Non vorrei che l’orrendo episodio dell’inchino della statua della Madonna a Oppido Mamertina si trasformasse da tragedia in farsa. Anche perché non saprei stabilire il male minore.
L’episodio – se verrà provato dall’indagine in corso della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e con lei gli eventuali profili penali – a distanza di giorni dall’accaduto, si nutre infatti di contraddizioni, anomalie, distorsioni, “sparate”, deviazioni, morali, contro morali ma anche dubbi e domande. Tutto molto confuso. Pochi i punti fermi.
E allora cominciamo con il mettere alcuni punti fermi (ne indico 10 ma sono di più) a questa vicenda.
Punto primo: il comandante della stazione dei Carabinieri, Andrea Marino, ha fatto l’unica cosa che andava fatta: dissociarsi platealmente. Non solo: far riprendere con le telecamere (ora utilissima quella scelta) quanto stava ritualmente (e sottolineo ritualmente) accadendo sotto l’abitazione di Peppe Mazzagatti. Si badi bene: un abbandono calcolato ma non freddo perché il maresciallo, nei giorni precedenti aveva parlato con il Comitato organizzatore invitandolo a non permettersi di sostare davanti alla casa di don Peppe. Casomai c’è da chiedersi (visto che il maresciallo da sei anni staziona a Oppido) perché solo quest’anno si sia giunti a questo sacrosanto epilogo. Non ne conosco le ragioni (si dice che i recenti e pesanti arresti tra gli affiliati di Oppido abbiano fornito una forte ragione per battere i pugni, bah…mi pare poca cosa una simil ragione) ma forse, chissà, avrà influito la decisione di Papa Bergoglio di scomunicare i mafiosi e allora, se non interviene la Chiesa, vale la pena che intervenga lo Stato a ristabilire le gerarchie.
Punto secondo: proprio la scomunica del Papa obbliga a riflettere sul punto che questo episodio di Oppido Mamertina si inanella nella sfida che le mafie (‘ndrangheta in testa anche perché Papa Bergoglio ha “osato” pronunciare la scomunica in Calabria, a Lamezia Terme) hanno lanciato al Vaticano. Tu mi scomunichi? Magari me ne fotte dal punto di vista personale ma, io mafioso, è il ragionamento di questi essere immondi, non posso tollerare che tu Chiesa, che a lungo con me hai convissuto in adorazione dei peccati e che in larghe parti continuerei a farlo, osi mettere in discussione il mio potere terreno. Tu, Chiesa Romana, non puoi permetterti di minare il mio potere mafioso, fatto di regalie alla Chiesa stessa, fatto di voti religiosi programmati in modo da inserire nella Chiesa stessa uomini affiliati, fatto di supremazia sul territorio indiscussa, fatto di connivenze, fatto di omertà, che è il vero alimento nutritivo delle mafie. Come osi Papa argentino sol pensare di incrinare il mio potere così faticosamente costruito negli anni anche grazie ai prelati disseminati in ogni livello ecclesiastico? Ma cosa ti sei messo in testa, Papa sudamericano, di ripercorrere forse le tappe di un altro arcivescovo “comunista”, quel monsignor Oscar Arnulfo Romero freddato da un cecchino il 24 marzo 1980 a San Salvador mentre celebrava messa?
Punto terzo: ancora una volta ha ragione il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, il primo a ricordare in un’intervista al Fatto Quotidiano il 13 novembre 2013 che questo Papa rischiava per via della pulizia che intende portare avanti ad ogni livello, che ha previsto tre scenari:
1) sfida accettata dalla Chiesa (personalmente non ci credo, avverrà solo temporaneamente e non dappertutto);
2) dialogo delle cosche con i preti compiacenti in modo da far finta di aderire e dunque “chinarsi” ora che passa la bufera, pronti a rialzare la testa quando il vento è passato (credo molto a questa possibilità);
3) tentare la mediazione tra Chiesa e cosche (non credo possa accadere, come anche nel recente passato, perché questa strategia passerebbe nella occulta cabina di regia del Vaticano e nella cabina di regia degli “invisibili” delle mafie ma sono certo che da quell’orecchio Papa Francesco e la sua elite di collaboratori non solo non ci sentiranno ma, semmai qualcuno provasse a fare da ambasciator che non porta pene per conto delle mafie, sortirebbe l’effetto contrario).
