Il Piano antindrangheta del ministro Alfano tra cassa (vuota) e intuizioni (hub esteri) – Ma il vero punto resta l’intelligence

Tanto? Poco? Nulla? Come si può definire il Piano d’azione nazionale e transnazionale contro la criminalità organizzata di tipo mafioso calabrese, presentato ieri a Roma dal ministro dell’Interno Angelino Alfano?

Partiamo da un punto inequivocabile: qualunque sforzo nella direzione del contrasto e nella prevenzione del crimine mafioso è benvenuto. Dunque, sgombriamo il campo dagli equivoci: benvenga il Piano. Benvenga qualunque piano che dia speranza di rinascita ad una terra (la Calabria) a mio opinabile giudizio persa per sempre e a regioni (Lazio, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Liguria) assalite dalle cosche e non certo da ieri.

Detto questo, fare i conti è purtroppo facile: 800 uomini in più annunciati dal ministro. Ammesso e non concesso che saranno equidivisi, a ogni regione ne toccherebbero 133,3 (periodico!). Una pinzillacchera, un’inezia direbbe Totò. Un pannicello caldo, visto lo strapotere delle cosche e la capacità di autorigenerarsi con nuove leve ogni qualvolta un’indagine giudiziaria (magari definita epocale) sembra ridurne le truppe.

Tutto vero signori miei ma i numeri fanno i conti con la cassa e la cassa piange. In questi anni, a parte i proclami e i bla-bla-bla politici, le risorse alle Forze dell’ordine sono diminuite anziché crescere. Se c’è un comparto che viene regolarmente tagliato (rectius: segato) è quello della Sicurezza. Non si investe più, non si assume più (se non sotto emergenza), non si formano più tutori delle forze dell’ordine, si tagliano le caserme e si dimezzano gli orari di servizio, le pattuglie e le volanti sono rare e rarefatte, così come gli uffici sono pieni di vecchie divise e le strade sono povere di poliziotti e carabinieri. Nessuno inoltre vuole mettere mano alle duplicazioni (ha ancora senso avere Polizia e Carabinieri, ammesso che un senso l’abbia mai avuto e per averne contezza basta parlare con le forze investigative straniere) e la Dia è diventato un oggetto misterioso che lascia il campo allo strapotere delle polizie giudiziarie (che delle due l’una: o vengono guidate dai pm o sono loro a guidare, contro natura, i pm e allora son dolori).

Il Piano, oltre la miseria dei numeri, che non è certo colpa del ministro Alfano che fa quel che può, contiene aspetti interessanti come gli hub all’estero che, se non ho capito male, dovrebbero fungere da avamposti di aggressione alle attività economico-criminali all’estero (dove le mafie investono miliardi) e come uffici per la caccia ai latitanti.

Molto, molto interessante, soprattutto perché questa intuizione richiama il vero tema nell’aggressione alle mafie: i servizi di intelligence. Al netto dell’esigenza, tutta del ministero della Giustizia, di aumentare il numero dei magistrati nelle aree calde del Paese e dell’esigenza, tutta del ministero dell’Istruzione di aggiornare i programmi scolastici per formare docenti e discenti.

Ecco, il Piano non lo dice (e non poteva del resto dirlo visto la segretezza nel dna degli apparati di sicurezza interna e militare) ma quel che ci vuole è proprio un enorme potenziamento dei servizi di intelligence per minare (non certo sconfiggere perché questo, secondo il mio opinabile giudizio, non avverrà purtroppo mai) le basi delle mafie.

Pensare di sconfiggere la ‘ndrangheta solo con 800 uomini in più equivale a sperare di svuotare l’oceano con un cucchiaino. Nossignori, quel che ci vuole (e ce lo insegnava un tale che si chiama Giovanni Falcone) è potenziare enormemente l’intelligence e i suoi servizi.

Se le cosche calabresi (ma analogo discorso vale, mutatis mutandis, in Sicilia e in Campania), infatti, fossero ancora solo costituite da criminali badilanti aspromontani che dai rapimenti sono passati negli anni al traffico di droga, beh, forse 800 uomini in più, pure pure…

Ahimè, signori miei, la ‘ndrangheta, così come Cosa nostra, da decenni è diventata un raffinato ed evoluto sistema criminale nel quale compaiono stabilmente, strutturalmente, magistrati, investigatori e servitori infedeli dello Stato, giornalisti dalla penna sporca, professionisti al soldo, ecclesiastici che hanno tradito la fede, politici allevati a vangelo (no, non quello degli evangelisti) e via di questo passo.

Dimenticavo: i sistemi criminali contano su apparati deviati dei servizi segreti e di questo la democrazia italiana ha riempito le pagine di storia. Ecco dunque l’ostacolo più duro da superare: anche volendo rafforzare l’intelligence (e sono certo che questo come altri governi lo hanno ben chiaro in testa) resta da superare la doppia o tripla anima dei servizi (certamente non palese ma abilmente mascherata da uomini infedeli che minano un corpo sano e sanificato). Come bonificare l’intelligence dalle anime nere (in tutti i sensi) in attesa di rafforzarla?

Certo, è vero che i servizi segreti operano e devono operare in condizioni “borderline” ma la sensazione (non certo solo mia) è che in Calabria troppo spesso la presenza di oscuri apparati deviati, in contatto passato, presente e forse futuro con falange dell’eversione nera e con altre mafie, è entrata negli anni in azione facendo danni allo Stato e procurando vantaggi ai sistemi criminali. Anche recentemente?

Questa è la vera sfida: riformare profondamente l’intelligence e infarcirla di risorse capaci e ortodosse, che siano in grado di servire solo la Patria e che abbiano antenne ovunque: nelle cosche innanzitutto ma di pari passo negli uffici giudiziari, nelle sacrestie, nelle redazioni dei giornali, negli studi professionali, nelle aule dei tribunali, nei consigli comunali, provinciali e regionali, nelle carceri, nelle sedi dei partiti, all'estero e via di questo passo.

Ma soprattutto – guarda tu – servizi segreti che in Calabria abbiano veri e propri infiltrati nelle logge massoniche ufficiali e no. Perché è li, signori miei, che in Calabria si incrociano i destini dei calabresi e, sempre più spesso, degli italiani. A loro insaputa, anche se credo che ormai è il tempo di spalancare gli occhi.

C’è solo un piccolo problema e che sia ben chiaro al Governo (questo come altri passati e futuri): le logge deviate, in Calabria, sono piene (anche) di servitori deviati dello Stato. Come risolvere il problema?

Ah, per questo ci vorrebbe un Piano…magari segreto.

r.galullo@ilsole24ore.com