Una ricerca dell’Università di Milano spiega perché il settore delle pulizie nella Pa è ambito dalle mafie

Il 24 febbraio Nando Dalla Chiesa, direttore dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano, è stato nuovamente audito dalla Commissione parlamentare antimafia.

In quell’occasione ha presentato il secondo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, redatto dal professor Dalla Chiesa insieme ai ricercatori universitari dell’Osservatorio, nell’ambito di un incarico della Commissione relativo a un’analisi sulle principali dinamiche di azione della criminalità organizzata e della loro evoluzione nel contesto sociale ed economico delle regioni del nord Italia.

La scorsa settimana su questo umile e umido blog abbiamo letto delle analisi del gruppo di ricerca di Dalla Chiesa sui metodi e sui trucchi con i quali le mafie (come sostiene il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri), si sono già infilate negli appalti di Expo 2015 e abbiamo letto delle denunce sulle carenze nei controlli e sulla diffidenza nei confronti degli stessi (per questo rimando al link a fondo pagina).

Due giorni fa, sulla stessa falsariga, abbiamo letto di quel “sistema criminale” al nord che Dalla Chiesa e i suoi ragazzi “illuminano” con chiarezza.

Oggi si cambia completamento registro e si entra in un terreno che è sempre stato un mio pallino fisso, per aver frequentato, a ragione del mio lavoro, migliaia di volte uffici pubblici, a partire da quelli giudiziari.

Ho sempre pensato che violare i segreti (a volte anche i più intimi) di quegli uffici sia, per strutture criminali militarmente organizzate, un gioco da ragazzi.

Portare via documenti, fotocopiare atti, distruggere copie, aggiungere carte falsificate (vi prego di non sottovalutare questo aspetto), spostare archivi al fine di renderli introvabili, cancellare parti di atti o file, violare pc o cassetti, piazzare “cimici”, entrare come in un mercato da una stanza all’altra, effettuare intercettazioni e filmati abusivi, creare dossier e via di questo passo, per i sistemi criminali non è solo possibile ma altamente possibile e credo, in tanti casi, realtà. Anche la presenza fissa e discreta tra i meandri degli uffici, a causa di lavori che permettono l’ingresso, è fondamentale, perché consente di “captare” informazioni spesso riservatissime e trasmetterle all’interno. Da questo punto di vista credo che la selezione (per trattativa privata o per bando pubblico) sia altamente deficitaria.

A ragione del mio lavoro sono entrato spessissimo in contatto anche con importantissimi magistrati che fanno della lotta al crimine una ragione di vita, che mi hanno invitato a non parlare di argomenti delicati nelle loro stanze. Ricordo uno, in particolare, che puntualmente mi da appuntamento ma fissa all’ultimo momento la stanza (una volta perfino uno sgabuzzino!) nella quale parlare. Senza contare quelli che non mi hanno fatto mai entrare nelle loro stanze, per la stessa ragione: la paura di essere intercettati ambientalmente da strumenti abusivi (facilmente reperibili sul mercato).

Ricordo ancora quell’alto dirigente di una Regione che, dopo avermi fatto entrare nella stanza, ha cominciato a gesticolare e guardare verso il lampadario e, facendomi cenno di uscire, mi ha portato in una fotocopisteria dove il rumore delle macchine avrebbe reso impossibile captare le nostre conversazioni che, si badi bene, nulla avevano di particolare ma a questo integerrimo dirigente davano la certezza di non essere spiato.

Conosco magistrati che, a spese proprie, hanno acquistato dei rilevatori di “cimici” e che bonificano regolarmente i propri ambienti e altri che fanno regolarmente richiesta (senza mai essere ascoltati). Conosco investigatori che piazzano copie degli atti più delicati presso notai e avvocati, altri che hanno casseforti suppletive e via di questo passo.

Ora, tutto questo, può essere ritenuto bizzarria, fissazione o, nel peggiore dei casi, mancanza di fiducia nella capacità dello Stato di proteggere se stesso.

Vi confesso: esattamente l’ultima cosa che ho scritto.

E ora, dopo questo lungo ma necessario preambolo, leggete che cosa Dalla Chiesa ha dichiarato in Commissione parlamentare antimafia: «…il settore delle pulizie non è un settore da riciclaggio, che è molto richiesto. Il tentativo di entrarci è continuo soprattutto nelle strutture pubbliche; dà profitti, controllo del territorio, relazioni di consenso, ma soprattutto informazioni. L’ingresso nelle pulizie serve a dare informazioni dall’interno sulle aree, sui settori, sugli edifici e sugli uffici ai quali si assicura questo servizio, che verosimilmente viene svolto in orari in cui non c’è nessuno dentro che controlla il tipo di attività che viene svolta…Abbiamo preso un vecchio detto contadino, “del maiale non si butta via niente”. Ecco, la mafia non butta via niente delle attività in cui entra; ne sfrutta tutte le potenzialità. Questa sua natura sistemica è quella che la fa temere di più, perché se puntasse soltanto a ottenere profitti dalle sue attività, non sarebbe così pericolosa. Il fatto è che sa cogliere tutti i vantaggi relazionali, informativi, giudiziari, politici, militari, di consenso che possono venire dalle occupazioni che sviluppa e dai settori in cui entra».

Così è se vi pare, al netto del fatto che, sono certo, Dalla Chiesa (tantomeno io) ha mai minimamente pensato di gettare la croce addosso ad un comparto che dà lavoro a decine di migliaia di persone onestissime con centinaia di datori di lavoro altrettanto onesti. Il punto è un altro: capacità di selezione e controllo d parte dello Stato su chi utilizza un’opportunità per violare lo Stato stesso. Su un punto aggiungo una valutazione all’analisi di Dalla Chiesa e dei suoi ricercatori: è vero, la mafia non butta via niente delle attività in cui entra ma pensare che dietro gli accessi costanti e paradossalmente autorizzati per contratto negli uffici, ci sia solo mafia sarebbe riduttivo. Se non ci fosse, spesso, l’accondiscendenza di apparati deviati e servitori infedeli dello Stato, il rigore e il controllo sarebbero assicurati e le mafie, utili agenzie “di” servizio e “al” servizio dei sistemi criminali, avrebbero vita più dura.

r.galullo@ilsole24ore.com

3 – the end (per le precedenti puntate si vedano

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/03/13/expo-2015-nando-dalla-chiesa-svela-con-una-ricerca-delluniversita-di-milano-metodi-e-trucchi-di-infiltrazione-della-ndrangheta/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/03/17/expo-2015-e-i-pokemon-del-nord-levoluzione-della-criminalita-organizzata-dei-colletti-bianchi-spiegata-dalluniversita-di-milano/

ma anche http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/03/05/relazione-servizi-segreti-quei-sistemi-criminali-che-fanno-a-meno-delle-mafie-per-imporre-la-corruzione/)