Anche qui mi pongo una domanda: ma ci voleva un papa sudamericano per giungere a questo livello di insperata e benvenuta sfida della Chiesa alle mafie?
Punto quarto: senza l’informazione libera, questa notizia (chissà quante volte questi episodi, anche recentemente, saranno accaduti) non avrebbe mai visto la luce. E senza la perseveranza della stampa nel seguire la notizia non sarebbero venuti alla luce questi dibattiti. Mai si riflette abbastanza, in questo dannato Paese, dell’importanza vitale della libertà di stampa per la democrazia.
Punto quinto: Domenica Mazzagatti, figlia dell’ergastolano (a casa sua!) Giuseppe, in un’intervista a Lucio Musolino (cronista minacciato domenica scorsa sol perché si era recato a seguire la messa celebrata da don Benedetto Rustico, il parroco che ha organizzato la processione) ha negato l’inchino e quando la gente del suo paese ha visto le telecamere e si è fermata, ha cominciato a gridare in dialetto, scuotendosi cinematograficamente il petto e recitando la parte della martire indiretta, dicendo che voleva parlare con il ministro Angelino Alfano e con Rosy Bindi per dirglielo di persona, ma soprattutto gridando vendetta da parte del Signore nei confronti del padre e dei fratelli innocenti. Fossi la Dda di Reggio Calabria convocherei la signora Domenica Mazzagatti, così, tanto per farmi spiegare il concetto di vendetta. Così, tanto per farsi spiegare il senso dell’innocenza dei suoi familiari.
Punto sesto: «Il maresciallo ha tentato di parlare con alcuni membri del Comitato, i quali presi alla sprovvista hanno detto che avrebbero visto cosa fare. Io non ne ero a conoscenza e sono stato preso di sorpresa. Se il maresciallo si fosse rivolto a me, avrei certamente trovato una soluzione. Avremmo fatto a meno di fare la processione perché non vogliamo che la festa dia adito a situazioni lontane dal sentimento religioso». Ecco la sintesi di quanto detto da don Benedetto Rustico, parroco della frazione di Trisilico a Oppido Mamertina, in un’intervista di Stefano Perri per il quotidiano online Strill.it.
Dopo aver notato che in questa intervista non c’è spazio ad una domanda sul perché don Rustico abbia invitato i fedeli a schiaffeggiare il cronista del Fatto Quotidiano, dopo aver notato che non c’è spazio sulla voce che in paese gira secondo la quale avrebbe rapporti di parentela con la famiglia Mazzagatti (non è un reato ma io avrei fatto la domanda chiedendo se questo avesse potuto eventualmente condizionare) e dopo aver notato che non c’è stato spazio sulla polemica a distanza con il maresciallo Marino («il maresciallo è sempre stato presente con noi in questi anni e ha anche sempre assistito con noi a questa azione…in questa casa abita questa famiglia che loro dicono ma applicando questo criterio le nostre case sono piene di persone che hanno problemi giudiziari…») faccio io a voi e a me stesso una domandina semplice semplice: ma in un paese di 5.700 abitanti come è possibile che il parroco non abbia saputo che il maresciallo aveva sollecitato alcuni membri del Comitato a non fare quel gesto? Lo stesso don Rustico dice che, si, lo sapeva «se non per più o un meno. Nessuno di noi aveva percepito che lui vedeva questo parlare come una sanzione…Se tu lo avessi detto a me invece di dirlo ai portatori…». E allora, c’è bisogno dell’inchino del maresciallo al parroco? Possiamo davvero pensare che in un paese di quattro (mazza)gatti chi governa le leve del potere, parrocchiale o amministrativo non sappia cosa accade? Ed infatti perfino il sindaco, Domenico Giannetta, ben 15 giorni prima della processione ha saputo direttamente dal maresciallo che non avrebbe tollerato gesti di deferenza. Lo sapeva il sindaco, non lo sapeva il parroco, il Comitato e il paese tutto? Bisognava attendere l’inchino del maresciallo al parroco per trovare una soluzione?
