lo Scuro – , di circa 150 mila euro al mese. L’eroina era ceduta a 20 euro a dose (circa un grammo), mentre la cocaina a 60 euro a dose (circa mezzo grammo).
Gli introiti illeciti del gruppo criminale, sono risultati talmente cospicui, che gli stessi nel corso delle indagini non hanno esitato a detenere armi (pistole, bastoni e coltelli) che utilizzavano per intimidire i clienti evitando ogni discussione sia sulla qualità di stupefacente ceduto che per mantenere il predominio della piazza.
Non solo. Gli spacciatori si prendevano anche a legnate non solo per chi dovesse assurgere al ruolo di leader ma anche per chi dovesse consegnare la merce, visto che passare ore nell’acqua delle risaie non faceva piacere a nessuno di loro.