Università di Milano (Dalla Chiesa): «Per la ‘ndrangheta al nord meno droga, più economia legale e meno rischi sociali».

Il 30 settembre il professor Nando Dalla Chiesa – insieme ai ricercatori dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università statale di Milano, nell’ambito di un incarico di analisi delle principali dinamiche di azione della criminalità organizzata e della loro evoluzione nel contesto sociale ed economico delle regioni del nord – ha presentato in Commissione parlamentare antimafia il terzo rapporto trimestrale.

Difficile valutare le conclusioni (parzialissime) al quale è giunto questo terzo lavoro, secondo il quale già dal 2010 solo una parte dei singoli locali di ‘ndrangheta (vale a dire cellule strutturate presenti sul territorio) risulta coinvolto al nord in attività legate al traffico di droga.

Difficile valutarlo perché, dopo la lunga stagione dei sequestri, da oltre 30 anni il traffico di droga è la cassaforte delle mafie e perché, seppur è vero che le piazze del nord lasciano spazio a ogni tipo di mafia, è pur vero che le cosche calabresi hanno spesso un ruolo di regia se non di predominio.

Difficile valutarlo anche perché le cronache dimostrano quanto sia vivo l’interesse delle famiglie calabresi al nord (e non solo il nord Italia) per il narcotraffico e perché, ancora, il solo ricorso alle statistiche degli atti giudiziari condiziona la lettura. L’orologio della Giustizia batte spesso il tempo a distanza e a scoppio ritardato rispetto all’evoluzione dei fenomeni.

Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, non a caso, recentemente ha lanciato l’allarme: Milano è tra le capitali del consumo ma le indagini languono. Il 28 settembre, commentando gli oltre 50 arresti dell’operazione Acero, ha detto «Milano è la più grande piazza di consumo di cocaina in Europa. Arrivano alla periferia di Milano tonnellate di cocaina. Noi cerchiamo per quello che è possibile da Reggio Calabria di contrastare, però da soli non ce la possiamo fare». Negli ultimi sette anni a Milano le inchieste sul traffico di stupefacenti sono scese del 70%, con oltre il 60% in meno di indagati.

Lo stesso Dalla Chiesa, di fronte ai commissari antimafia dirà: «L’aspetto importante è che questa analisi, fatta locale per locale ci aiuta a capire che non tutti gli insediamenti ‘ndranghetisti sono dediti all’attività di narcotraffico e che sono ancora meno quelli che svolgono questa attività come occupazione principale. Naturalmente, se non ci fossero stati questi sequestri e non temessimo che una brillante operazione di polizia possa sconfessare rapidamente quello che ci hanno detto esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine e della Dia, presenteremmo un quadro più segnato. Cerchiamo di spiegare cosa sta succedendo con delle ipotesi, anche se abbiamo cercato di essere prudenti. Tuttavia, sembra sensato sostenere che ci sia qualcosa di nuovo, in particolare che ci sia una tendenza a concentrarsi e a spostarsi sulle attività di tipo legale che abbiamo esposto in precedenza (lavori pubblici, edilizia, sale giochi legalizzate, sanità e così via). La novità è che l’organizzazione dello spaccio vede crescere il ruolo delle altre organizzazioni e che ci venga perfino teorizzato che da parte della ’ndrangheta ci sia un interesse ad avere un profilo più basso su questo settore. Forse, questa è a definizione che riesce a sintetizzare meglio le molte perplessità che abbiamo». Vediamo l’analisi dell’Osservatorio diretto da Dalla Chiesa.

In Lombardia

Per quanto riguarda la Lombardia, che è sicuramente il mercato più rilevante in termini numerici, su 21 locali individuate negli anni da «Infinito», ma anche dalle inchieste più recenti del 2014, 13 sicuramente hanno operato nel settore. Su 8, invece, non c’è una certezza perché l’indagine giudiziaria presa in analisi, non approfondiva il reato per il traffico di stupefacenti. Non tutte erano coinvolte nella stessa misura, infatti solamente due locali e una ’ndrina distaccata dalla locale di Seregno, avevano il traffico e lo spaccio di droga come attività principale.   Infatti, la locale di Pioltello, anche in collaborazione con Cosa nostra, riforniva tutta la Lombardia. Questo è emerso sia da «Infinito» sia da un’indagine successiva del 2012. Per le altre, invece, il traffico di stupefacenti era un’attività residuale all’interno del più ampio panorama di attività legali e illegali che svolgevano. Addirittura l’operazione «Metastasi», che è più recente di quella di «Infinito», che riguarda il lecchese, indicava come ormai per le locali lombarde il traffico di stupefacenti non fosse più il core business della loro attività.
Piemonte e Liguria  

Per il Piemonte e per la Liguria, invece, i dati sono meno recenti. Infatti, per il Piemonte l’Osservatorio (a illustrare i dati è stata Ilaria Meli) ha analizzato quanto riportato nell’inchiesta «Minotauro» e per la Liguria l’operazione «Maglio 3», che è l’unica che indaga nello specifico le attività delle locali. In particolare, per il Piemonte che è un mercato meno florido rispetto alla Lombardia, ci sono 15 locali, di cui solamente 8 risultano attive nel traffico di stupefacenti. La cosa interessante – riporta sempre Meli – è che per nessuna locale il traffico di stupefacenti è l’attività principale.

