Libertà di stampa/ Spenta l’Ora della Calabria: la democrazia sospesa sta a guardare

«Mi distrugge un solo pensiero: che qualunque denuncia (anche questa, se provata) finirà come le altre. A pagare il prezzo più elevato sarà proprio Regolo e, a cascata, la sua redazione.

Così van le cose in Calabria, dove i diritti diventano piaceri e le ragioni si tramutano in torti».

Così, cari lettori, amaramente concludevo il pezzo che il 19 febbraio, su questo blog, ho titolato: “In Calabria le rotative si rompono e la notizia non esce (ma deflagra)”, dedicato alla vicenda della mancata stampa del quotidiano L’Ora della Calabria che sarebbe dovuto uscire con un’inchiesta sull’indagine che riguarda il figlio di un senatore della Repubblica Italiana, Tonino Gentile, per poche ore sottosegretario alle Infrastrutture del Governo Renzi e fratello di Pino, omologo del congiunto, essendo assessore regionale alle Infrastrutture della Regione Calabria. Evidentemente una passione comune. I Gentile da Cosenza sono, per chi non lo sapesse, una delle famiglie politicamente e legittimamente (per  volontà popolare) più forti e potenti della Calabria. Si potrebbe affermare (per difetto) che in Calabria non si muove politicamente foglia che Gentile (uno qualunque) non voglia. E in Calabria la politica non è molto. E’ tutto.

A distanza di appena due mesi spiace vedere che quella banale e prevedibilissima chiosa del mio articolo si concretizza. Facile, facilissimo profeta. Ieri, infatti, Luciano Regolo, direttore dell’Ora della Calabria, ha annunciato che il liquidatore del gruppo editoriale ha sospeso le pubblicazioni di un quotidiano che in questi anni, sotto varie direzioni, ha tentato di fare libera informazione, pagando prezzi sempre più alti.

La ricostruzione della vicenda potrete leggerla qui http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2014/02/in-calabria-le-rotative-si-rompono-e-la-notizia-non-esce-ma-deflagra.html e nella lettera del direttore Regolo che pubblico integralmente qui sotto.

Come sapete cari lettori, per quanto riguarda le denunce del direttore Regolo saranno le Procure a fare luce (almeno così si spera) e sapete che le indagini sono state già avviate. Suppongo che, a fronte delle nuove denunce del direttore, ci saranno altre evidenze sulle quali tentare di far chiarezza.

La mia riflessione, dunque, vuole superare (ora come il 19 febbraio) la contingenza della mera cronaca e spingersi (ora come il 19 febbraio) su aspetti strutturali.

Proprio ieri, su questo blog, ancora una volta, dedicando un’ampia riflessione ai sequestri e ai dissequestri delle fonti di vita professionale dei giornalisti ad opera delle Procure, mi chiedevo perché alcune cose potessero accadere solo in Calabria.

Perché solo in Calabria – a fronte di un sequestro ai danni, guarda tu, di un giornalista dell’Ora della Calabria – un Tribunale del Riesame può ignorare sentenze pregresse di altri Tribunali (e a malincuore passi), della Cassazione (e incredibilmente passi) e della Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo (e qui è davvero incredibile), che vanno tutte in una sola direzione: la libertà di stampa, di cronaca e il diritto all’informazione sono beni superiori e inviolabili. Perché, dunque, solo in Calabria può accadere una cosa del genere e bisogna attendere otto mesi prima che la Cassazione torni a riportare Giustizia? Ma la Giustizia non dovrebbe essere patrimonio condiviso e applicato subito nello stesso modo?

Oggi, cambiando fronte, mi domando, ancora una volta, sapendo perfettamente quanto siano retoriche le mie domande, perché accade e può accadere solo in Calabria che perfino un sito (quello dell’Ora della Calabria, appunto) venga addirittura oscurato e cancellato, in modo che venga spento anche il ricordo, la presenza immateriale di una voce giornalistica?

Perché accade solo in Calabria che l’informazione è, da tempo, terreno oscuro sul quale, nel nome di poche decine di migliaia di lettori (cosa più unica che rara nel mondo) si combattono battaglie epocali, con feriti, morti e senza prigionieri?

Perché accade solo in Calabria, con una forza fuori dal comune, che alcuni Giornalisti che danno la caccia alle notizie senza guardare in faccia a nessuno sono sottoposti a tentativi continui di delegittimazione e alcuni iscritti all’Albo (non so se dei professionisti o dei pubblicisti) che pubblicano veline sotto dettatura sono lodati e assurgono perfino a preziosi cultori delle materie dell’economia e della giustizia, piuttosto che dell’antimafia e della legalità?

Perché accade solo in Calabria che i giornalisti che non si rifugiano dietro un potere forte, un politico o una lobby, si possono contare sulle dita di una mano e perché accade solo in Calabria che gli altri si arrogano il diritto di spiegare agli uni come fare informazione, al riparo come sono di quelle potenti levi protettive che garantiscono immunità e spandono carriere inventate sul nulla?

Perché dunque accade che mai come in Calabria politica (senza colore, tanto sono tutti uguali) e informazione siano una miscela esplosiva che non tollera ingerenze e intromissioni? Ecco spiegato, plasticamente, perché accade solo in Calabria che un politico (uno qualunque, di destra, centro o sinistra) quando si trova di fronte a un informazione non irregimentata e che dunque sfugge miracolosamente al controllo, possa regolarmente e impunemente gridare al complotto giudoplutomassonico.

