Dopo il messaggio di Riina, sale alla ribalta Pasquale Condello: in videoconferenza sporco e con la spazzatura in mano

Si deve ad Alessia Candito – cronista che la Calabria non merita – un interessantissimo articolo (www.corrieredellacalabria.it) sullo “strano” atteggiamento tenuto dal boss di ‘ndrangheta Pasquale Condello nel corso del processo di appello della cosiddetta indagine Meta. Quella, per intenderci, con la quale la Procura di Reggio Calabria (pm Giuseppe Lombardo) cerca, contro l’ostilità dei sistemi criminali integrati, di dare scacco alla mafia rurale e violenta ma ancor più a quella raffinatissima che si cela all’ombra di logge deviate sempre più frequentate.

Ebbene mister Condello si è presentato all’udienza di ieri con un abbigliamento “pre” ed uno “post” messaggio visivo.

Il “pre” – stoppato dalla polizia penitenziaria – era fatto di abiti stracciati e lisi e un sacchetto di spazzatura in mano.

Il “post” di abiti pinti e lindi.

Ora – doverosamente e giustamente – Procura, giudici e investigatori stanno cercando di interpretare questo messaggio che proviene da uno dei re incontrastati della trimurti reggina + uno, ergo anche dell’intero Paese: Condello, Libri, Tegano-De Stefano.

Vale ora il discorso che ho fatto due giorni fa su questo umido e umile blog relativamente ai messaggi lanciati da Salvuccio Riina in tv (rimando al link a fondo pagina): diffidate da chi ora vorrà darvi “verità” sul messaggio condelliano (ammesso e non concesso che l’omertà che in Calabria regna sovrana possa essere rotta). Posso aggiungere di più in questo caso: se mai arrivasse, direttamente o indirettamente, per voce dello stesso mister Condello una nota ufficiale o ufficiosa di spiegazione, ebbene quella sarà l’unica spiegazione da scartare.

Ecco dunque, a voi, lettori, alcune riflessioni.

La prima riflessione obbligata è che mister Condello – scaltro come una volpe – sapeva che sarebbe arrivato il doppio messaggio: “pre” e “post” sceneggiata. Dunque il “pre”, zozzo e sporco come la loro anima, rappresenta una situazione di drammatico disagio che sta vivendo la trimurti (più uno), il “post” rappresenta il ritorno, lindo e pinto, al “bengodi” ‘ndranghetistico solo che siano (o fossero) tolti di mezzo gli ostacoli che stanno rendendo complesso da troppo tempo il suo cammino glorioso.

La seconda riflessione obbligata è che il “messaggio” in codice di mister Condello giunge pochissimi giorni dopo quello di Salvuccio Riina in tv da Bruno Vespa. Casuale?

Per chi crede che le mafie siano corpi distinti e separati si. Per chi crede invece – come l’ignorante che state leggendo – che le mafie siano integrate nel nome degli affari e delle leve marce di comando da governare, no.

Ebbene, mai come in questo momento – grazie all’asse Palermo-Caltanissetta-Reggio Calabria – le Procure e gli investigatori stanno cercando di ricostruire il filo che aggomitola un unico bandolo la matassa mafiosa degli ultimi 30 anni.

A messaggio dunque (quello di Salvuccio Riina) risponde messaggio (quello di mister Condello). Solo che il primo è catodicamente sguaiato, guappesco nello stile corleonese. Doveva e deve arrivare immediatamente a bersaglio (e, statene certi, è giunto). Dento e fuori Cosa nostra. Il secondo è raffinato, maggiormente imprescrutabile, criptato se l’abilità di investigatori e inquirenti non riuscirà a trovare una rapida chiave di decrittazione. Soprattutto è un messaggio senza clamore mediatico perché Riina fa colpo sull’opinione pubblica, Condello no. Su questo la ‘ndrangheta conta più delle altre mafie: il silenzio e l’omertà sui gesti palesi e occulti che compie, visto che l’assoggettamento della Calabria è pressoché totale e fuori dai miseri confini calabresi la Calabria, semplicemete, non esiste.

I due messaggi, dunque, si fondono in un messaggio unico ma non univoco. Ciascuno, fuori dalle maglie delle rispettive associazioni criminali, capirà. Deve capire: ne vale della loro sopravvivenza.

Il messaggio unico è questo, a parere di chi scrive (diffido dalle verità altrui, figuriamoci se ne propongo una io): facciamo presto, sbrighiamoci, perché alcuni pm rompiballe da Palermo a Reggio passando per Caltanissetta stanno per arrivare oltre il nostro livello di Onorata Società e stanno giungendo (se gli sarà reso possibile) al livello di Società Onorata. Quello, per intenderci, degli “invisibili” d dei “riservati”, che si nutre di mafie e le alimenta grazie ad un circuito perverso, fatto di professionisti, servitori infedeli dello Stato, giornalisti, politici e grembiuli lerci, che qualcuno si ostina a considerare come un “concorso esterno”, quando in vero ne rappresenta la quintessenza.

