Per il vicecapo della Polizia Cirillo, l’Associazione dei testimoni di giustizia pone dubbi e domande (senza risposta)

Cari lettori, se mi avete seguito anche ieri, sapete che il 29 maggio il vicedirettore generale della pubblica sicurezza, Francesco Cirillo, si è seduto di fronte alla Commissione parlamentare antimafia.

La sua audizione è stata molto ricca ed interessante. Tra gli spunti, quello relativo al Servizio centrale di protezione che in questo momento amministra 5.841 cittadini. «E’ brutto dirlo così – dirà Cirillo di fronte ai commissari – e preferisco dire che il Servizio centrale di protezione è una sorta di piccolo comune che ha 5.841 cittadini e un sindaco non eletto, ma nominato. Si tratta di 5.841 persone protette, 1.144 collaboratori di giustizia e 80 testimoni. La gran parte è composta dai familiari sia dei collaboratori, sia dei testimoni».

Anche le pietre sanno delle enormi falle del sistema di protezione che, negli anni, diversi testimoni hanno più o meno clamorosamente denunciato. Anche le pietre conoscono le difficoltà di inserimento nella società da parte di queste persone. Anche i massi sanno che trovare loro un lavoro (come prevede la legge) è complesso ed è spesso compito disatteso. Anche i ciotoli sanno che i familiari vivono in condizioni complesse nel luogo di origine. Al punto che, esausti, i testimoni hanno preso coscienza del loro essere e della loro condizione e si sono riuniti in un’associazione presieduta da Ignazio Cutrò, testimone di Bivona (Agrigento), che ne ha passate davvero di tutti i colori (si legga, io l’ho fatto con piacere, il bel libro di Benny Calasanzio Borsellino Abbiamo vinto noi”, Melampo editore) ma nonostante tutto crede ancora di aver fatto il passo giusto denunciando e affidandosi allo Stato.

Cirillo ha il merito di aver snocciolato per filo e per segno le attività e le difficoltà in cui si trovano da una parte i testimoni e dall’altro lo Stato che deve proteggerli. Ad un certo punto il vicedirettore generale della pubblica sicurezza si pone una domanda e pone a tutti una riflessione serissima: «Chiederei che si avesse un momento di riflessione sul fatto se sia giusto fino in fondo che esista un’associazione di testimoni di giustizia. Perché dico questo? Perché lo stare insieme è vero che protegge, ma molto spesso espone. Io parlo per i profili di sicurezza, non per i profili di alcun altro genere. Non sto esprimendo giudizi assoluti su nessuno, ma sto fornendo qualche suggerimento per la sicurezza. Il testimone non deve assolutamente perdere alcuno dei suoi diritti, meno che mai il diritto alla libertà, il diritto alla famiglia, il diritto a potersi costruire una vita libera, ma in questo momento dobbiamo fare tutti anche i conti con l’economia del nostro Paese. In tempi passati, sia ai testimoni, ma ancor prima ai protagonisti della prima stagione dei collaboratori di giustizia lo Stato italiano è riuscito a dare garanzie economiche forti. Oggi è cambiato il mondo, è cambiata l’economia e sono cambiate le disponibilità che si hanno. Pertanto, pensare che in questo momento tutto si possa risolvere per via economica è complicato, come pensare che tutto si possa risolvere contrastando quello che di buono lo Stato italiano ha fatto per la protezione».
Qui la discussine si fa davvero interessante perché se i testimoni sono giunti al punto di riunirsi in associazione, evidentemente, è per lanciare un segnale forte e di disperazione. Sacrosanto farlo, dal loro punto di vista. Sfido chiunque a trovarsi nelle loro condizioni.

Il commissario Francesco D’Uva (M5S) afferma: «Penso che siamo tutti d’accordo che un’associazione dei testimoni di giustizia non ci debba essere, ma di fatto esiste perché loro si sentono abbandonati e, quindi, si danno conforto l’un l’altro. Probabilmente, se riusciamo, come Stato, a eliminare questo senso di abbandono dei testimoni, l’associazione non avrà neppure senso di esistere. Io cercherei di raggiungere l’obiettivo proprio in questo modo».

Il presidente Rosi Bindi aggiunge: «Quello che ci sembra di percepire è che forse il problema non è risolvibile con un’associazione. Poiché ogni caso è veramente molto personale, molto originale, con percorsi assolutamente inediti, perché poi la reazione di una persona di fronte a una tragedia e anche il coraggio con il quale si reagisce alle tragedie provoca situazioni diversissime, si avverte una sorta di mancata personalizzazione della presa in carico di queste persone. Ciascuno di loro ha una storia, ma di fronte si trova una struttura e un servizio che fa fatica a essere proprio personalizzato.
Probabilmente, insieme a un’attenzione a quello che è possibile e alla
   monetizzazione di tutti i possibili danni che sono stati ricevuti, forse occorre anche capire meglio come agire anche in termini di formazione delle persone dedicate, di tempi, di modi, di attenzioni, che magari non costano nemmeno, non hanno neanche un grande costo, ma vanno incontro a una situazione che umanamente è assolutamente irripetibile. Tutti siamo irripetibili, ma nel campo soprattutto dei testimoni l’irripetibilità è una caratteristica particolare».

