Relazione Dna/4 ‘Ndrangheta degli «invisibili» e potenza del “crimine” Giuseppe De Stefano, «universalmente riconosciuto»

Anna Canepa, Francesco Curcio, Diana De Martino, Antonio Patrono, Roberto Pennisi, Leonida Primicerio, Elisabetta Pugliese, coordinati da Giusto Sciacchitano, sono i sostituti procuratori nazionali antimafia che hanno elaborato la parte relativa alla ‘ndrangheta bella relazione della Dna presentata due giorni fa a Roma dal capo della Procura Franco Roberti e dalla presidentessa della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi.

La scorsa settimana, su questo umile e umido blog, avrete seguito la parte relativa alla mafia “borghese” di Reggio Calabria e all’unicum rappresentato dallo scioglimento del consiglio comunale della città sullo Stretto, oltre alla consapevolezza della Dna che il “cervello” della ‘ndrangheta è a Reggio Calabria, mentre le braccia sono ovunque nel mondo. Poi, venerdì scorso, abbiamo proseguito sulla stessa falsariga, analizzando ancora la capacità delle cosche reggine di legarsi alla politica (e condizionarla). Per la Dna un esempio calzante è il caso Matacena.

Un altro esempio che la Dna mette sotto la lente, proprio al fine di delineare le caratteristiche unitarie della ‘ndrangheta e la vocazione relazionale delle cosche cittadine, è quello relativo alle risultanze dell’attività dibattimentale più rilevante svolta sulle cosche di Reggio città, quelle, cioè relative al cd processo “Meta” a carico di Giuseppe De Stefano (ed altri). In particolare, dopo la lettura del dispositivo da parte del Tribunale di Reggio Calabria con cui, il 7 maggio 2014, venivano condannati tutti i grandi capi delle cosche cittadine (Giuseppe De Stefano, Pasquale Condello, Pasquale Libri, Domenico Condello e Demetrio Condello) «...per avere promosso e diretto uno “specifico organismo decisionale di tipo verticistico di cui coordinano l’azione finalizzato a gestire la capillare attività d’imposizione di pagamento della tangente agli operatori commerciali ed imprenditoriali del territorio di Reggio Calabria…» nei mesi seguenti veniva depositata la motivazione, il cui tenore, proprio ai fini che qui rilevano appare di estremo interesse.

Segnatamente il Collegio, in primo luogo, ha chiarito e ribadito la struttura unitaria del mandamento di centro, affermando: «Il novum, invece, emerso dalle risultanze di questo lungo e complesso dibattimento, consiste nella strutturazione di un organismo decisionale di tipo verticistico, all’esito di un iter evolutivo costellato di alleanze, accordi, frizioni, fibrillazioni, che rappresenta un qualcosa di molto diverso, avendo come finalità quella di coordinare e dirigere la gestione – in via ordinaria e costante – di tutte le attività criminose che si consumano nel mandamento di centro (in particolare il capillare taglieggiamento di commercianti ed imprenditori ed il controllo del settore degli appalti pubblici), evitando il sorgere di conflitti, imponendo un controllo accentrato dall’alto al di là dei confini territoriali tradizionali, pur nella permanente limitata operatività delle singole consorterie. Si è venuta, dunque, a costituire un’autonoma associazione criminale distinta dalle singole associazioni – non un mero vertice collegiale di una super-associazione nata dalla integrazione delle associazioni medesime – avente autonomia funzionale, strutturale ed organizzativa, composta dai vertici delle cosche cittadine più potenti, con a capo De Stefano Giuseppe, in qualità di “Crimine”, universalmente riconosciuto, in grado di imporre regole da tutti condivise e rispettate, di dare stabilità, di intervenire con potere coercitivo, nonché di rapportarsi con le istituzioni, la massoneria e la politica, i cui collegamenti in questo processo sono emersi allo stato embrionale e sono in corso di esplorazione investigativa in altri procedimenti.