Ora, se devo dirla tutta, l’ipotesi che il gesto rappresenti una presa di posizione contro il carcere duro, rappresentato dall’aspetto dimesso e sporco, la prendo in considerazione, sì, ma a mio modestissimo avviso lascia il tempo che trova. Non mi vedo mister Condello, re purtroppo amato da torme di straccioni ‘ndranghetisti, perorare una causa che è persa in partenza e proprio la Calabria, con le richieste a raffica di 41 bis che giungono dal pm della Dda di Catanzaro Pierpaolo Bruni lo manifesta. Per fortuna.

Allora, se mi consentite (lo dice sempre qualcuno più importante di me), vorrei concentrarmi su quel sacchetto di spazzatura, anche se ripeto, il messaggio “lindo e pinto”, vale a dire il ritorno alle origini su cui si fonda il patto Stato deviato-ndrangheta, è ciò che conta nella raffinatissima sceneggiata condelliana.

Ebbene, scrivono Giorgio Chinnici e Umberto Santino ne “La Violenza programmata”, Angeli editore, Milano, pagina 325-326: «Anche l’uso di acidi per dissolvere i corpi uccisi si iscrive in questa logica, che accoppia l’efficacia del mezzo tecnico impiegato con la sua capacità di aggiungere orrore all’amministrazione ordinaria dell’orrore, in modo da scoraggiare qualsiasi risposta degli avversari e infliggere loro una feroce umiliazione, mettendo i corpi dentro i sacchi della spazzatura o sciogliendoli e immettendo i residui negli scarichi».

Ora, si tratta di capire chi o cosa deve finire nella spazzatura. Certo, non è casuale, che, per la prima volta un imputato di associazione mafiosa – e non, si badi bene, un cosiddetto pentito, categoria di cui fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio salvo rarissime eccezioni grazie alle quali si combatte la battaglia dall’interno contro le mafie – due giorni fa davanti alla quarta sezione del tribunale di Palermo, che sta celebrando il maxiprocesso Apocalisse, ormai arrivato alle battute finali, ha confermato che esiste un piano (a base di tritolo, così, tanto per gradire e ricordare i bei tempi andati della strage di Capaci) per eliminare il pm Nino Di Matteo. Guarda caso colui il quale insieme ai pm Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi sta conducendo non solo i processi sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra ma sta anche infittendo da anni i rapporti, insieme al pool palermitano, con la Procura di Reggio Calabria su alcuni delicatissimi fronti investigativi. Tanto per dirne uno: quello relativo a  “faccia di mostro” che, contrariamente a quanto è stato scritto e propalato negli scorsi anni, a Reggio Calabria (dove erano confluiti sette magistrati di quattro Procure per ascoltarlo) si è avvalso della facoltà di non rispondere. Come a dire: Passo e chiudo. Anzi: chiudo e passo.

Ora quel sacchetto della spazzatura che – nelle mente di Cosa nostra – dovrà metaforicamente contenere i resti di Di Matteo (ma ovviamente non è l’unico a rischiare a Palermo e in Sicilia) che, non a caso, tre giorni fa è tornato a richiamare la vivissima attualità di un ritorno alla strategia stragista della mafia isolana, dall’altra parte dello Stretto potrebbe essere pronto a raccogliere altri resti. Di chi e di che cosa, è facile – per alcuni versi –immaginarlo. Cioè di tutto quel “sistema” che si oppone allo strapotere mafiomassonico deviato.

Dopo – nella mente perversa dei poteri marci al servizio dei sistemi deviati – si tornerà ad una vita linda e pinta.

Ah, dimenticavo. Mister Condello è detto il “supremo”. Sapete perché? Per le sue sentenze. Inappellabili.

r.galullo@ilsole24ore.com

si legga anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2016/04/12/saviano-lumia-di-matteo-e-il-discorso-alla-nazione-di-salvuccio-riina-nel-nome-degli-affari-e-della-politica/

 

  • Roberto Galullo |

    Bartolo lei apre uno squarcio interessantissimo che, ne sono certo, sarà stato preso in considerazione anche da chi dovrà condurre le indagini su questa “tragediata” ordita.