C’è, però, un dato che risulta in controtendenza perché nel giugno 2015 c’è stato un sequestro di circa 400 kg di cocaina nel torinese e dall’indagine risultava che le famiglie del torinese rifornissero sia la Lombardia sia la Liguria.   Questo è un dato in controtendenza rispetto a quello che era emerso in «Minotauro», ma è sicuramente più recente. Ovviamente, l’analisi si era fermata a quanto avveniva all’interno delle locali, non considerando alcune famiglie che non sono emerse come locali strutturate che non sono state inserite nelle tabelle che troverete nella relazione.   Il dato sulla Liguria è ancora più interessante perché, su 4 locali individuate e indagate nello specifico, l’indagine esclude l’attività nel traffico di stupefacenti. Quindi, in questo caso non solo non la rileva, ma la esclude del tutto. Anche questo dato risulta particolarmente interessante e in qualche modo contraddittorio perché il porto di Genova è molto spesso inserito nelle indagini come un punto rilevante di snodo per le attività di importazione di cocaina da parte della ’ndrangheta.

Le conclusioni

E’ sempre Dalla Chiesa a tracciare le conclusioni.

«Abbiamo cercato di tenere la massima prudenza – dirà di fronte alla Commissione schierata con il suo presidente Rosy Bindi – anche confrontando tutte le opinioni che raccoglievamo dai nostri testimoni privilegiati. Tuttavia, non si può non pensare che una ’ndrangheta che cerca di istituzionalizzare di più la sua presenza nel nord e che vive con una certa consapevolezza il fatto che il rischio di subire delle pene per narcotraffico è molto più alto di quello di subire delle condanne per associazione mafiosa – abbiamo visto, infatti, che a volte, da parte della magistratura giudicante del nord, ci sono delle resistenze a riconosce la natura mafiosa dell’associazione – possa pensare di ridurre la sua attività nel campo che la espone di più sul piano criminale e cercare di concentrarsi di più sulle attività legali, che sono quelle che le danno dei ritorni molto forti in termini economici e anche sociali.   Questa è un’ipotesi importante. Personalmente, fino all’anno scorso anch’io ho sostenuto che la ’ndrangheta è l’organizzazione che controlla il mercato degli stupefacenti e della cocaina a livello europeo in quanto contraltare dei narcos messicani in Europa. Tuttavia, quello che stiamo vedendo ci suggerisce delle ipotesi diverse.   Autorevoli magistrati, con cariche importanti, ci hanno sottolineato come sarebbe controproducente lasciare terreni così vantaggiosi sul piano economico anche per il controllo del territorio, vista la capillarità delle relazioni che il controllo del traffico di droga garantisce. Al tempo stesso, però, ci sono stati fatti ragionamenti diversi, sostenendo che ci potrebbe essere un nuovo passaggio da parte delle organizzazioni mafiose, in questo caso da parte della ’ndrangheta, che ha usato il traffico di stupefacenti per fare il salto di qualità e ottenere le risorse necessarie per entrare nell’economia legale, ma che, una volta entrata nell’economia legale, le risulti difficile gestire insieme i due ambiti, o meglio coordinare la presenza nell’economia legale con una leadership nell’economia criminale vera e propria, ovvero nel traffico di stupefacenti ».

 

La voglia di minor rischio sociale

Condivisibile l’ultima analisi di Dalla Chiesa: «È indubbio, però, che ci sia una ricerca di istituzionalizzazione della presenza nel settentrione, con un interesse a lavorare soprattutto sull’economia legale. Quello che abbiamo capito e che ci è stato spiegato con molta chiarezza e credibilità è che ci sia una ricerca di minore rischio sociale per la ’ndrangheta. Si punta, dunque, sulle attività a minor rischio, nel momento in cui, ormai, si sono impadroniti di fette di economia con bassi rischi, se non quello che venga loro imputato l’esercizio del metodo mafioso».

In attesa di conferme negli anni, prendiamo atto di questa ipotesi di cambiamento che ha senza dubbio un aspetto di verità: il desiderio di “inabissamento” della ‘ndrangheta tradizionale per insinuarsi ancor più facilmente nell’economia legale. Ipotesi rispettabilissima e da mettere alla prova anche perché – in verità – sono almeno 20 anni che l’inabissamento è in corso ed è altresì vero che senza il polmone finanziario che solo il narcotraffico è in grado di assicurare, il prosieguo della penetrazione nei mercati concorrenziali e legali è pressoché impossibile.

r.galullo@ilsole24ore.com

  • bartolo |

    nel campo della ricerca e nel settore socio-educativo-formativo pesa molto di più il danno della sottrazione di eccellenti braccia incline all’agricoltura che il benefit dell’attività mentale poco propensa al ramo accademico.

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