Punto settimo: la popolazione ha assistito (ora come negli anni scorsi) inerme al rito. Assuefazione, noncuranza, ignoranza, apatia, afasia, tolleranza, creanza, menefreghismo, rassegnazione, tranquillità: chiamate questo atteggiamento come volete. Ma dove sono allora le persone perbene che il maresciallo Marino ha invocato (e che ovviamente esistono a Oppido). C’è da ragionare, per deduzione logica, che fossero tutte fuori dal corteo, visto che nessuno ha abbandonato la processione? La realtà è in una Calabria senza Stato e dove spesso lo stato (non parallelo ma intraneo) è la ‘ndrangheta, quel gesto del maresciallo Marino può rappresentare un segno dello Stato dopo decenni di lunghi sonni. Da ora in avanti si misurerà il senso dello Stato dei cittadini di Oppido anche se non basterà una stazione dei Carabinieri. Ci vuole una scuola che formi e informi, famiglie che non vengano abbandonate, parrocchie che alzino la testa e seguano la strada solcata da Papa Francesco, una politica locale che guardi al bene comune e non si inchini al boss di turno.
Punto ottavo: sarà anche vero (ed è vero) che Oppido Mamertina è piena di brave e oneste persone, cavolo se è vero. Però è anche vero che il sindaco ha detto a chi vi scrive (in un’intervista pubblicata su www.ilsole24ore.com che ciascuno di voi può leggere qui http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-07-07/parla-sindaco-oppino-mamertina-ho-peccato-leggerezza-143127.shtml?uuid=ABdjHTYB&fromSearch) che lui e la sua giunta sono nove fiori nel deserto. Ed è anche vero che secondo la ricostruzione della Dna nel rapporto annuale 2013, nella zona di Oppido Mamertina ci sono le cosche Rugolo-Mammoliti, Ferraro e Polimeni-Mazzagatti-Rustico. Insomma, una cosca (e sei famiglie) ogni 1.790,6 abitanti!
Ed è anche vero che il 26 novembre 2013 i Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito ad Oppido Mamertina 20 provvedimenti di fermo nei confronti di altrettante persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, di alcuni omicidi, intestazioni fittizie di beni e di avere reimpiegato proventi di attività illecita nell’acquisto di immobili.
L’indagine denominata Erinni – che è scaturita dalla ripresa della faida che vede contrapposta la cosca Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo a quella Ferraro-Raccosta, scoppiata nel 1991 e che ha portato al sequestro di 80 immobili tra case, negozi e terreni, per un valore di oltre 70 milioni – ha svelato il modo in cui un ventenne è stato martoriato. E’ stato seviziato, colpito a sprangate e il suo corpo, ancora in vita, dato in pasto ai maiali (si legga http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2013/11/29/dato-vivo-in-pasto-ai-maiali-le-ultime-ore-di-agonia-del-giovane-nel-racconto-integrale-del-killer-di-ndrangheta/).
In altre parole: guagliò la ‘ndrangheta a Oppido esiste, è fortissima e detta la legge che vuole! Chiaro? Se non ci ficchiamo questo in testa ragioniamo del nulla.
Punto nove: non si deve finire a tarallucci e vino. Scusate ma è quel che penso della “trovata” scenografica di Fiorello alla quale il sindaco di Oppido ha risposto con un’altra “genialata”. Leggete qui il comunicato stampa del sindaco del 9 luglio: «Raccolgo l’appello virtuale di Fiorello, anche #iononminchino!
Anzi voglio fare di più! Propongo a Fiorello di rendere reale questo appello virtuale. Vorrei che mi desse la sua disponibilità per incontrarci e per organizzare insieme un evento annuale che possa coinvolgere tutte le Istituzioni, le Forze dell’Ordine, le Autorità ecclesiastiche e politiche, le associazioni e tutti coloro i quali si impegnano quotidianamente nel sociale e da sempre si battono contro ogni tipo di mafia.
Musica,danza, cultura, sport e divertimento per dire con gioia e insieme, qui ad Oppido, “Io non mi inchino” e per sensibilizzare tutti, soprattutto i giovani, sul delicatissimo tema della legalità in terra di Calabria. Questo evento potrebbe annualmente coincidere proprio con i festeggiamenti in onore di Maria S.S. delle Grazie». Ma santo Iddio i giovani si sensibilizzano tra una spalmata di ‘nduia e una tarantella? E perché non con il “lancio della pitta fritta” (visto che c’è anche lo sport)?
Punto dieci: la lotta alle mafie è una questione troppo seria per lasciarla in mano alla politica.