Relazione servizi segreti/ Quei sistemi criminali che fanno a meno delle mafie per imporre la corruzione

I servizi segreti italiani il 27 febbraio (vale a dire pochi giorni fa) hanno presentato la tradizionale relazione al Parlamento.

Da notare, come spunto estremamente interessante, che nel 2014, il 12% delle informative e/o analisi inviate dall’Aisi (l’Agenzia di sicurezza interna) agli enti istituzionali e alle Forze di polizia ha riguardato la criminalità organizzata nazionale e transnazionale. Questa quota scende al 4% se si prendono in considerazione quelle inviate agli stessi destinatari dall’Aise (l’Agenzia di informazioni e sicurezza esterna).

Ciò detto, sul piano interno, il perdurare della crisi ha consentito alle organizzazioni criminali autoctone di rafforzare la propria presenza sui mercati mediante ingenti liquidità di natura illecita, favorendo l’acquisizione di attività imprenditoriali in difficoltà e il consolidamento della leadership delle aziende già a guida mafiosa nei diversi settori dell’economia legale.

Fin qui nulla di particolare, se non un’attenta e doverosa analisi su quanto accade sul piano interno. Ma attenzione. Dopo questa riflessione, giunge un’analisi molto ma molto più interessante. Eccovela.

«Per raggiungere gli obiettivi – si legge da pagina 59 – le mafie hanno beneficiato, anche al di fuori delle aree di origine, dei convergenti interessi criminal/imprenditoriali di lobby sempre più diffuse costituite da una variegata gamma di attori (professionisti, intermediari, imprenditori collusi, pubblici ufficiali ed amministratori corrotti), la cui azione serve a inquinare le dinamiche del mercato e a condizionare i processi decisionali. Questi lobby, anche in assenza dell’”attore” criminale, hanno talvolta mutuato il metodo relazionale mafioso imponendo il proprio sistema corruttivo, specie nel settore delle grandi opere».

Chiaro il concetto? No? E allora provo a renderlo volgare, vale a dire alla portata di tutti: i servizi segreti ci stanno dicendo che questi “sistemi criminali” (come altro potrebbero chiamarsi se non con la straordinaria definizione che oltre 15 anni fa diede l’attuale procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato?) sono formati, oltre che da mafiosi (siciliani, calabresi o campani che siano) sempre più da quella devastante cupola fatta di professionisti, imprenditori collusi, pubblici ufficiali e amministratori corrotti.

Ma la reazione dice una cosa ancor più (drammaticamente) straordinaria che sottoscrivo appieno: queste lobby mafioso/imprenditoriali, questi “sistemi criminali”, in alcune situazioni, in alcuni frangenti, fanno a meno delle stesse consorterie mafiose. Vivono di autonoma vita “paramafiosa” pur facendo saltuariamente a meno della mafia.

Mancano, in questo elenco, alcune esplicitazioni ancor più limpide (si poteva ad esempio mettere nella lista anche il termine “servitore infedele dello Stato” con riferimento a uomini deviati delle Forze dell’Ordine, della magistratura e degli stessi servizi segreti che appaiono e scompaiono in molte indagini attualmente in corso da Roma a Palermo passando per Reggio Calabria) e si poteva ampliare la platea dei professionisti corrotti, esplicitando anche il fatto che, accanto ad avvocati, commercialisti, notai, amministratori giudiziari, banchieri, esperti di finanza, consulenti, ragionieri, contabili, ingegneri, architetti, geologi e così via al soldo delle mafie, c’è anche una quota indegna di iscritti all’Albo dei giornalisti che ben si guardano dal fare informazione e sono pronti alla delegittimazione altrui. Più in alto si punta e meglio è.

«In alcune regioni del Paese – si continua a leggere nella convincente relazione firmata dal sottosegretario all’Interno Marco Minniticaratterizzate dalla presenza di un’ampia area grigia nel cui ambito si saldano interessi illeciti differenziati, la corruzione rappresenta il principale fattore di inquinamento utilizzato indifferentemente sia dalla criminalità organizzata, intenta a superare crisi strutturali e a preservare rendite di posizione, sia dai circuiti criminal/affaristici, interessati ad acquisire e mantenere un indebito vantaggio competitivo…».

Sono anni che scrivo queste cose e, dunque, non posso che concordare con chi ha steso (seppur con ritardo) queste note.

r.galullo@ilsole24ore.com