Scontro Governo-Regione sulle nomine sanitarie: reato di lesa impunità per la classe dirigente calabrese

Cosa rende la cattiva politica immortale in Italia? La risposta è una sola: l’impunità morale e (quasi sempre) amministrativa e giudiziaria.

E quale è la regione che insegna all’Italia e al mondo intero che l’impunità diventa legge materiale e senso immorale? Anche in questo caso la risposta è una e una sola: la Calabria.

E quali sono – infine e per non annoiarvi con gli indovinelli – i Magnifici Rettori che guidano l’Università dell’Impunità politica e sociale in Calabria? Anche in questo caso la risposta è una e una sola: a turno i politici e la classe dirigente che, in Calabria, indossano trasversalmente la maglietta dell’onnipotenza impunita. Le eccezioni ci sono ma sono, appunto, eccezioni.

Dico e scrivo queste cose da anni e mi illudo, da anni, di sbagliare e poter così tornare sui miei passi chiedendo umilmente scusa ai lettori.

Non è così e ogni giorno ve n’è riprova.

Lo (ri)scrivo e lo (ri)dico prendendo spunto e pretesto dall’ultimo e recentissimo braccio di ferro tra Stato centrale (attraverso una presa di posizione del ministero della Salute e di quello dell’Economia) e periferico (le nomine di Giunta regionale nelle locali Aziende sanitarie e ospedaliere).

Non so chi abbia ragione (lo Stato che nega la possibilità di effettuare nomine in regime di prorogatio amministrativa, visto che il Governatore Giuseppe Scopelliti si è dimesso, costretto a ciò dalla cosiddetta “legge Severino” e la Regione andrà al voto il 23 novembre, oppure la Giunta regionale, che rivendica il potere di procedere alle nomine)  ma so che quel che conta, in Calabria, è alimentare sempre e comunque lo scontro ad ogni livello, per affermare un principio di identità genetica, politica e sociale: l’impunità e il suo senso (per me) immorale.

Tanto a pagare (semmai pagheranno) non saranno gli artefici delle scelte ma la collettività amministrata. Uno scaricabarile sociale che è alla base della caduta in rovina di un popolo, quello calabrese, che tutto giustifica sulla base del principio dell’appartenenza. In Calabria si appartiene sempre a qualcuno o a qualcosa e dunque si obbedisce, si subisce e si tace.

Qualunque altra Regione avrebbe desistito (nell’imminenza delle votazioni) di fronte alla possibilità di effettuare nomine (che oltretutto saranno presto ribaltate dai nuovi schieramenti vincenti, in un balletto senza fine) ma in Calabria no. Non si può. Non è ammesso dalle Tavole dell’Università dell’Impunità e chissenefrega se ora il casino (già ai massimi livelli) è destinato a degenerare in tragica commedia, visto che il ministero della Salute ha annunciato che il commissario straordinario per il rientro del debito sanitario regionale, il generale Andrea Pezzi e il suo braccio destro Andrea Urbani hanno «… il potere di rimuovere e privare di ogni efficacia gli atti deliberativi in esame, al fine di impedire il prodursi di effetti gravemente pregiudizievoli per gli obiettivi perseguiti dall’organo commissariale e, più in generale, per la finanza pubblica».

Siamo al delirio e alla facile previsione di un ulteriore braccio di ferro che si giocherà sulla pelle dei calabresi che avranno a che fare con la già disastrata sanità territoriale (salvo eccezioni).

Del resto non può che essere così perché i corsi universitari locali di “Esegesi dell’impunità” prescrivono categoricamente che la gestione ad ogni costo della cosa pubblica, in Calabria, parta proprio dalla salute che, prima di qualunque altro diritto, deve essere venduto come favore. La lista dei clientes (a partire da pazienti e fornitori) alimenta l’impunità trasversale della politica e della classe dirigente calabrese e, dunque, in questa terra nessuno può imputare al proprio simile di avere un atteggiamento immorale.

Drammaticamente semplice ma così è.

Ogni giorno che Dio manda in terra la politica calabrese (tutta, senza distinzione di colore che da quelle parti è solo fumo negli occhi e, difatti, il braccio di ferro sulle nomine sanitarie accumuna in un solo abbraccio maggioranze e pseudo opposizioni interne ed esterne ai partiti regionali, al di là delle finte apparenze di contrapposizioni e pubbliche denunce) muove i propri passi per garantirsi l’impunità nel silenzio omertoso dei vicini di letto, di banco, di casa, di scuola, di parrocchia, di partito, di loggia. Spesso aiutata, “nelle” e “per” le sue componenti devianti, da chi co-governa la cosa pubblica, vale a dire quei sistemi criminali di cui le cosche di ‘ndrangheta detengono una sostanziosa quota azionaria.

