Bilancio sociale della Procura di Milano: l”amicizia strumentale” tra ‘ndrangheta e zona grigia lombarda

“La ‘ndrangheta tra Calabria e Lombardia” è il titolo di un paragrafo contenuto nelle 120 pagine del Bilancio di responsabilità sociale 2014/2015 diffuso nei giorni scorsi dalla Procura di Milano. Una bella iniziativa che dura da alcuni anni

Conferme nelle analisi relative ai collegamenti sull’asse Milano-Reggio si trovano da pagina 85 del Bilancio, compreso il concetto di “amicizia strumentale” che disegna un ponte – a mio modesto avviso da sempre insito nella moderna ma al tempo stesso datata evoluzione delle mafie in sistemi criminali – tra mafiosi stricto sensu e zona grigia rappresentata da ogni altra tessera della società.

Concetto dunque ovviamente condivisibile anche se merita di essere chiarita quella frase in cui si dice che questi rapporti strumentali sono «poco stabili». Subito dopo questa affermazione la Procura stessa sembra dire il contrario, vale a dire che questa amicizia è caratterizzata da «continuità nello scambio e dalla natura aperta».

Credo che non si possa parlare di rapporti «poco stabili» anche per un altro motivo: ammesso e non concesso che la Procura intenda che non sono sempre gli stessi soggetti a comparire come trait d’union tra area grigia e ‘ndrangheta (ma il discorso vale per qualunque mafia), vale anche qui il discorso contrario. Più di un’indagine – al Nord come al Sud – ha dimostrato che la batteria (che definisco interna al motore dei sistemi criminali evoluti) su cui può contare la cupola mafiosa (qualunque essa sia e nella sua versione “large”) ha contato (e conta spesso fino a che non arriva la mano della Giustizia) sugli stessi professionisti, magistrati e servitori dello Stato infedeli. Purtroppo quest’area di putride carogne a disposizione delle mafie è sempre più ampia e, appunto, «aperta». E può contare, non dimentichiamolo, anche su canali aperti nel mondo dell’informazione che è sempre più appecoronata.

E’ questo il vero fallimento politico e sociale della lotta alle mafie di ogni tipo e colore: ancora oggi (per non dire del passato) si guarda ancora al dito (coppola e lupara, riti e santini, giuramenti e bruciatine) ma si perde di vista la luna (quell’alone mafioso fattosi sistema talmente ampio che arrestarne l’espansione è sempre più difficile per non dire impossibile). Investigatori e inquirenti in tutta Italia fanno spesso (non sempre) la propria parte. La politica (in assenza di Politica) e l’opinione pubblica (in assenza di una Coscienza civica e civile) fanno raramente la loro (ed è un eufemismo). I media suonano la grancassa alle veline istituzionali,  dimenticano di essere indipendenti nel giudizio e dimenticano il proprio ruolo vitale per una democrazia sana.

Vi riporto il paragrafo del Bilancio sociale della Procura di Milano – visto che entrerà anche nella prossima relazione della Dnaa al Parlamento – e vi auguro buona lettura.

r.galullo@ilsole24ore.com

La ‘ndrangheta tra Calabria e Lombardia

Le indagini fino ad oggi svolte attestano il costante collegamento tra le locali lombarde e quelle calabresi.

Se l’ancoraggio con la Calabria non ha alcuna influenza sul tema della competenza territoriale, può invece fornire lo spunto per dare conto di come alcuni piccoli paesi della Calabria (San Luca, Platì, Vibo Valentia, Rosarno, Limbadi, Grotteria, Giffoni ecc.) abbiano, di fatto, colonizzato alcuni comuni dell’hinterland milanese; come è stato efficacemente sottolineato, si e trattato di una sorta di “colonizzazione all’incontrario”: se di regola la colonizzazione presuppone una sorta di superiorità economica e culturale del colonizzatore sul colonizzato, la pervasiva presenza della ‘ndrangheta in territorio lombardo fa registrare un fenomeno esattamente inverso, dove una sottocultura criminosa ha la meglio in aree altamente industrializzate e ricche di servizi pubblici.

E la spiegazione di ciò è nel peso della tradizione all’interno della ‘ndrangheta: rituali, doti, rispetto per le regole dell’associazione mafiosa non sono meri fatti folkloristici, innocui rituali per ricordare le antiche tradizioni calabresi, ma sono strutture che cementano il rapporto con gli associati, fanno del sodalizio un’entità compatta e decisa nei comportamenti che ha la meglio quando la società civile lombarda, nella sua zona grigia, non solo non ha nulla da contrapporre a tutto questo ma anche ne favorisce l’ingresso.

Secondo le definizioni più accreditate il “capitale sociale” consiste nell’insieme di risorse di cui un soggetto dispone in quanto inserito in relazioni sociali. Le indagini condotte hanno dimostrato come alcuni appartenenti all’associazione mafiosa cercano e ottengono rapporti con il mondo imprenditoriale, politico, con esponenti della pubblica amministrazione.

Del resto, ciò che distingue la criminalità comune dalla criminalità mafiosa è la capacita di quest’ultima di fare sistema, di creare un medesimo blocco sociale con esponenti della classe dirigente locale, di creare rapporti tra le classi sociali, di costruire rapporti di reciproca convenienza.

Si tratta di legame strumentali, poco stabili, privi contenuto affettivo (a differenza dei legami che si instaurano tra gli appartenenti all’associazione), ma che creano obbligazioni reciproche estremamente vincolanti.

Tali rapporti si possono ricondurre alla nozione di amicizia strumentale” caratterizzata da scambio di risorse tra “gli amici”, continuità nello scambio e dalla natura aperta di tale amicizia, nel senso che ciascuno degli amici agisce come “ponte” per altri “amici”.

Del resto i mafiosi hanno interesse a instaurare questi rapporti in quanto questo consente loro di aumentare il proprio capitale sociale (e di conseguenza anche quello dell’associazione); di entrare a far parte della rete di rapporti del soggetto, con ulteriore incremento della rete di rapporti; di porsi come punto di raccordo tra le reti di rapporti facenti capo ai vari individui con cui entrano in contatto, esercitando una sorta di mediazione tra ambienti sociali.

Le indagini svolte dalla Dda di Milano hanno quasi sempre riscontrato la presenza di figure riconducibili al paradigma della “borghesia mafiosa”, canali di collegamento tra la società civile e la ‘ndrangheta e nessuna categoria professionale e esente da questa considerazione: appartenenti alla forze di polizia, magistrati, avvocati, imprenditori, medici, appartenenti a livelli apicali della pubblica amministrazione, politici, etc.