  • bartolo |

    Vede Galullo, non mi sento presuntuoso e arrogante al punto di imporre il mio punto di vista, anzi, a differenza del Suo Blog, Autorevole, sono soltanto un “umile e umido” cittadino, per giunta, privato della dignità, come ebbe a dire il legale davanti alla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria al momento di richiedere clemenza riguardo all’entità della pena da irrogarmi (la Corte Suprema di Cassazione, precedentemente, aveva riconosciuto la mia penale responsabilità in ordine al reato di cui all’art 416bis, e in parziale accoglimento del ricorso della pubblica accusa, aveva ordinato il riformulo della pena che si sotto-intendeva dovesse essere superiore ai quattro anni annullati; ebbene, per la cronaca, il medesimo legale aveva patteggiato con il pg 4 anni e 3 mesi, io invece, con il rischio fondato di essere condannato a 5 o più anni, ho rifiutato- l’esito è stato, 3 anni). Dopo questo preambolo, che son certo mi perdonerà, Le dico, per esperienza diretta, avendo scontato quei 3 anni di carcere in regime di alta sicurezza- 2 gironi prima del nucleo infernale del 41bis-, che è impensabile che la direzione del carcere autorizzi abbigliamento non idoneo neppure nell’ora d’aria. Per cui Galullo, se Condello ha comunicato quello che sostiene, l’ha fatto con l’avallo dei carcerieri. In tal caso, al netto delle “raffinatissime” menti criminali, come per i complici di Riina, occorre trarre le conseguenze.

  • Roberto Galullo |

    Bartolo, quel che per lei è un detenuto sotto tortura per me è al 41 bis. E spero che resti lì se ovviamente – non io – ma magistratura e ministro riterranno opportuno lasciarcelo. Fosse per me – rispolverando un’idea cara a Gratteri – li manderei all’Asinara o su isolotti galleggianti. Quanto alla perizia psichiatrica, di tutto Condello ha bisogno, tranne che di quello. E’ lucido e presente. Al punto che il suo raffinato (sotto spentite folli spoglie) stratagemma avrebbe colpito anche senza clamore mediatico. I messaggi sarebbero comunque arrivati a chi dovevano arrivare, ossia quel mondo di riservati e invisibili, che sono la quintessenza delle mafie, che forse ha lasciato un pezzo di ‘nmdrangheta al suo destino. Pensi che bello se parlasse Condello! Magari! E le aggiungo una cosa tra le tante che ieri non ho scritto: il messaggio era rivolto anche alla cosca De Stefano che si sta rimangiando tutta la città. E non solo. Mentre insomma c’è chi fa affari, la cosca Condello che fa? Raccoglie briciole.

  • bartolo |

    Caro Galullo,
    Lei può frequentare la Calabria quanto le pare, ma un detenuto sotto “tortura” che si presenta in video conferenza con bandana in testa, sacco di spazzatura nelle mani e pantaloni stracciati, piuttosto che un richiamo all’etica, necessiterebbe una perizia psichiatrica.
    Per quanto riguarda il libro di Riina, invece, secondo me, le montature rappresentano l’ennesima farsa. Ed in tema di lotta alle mafie, grazie a queste, l’italia si è rivelata un paese di “raffinatissime” menti criminali. Infatti, è assurdo soltanto ipotizzare che un sorvegliato di pubblica sicurezza, già deturpato dalle “torture” del 41bis e dalla cacciata come un cane dal proprio paese appena scarcerato, si possa permettere, in solitario, la promozione mondiale dell’autobiografia familiare. Di contro, qualcuno ha consentito ciò. In tal caso, logica vorrebbe: se il figlio di Riina aspira a divenire il capo della mafia, come ipotizzato dagli autorevoli personaggi, quello che più deve terrorizzare gli italiani non è questo, bensì il fatto che a distanza di giorni nessuno ha ancora chiesto l’immediato arresto dell’ispiratore del libro, del suo editore, dei vertici della Rai e, infine, dello stesso Vespa con l’aggravante che in una lettera al Corriere, oltre ad aver trascurato di chiedere perdono ai familiari delle vittime delle stragi mafiose, ha scritto di aver realizzato l’intervista ed essere stato autorizzato a mandarla in onda proprio perché certo che lo stesso è un mafioso a 24carati. Quindi, era importante per gli italiani ascoltarlo. Non è stato ritenuto importante, invece, far conoscere il contenuto di irrilevanti conversazioni telefoniche tra il capo dello Stato e un indagato per falsa testimonianza, in merito al processo sulla trattativa stato-mafia.
    Saluti
    bartolo

  • Roberto Galullo |

    Di grazia ma di cosa sta parlando? Comunque, contenta lei…Per la cronaca, frequento la Calabria da appena 28 anni assiduamente e da appena 12 anni ne scrivo con frequenza che lei ignora. Ah, metà del sangue dei miei figli è calabrese. Auguri

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