Tutta la storia recentissima (che è una summa di quanto sto dicendo) testimonia come l’impunità e il suo senso, per me, immorale (o amorale, forse ancor peggiore) traccino la storia e la vita quotidiana della politica calabrese. Come descrivere diversamente la telenovela che ha condotto (dopo mesi di balletti e trucchi) un Tar a imporre alla Giunta regionale l’obbligo di indire la data delle elezioni? Badate bene che nessuno tra gli schieramenti politici aveva interesse ad andare al voto: lo pseudo-centrodestra per la condanna in primo grado del suo conducator già pluripremiato inventore del modello Reggio e per la tranvata alle elezioni europee; il pseudo centrosinistra per la nullità del progetto politico alternativo e per la pochezza degli uomini in campo; i GrilloCasaleggiodipendenti per le spaccature interne al loro movimento e la vacuità delle proposte. Una Giunta che, si badi bene, nell’impunità assoluta ha oltretutto proceduto in questi mesi di prorogatio a infornate di altre nomine che rischiano non solo di essere nulle ma, principalmente, di avvelenare pozzi e pozzetti che a qualcuno, però, anziché veleno portano sostanza ed alimento.

Tutti insieme i consiglieri (tranne il M5S che ancora non siede in consiglio) appassionatamente uniti dalla difesa dei meritati stipendi, dei valorosi benefit, delle sudate prebende, delle agognate indennità ma, soprattutto, tutti (salvo eccezioni) a testuggine romana a difesa del tempo. Sì, il tempo. Quello necessario per posizionarsi e/o riposizionarsi e mettere la propria anima in vendita al miglior offerente. Un’elezione, da queste parti, in un modo o nell’altro è per sempre e i patti con il diavolo nulla sono in confronti ai patti che si stringono da Cosenza a Reggio passando per Vibo, Lamezia, Catanzaro e Crotone. Il capo della Procura di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ha annunciato in Commissione parlamentare antimafia che investigatori e inquirenti vigileranno sulle elezioni imminenti a Reggio e in Calabria. Lo spero ma il solo modo per farlo sarebbe tenere sotto controllo tutti i candidati o aspiranti tali. Mi accontenterei di alcuni e chissà che, una volta tanto, la Procura in questo tipo di indagini non abbia giocato d’anticipo anziché scoprire (a posteriori e con non poche polemiche, ad esempio, che so, sulla disattivazione delle intercettazioni ambientali) le magagne (alcune) a giochi elettorali fatti.

E’ l’impunità sociale che consente a politici senza scrupoli e traditori della propria coscienza ancor prima che della propria terra, di sedere allo stesso tavolo della ‘ndrangheta, dello Stato deviato e dei professionisti collusi con i sistemi criminali.

E’ l’impunità politica ma soprattutto quella sociale che permette ai politici politicanti, di qualunque falso colore, di poter solo pensare che i Giornalisti (intendo dire quelli degni di questo nome) vengano diretti nelle proprie cronache, analisi e riflessioni, da interessi che non siano solo ed esclusivamente quelli del lettore, nella ricerca della verità oltre le apparenze e nel rispetto della propria dignità, moralità, indipendenza assoluta e incorruttibile coscienza. Per questo, quando giunge una condanna penale (cosa rarissima in Calabria) di un politico, chiunque in questa terra, a cominciare dal condannato, può permettersi di gridare alla lesa impunità, reato, quello sì, di deplorevole nefandezza. Mai come in Calabria il “complottismo” è una malattia che colpisce non le persone comuni ma i politici che vedono trame laddove c’è solo e puro esercizio della democrazia e, per quel che riguarda i media, libertà di stampa e diritto di cronaca, beni assoluti. Solo in Calabria può accadere che i giornalisti, anziché essere visti per quel che sono, vale a dire narratori della realtà, siano additati come “nemici”.

Spero che ciascuno rifletta su questo. Solo l’impunità politica ma soprattutto quella sociale può permettere ai politici calabresi, di qualunque falso colore, di gridare a complotti e mercimoni quando i media mettono a nudo la pochezza di modelli, scelte e strategie (da qualunque parte provengano) venduti come Politica.

La Politica è il governo disinteressato di una collettività. Il resto, in Calabria, è impunità, che qui è assurta a legge non scritta e regola mortale di vita.

r.galullo@ilsole24ore.com