Quella del presidente Bindi è una riflessione di buon senso e non a caso prosegue chiedendo a Cirillo se il servizio di protezione prevede anche varie figure professionali, se c’è un progetto per ciascuna persona. Persone, appunto, e non numeri.

Cirillo è molto professionale nella risposta e offre spunti reali, concreti e non virtuali sui quali ragionare. Perché l’utopia è una cosa, la realtà un’altra. «Ogni testimone è una persona, ogni familiare è un’altra persona – afferma – e non rappresentano un cumulo di persone. La questione è che tutti i soldi che lo Stato ha speso li ha spesi per un progetto di vita e di lavoro. Molti testimoni che oggi ritornano a chiedere sono coloro che quel progetto di lavoro non l’hanno saputo portare avanti, pur avendo sottoscritto all’epoca una liberatoria per lo Stato italiano, dicendo: “Io faccio questo”.
Il nostro personale, che è fatto di categorie diverse, di poliziotti, di carabinieri, di finanzieri, ma anche di psicologi, di medici e di persone che vengono dalla vita civile, prima di entrare nel Servizio centrale di protezione frequentano un corso. Ogni anno il personale fa un corso di aggiornamento. Non vorrei essere
frainteso, ma con i miei collaboratori noi cerchiamo di andare a fondo delle cose che vengono dette. Molte cose sono vere. Molte cose, invece, non dico che sono false, ma sono dei sistemi che si sono creati pensando di aver trovato una soluzione di vita, in un mondo in cui, purtroppo, oggi c’è la crisi. Il testimone cerca di reinserirsi e, secondo me, la strada imboccata non è la strada imboccata dai testimoni, cioè la strada della pubblicizzazione a tutti i costi. Non credo che sia la strada migliore.
Il Parlamento ha approvato una legge bellissima, ottima, relativa
all’obbligo di dare ai testimoni che oggi escono dai programmi di protezione, ma anche ai testimoni che ne sono usciti negli anni scorsi, l’avvio al lavoro. È una bellissima legge. C’è forse un solo piccolo problema: trovare il lavoro. Per carità, ci riusciremo, cercheremo di riuscirci, ci metteremo a disposizione. Ancora, come lei sa, non è stata ancora redatto il protocollo. Non è stato ancora redatto il regolamento. Lo faremo sicuramente nel momento in cui avremo a disposizione gli strumenti, ma, come dicevo prima, se non lo facciamo tutti insieme, soprattutto con i testimoni, non ci riusciamo. I testimoni debbono capire che, essendosi dati allo Stato e avendo dato questa mano enorme…., le mani date non sono tutte uguali. Ci sono delle mani date appieno, delle mani date a metà, delle mani date sì e no.
Noi ci adopereremo fino in fondo, perché il Parlamento ci ha dato una legge e poi ci fornirà gli strumenti per farlo, ma io continuo a dire: facciamolo tutti insieme. Facciamo una chiamata, le associazioni, i comuni, le regioni e – perché no? – le categorie produttive, Confcommercio, Confindustria. Sono tutte persone perbene i testimoni
».
Quella di Cirillo, è lui stesso a dirlo, è una chiamata «alle armi», una chiamata a collaborare. Sono certo che anche l’Associazione nazionale dei testimoni di giustizia e Ignazio Cutrò la pensano così.

r.galullo@ilsole24ore.com

2 – the end (per la precedente puntata si veda http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/06/19/grande-fratello-in-12-mesi-le-forze-di-polizia-hanno-effettuato-115-milioni-di-controlli-sui-cittadini-italiani-o-stranieri/)

  • Bartolo |

    l’80% dei casi?!?!
    beh…se così è, caro avvocato, non ci rimane che sperare in un colpo di genio da parte di governo e parlamento: immediato utilizzo di pentiti e collaboratori di giustizia in luogo della polizia giudiziaria. e, tanto per rimanere in tema, perché non sostituire pure le forze dell’ordine con gli affiliati alle mafie? in tema di semplificazioni e austerity si eviterebbero, così, degli inutili doppioni.

  • giulio |

    come difensore di qualche collaboratore di giustizia ritengo che la discussione affrontata in Commissione, sia solo di passatempo, inutile è di facciata. La storia della crisi è solo una cazzata dei tempi moderni. I testimoni e i collaboratori sono l’unica risorsa per la Magistratura, la quale senza di loro nell’80% dei casi non sono in condizione di fare niente. Per risolvere il problema del reinserimento sociale e della protezione basterebbe pochissimo e pochi soldi. Il resto sono solo esternazioni spesso mediatiche ove tutti fanno a gara per dimostrare di essere più filosofici e bravi dell’altro. Come al solito sui temi della giustizia troppe parole. Troppe persone che parlano e nessuno che adotta decisioni. Non ci vorrebbe una associazione, ma piuttosto una azione congiunta alla Corte Europe per i diritti dell’Uomo. Pare che questo è l’unico modo per smuovere l’Italia e indurla a risolvere problemi dei quali ormai si parla da troppo tempo. Invito Cirillo e la Bindy ad un incontro pubblico per dargli poche indicazioni sufficienti per risolvere il problema dei testimoni e collaboratori.

  • Gesualdo Gustavo |

    Tutti molto convinti che una associazione dei collaboratori di giustizia non debba esistere, ma nessuno rimuove i problemi all’origine del loro sindacare.
    Sempre la casta.
    Complimenti.

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