Naturalmente una tale configurazione giuridica del fenomeno in esame non appare per nulla incompatibile con il fatto che all’interno di tale super-associazione convivano ed operino distinti gruppi criminali a base familiare fortemente coesi in quanto costituiti da persone legate tra loro da rapporti di parentela o, comunque, da pregressa e salda conoscenza e complicità criminale».

Premessa una disamina storica sulla stessa funzione del grado di “Santa”, la cui funzione è essenzialmente quella che si è fino ad ora descritta come propria e tipica della ‘ndrangheta cittadina, cioè quella di relazionarsi con le cosiddette entità esterne, nello svolgere un parallelismo tra Cosa nostra e ‘ndrangheta, la motivazione ha enfatizzato correttamente, scrivono i sostituti procuratori nazionali della Dna a pagina 34, proprio il «profilo della segretezza dell’associazione e la sua funzionalità a penetrazioni in contesti diversi e di livello superiore, anche massonici».

Nelle motivazioni della sentenza “Meta” è stato dato rilievo anche al fenomeno dei cosiddetti «invisibili» e cioè di coloro i quali, nel sodalizio, per la loro capacità mimetica avevano proprio il compito di allacciare le relazioni : «…E però, non può disattendersi che la ‘ndrangheta, persino più di Cosa nostra, rispetto alla quale ha unanimemente assunto, non a caso, una posizione di riconosciuta primazia, è organizzazione altamente impermeabile alle indagini (e comunque all’esterno), è connotata da un elevatissimo grado di segretezza, possiede una sconcertante capacità di infiltrazione nella società – anche negli apparati pubblici ed istituzionali – congiunta ad una altrettanto elevata capacità di mimetizzazione. Si tratta, all’evidenza, di dati di cui occorre tener conto in occasione della valutazione sopra richiamata, con ciò non intendendosi ammettere la possibilità di uno svilimento dello standard probatorio, non essendo ciò concepibile, né parimenti ammissibile un’acritica ricezione (quasi una sorta di supina acquiescenza) delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Si tratta, piuttosto, di dover necessariamente tenere conto, nel leggere le prove, della specificità del fenomeno associativo in rilievo (cioè della ‘ndrangheta), del concreto contesto sociale e delle pieghe del peculiare humus di fondo di tale insidiosissima organizzazione, delle massime di esperienza ricavabili da pregressi studi della realtà interessata o da pregressi accertamenti giudiziari locali, nonché di evitare, per altro verso, un approccio meramente notarile».

Ecco, umilmente, dal basso di questo umido blog, direi che vanno sostenuti, incoraggiati e apprezzati i magistrati (da Reggio a quelli della Dna) che non sposano «approcci meramente notarili». Vale a dire che non si accontentano delle “mezze verità” per quanto sacrosantamente scolpite in sentenze passate in giudicato.

r.galullo@ilsole24ore.com

4 – to be continued (per le precedenti puntate si vedano http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/25/relazione-dna1-la-ndrangheta-borghese-di-reggio-il-comune-un-unicum-come-nemmeno-la-palermo-ruggente-di-cosa-nostra/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/26/relazione-dna2-la-firma-dello-stato-il-cervello-della-ndrangheta-e-a-reggio-calabria-le-braccia-ovunque/

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/27/relazione-dna3-la-capacita-delle-cosche-reggine-di-legarsi-alla-politica-e-condizionarla-il-caso-matacena/)

  • guido |

    Assodato dai magistrati antimafia che la città di Reggio è preda assoluta delle varie cosche mafiose in compartecipazione con pezzi di massoneria locale e buona borghesia(come del resto è da sempre)mi chiedo : come farà il giovane sindaco a gestire un c.c. e un apparato burocratico che normalmente è al servizio o del potente politico locale o della ‘ndrangheta di riferimento e ridare un minimo di speranza a questa città e all’aria metropolitana che dovrà amministrare in sostituzione della provincia ormai cancellata?

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