Tante altre ancora, potrebbero essere, sulla china di questo abbrivio, le domande da farsi. Ma alla fine è inutile, perché la risposta (personale, personalissima ma convinta, convintissima) la sto scrivendo da anni e anni, ben prima, molto prima, che pustole putrescenti si rivelino a catena in un corpo morente quale quello calabrese.

La risposta è che in Calabria la massa sopravvive (qualunque mestiere o professione svolga) in assenza di democrazia o, nella migliore delle ipotesi, in democrazia sospesa e dunque in un regime nel quale ciascuno sa come deve comportarsi per non morire agli ordini di una cupola invisibile nelle forme ma visibile nella sostanza. Ergo la Calabria è la terra dei diritti (per pochi eletti) e dei favori (per gli altri)

La Calabria è la terra dove (a parte i bla bla bla) nessuno va controcorrente, anche quando vorrebbe farlo. E se lo fa sa quale sarà il suo destino: delegittimazione o morte. Scegliete voi.

La Calabria è la terra dove la ‘ndrangheta non esiste e chi lo dice o ha paura o sa che è davvero così, visto che ai criminali badilanti dell’Aspromonte si sono aggiunti politici, professionisti, giornalisti, pezzi di Chiesa, servizi deviati, magistrati, investigatori e tutti insieme stanno dando corpo a una “cosa nuova” che spezza le reni da decenni anche a “Cosa nostra”.

Una condizione dittatoriale eterea e non dichiarata che la politica, i poteri marci, la cupola che governa questo Paese, vorrebbe estendere, da
decenni, ben oltre i meri confini geografici calabresi. E sappiate che ci stanno riuscendo, andando a colpire chirurgicamente per prima proprio la libertà di stampa: da nord a sud.

La Calabria è un prodigioso laboratorio per il quale, senza distinzione di sorta tra inesistenti destre, centro e sinistra, si battono e combattono tutti coloro che hanno anche una singola leva del potere da manovrare.

La Calabria è il regno del possibile dove oltre è impossibile, è la patria del “a chi appartieni” dove oltre è ancora del “cosa sai fare”.

La Calabria è la terra dove non esistono loggioni ma, in compenso, fioriscono le logge. Non faranno teatro e non faranno scena ma in compenso allenano star da lanciare nell’avanspettacolo dei poteri forti.

La Calabria è la terra dove non sai chi sono i buoni e chi sono i cattivi e quando credi di saperlo e ti fidi dei presunti buoni (a me è successo) sbagli e, da persona integerrima e di valori, ti maledici e ti senti fottuto, sporco, sporchissimo.

La Calabria è l’evoluzione del virus che sta uccidendo l’Italia.

La Calabria è il futuro di questo Paese marcio nelle fondamenta. Per questo è possibile che una voce dell’informazione si spenga (oggi vale per l’Ora domani potrebbe valere per altre testate e le mie riflessioni sarebbero identiche) senza che nessuno senta il bisogno (se non a parole) di riaccenderla.

Serena Pasqua colleghi calabresi e dell'Ora della Calabria e che il diritto sia con voi.

r.galullo@ilsole24ore.com

LA NOTA DEL DIRETTORE LUCIANO REGOLO (18 aprile 2014)

Purtroppo per la seconda volta in appena quattro mesi di lavoro giornalistico in Calabria devo pubblicamente denunciare un episodio grave ai danni della libertà di stampa, ma in questo caso anche contro l'esercizio dei diritti sindacali che colpisce la redazione dell'Ora e il sottoscritto. Essendo stati ieri proclamati tre giorni di sciopero per l'imminente rischio che la testata finisca in mano dello stampatore Umberto De Rose, principale creditore della C&C la casa che ci edita, lo stesso che la notte tra il 18 e il 19 febbraio faceva pressioni sull'editore perché mi spingesse a togliere la notizia relativa all'apertura di un'inchiesta giudiziaria sul figlio del senatore Gentile e annunciò poi un blocco delle rotative che impedì l'uscita del giornale, episodio per cui è indagato per "violenza privata" dalla Procura di Cosenza, il liquidatore, dott. Giuseppe Bilotta, ha annunciato via e-mail, alle 18.28 odierne, la cessazione delle pubblicazioni dell'Ora. Tale gesto improvviso, sulla base di spiegazioni pretestuose, quale la necessità di non gravare con ulteriori spese di stampa il bilancio (nei tre giorni di sciopero non si sarebbe comunque andati in stampa), si configura come una ritorsione inaccettabile specialmente perché sia il Cdr sia il sottoscritto nel numero oggi in edicola avevamo destato la pubblica attenzione su alcuni aspetti poco chiari nelle modalità e nelle procedure di liquidazione stessa. Tale convincimento è suffragato anche dal fatto che il liquidatore, con scelta "totalitaria", annuncia anche la cessazione dell'attività online che non ha e non può avere alcun costo giornaliero sensibile ai fini del bilancio. Una scelta quindi solo dovuta alla volontà di mettere i bavagli alla redazione e al direttore dell'Ora.
Faccio notare altresì che meno di 24 ore prima, alle 20.01 di ieri, dell'e-mail che tacita l'Ora e il nostro sito, lo stesso Bilotta rassicurava l'intera redazione con una e-mail di cui ciascuno di noi conserva copia in cui annunciava che l'azienda avrebbe provveduto a pagare le spettanze dovute. Quindi, da un punto di vista contabile, non sollevava affatto il problema costituito dal costo del prosieguo delle pubblicazioni, che evidentemente è stato pretestuosamente tirato in ballo solo dopo la nostra protesta. 
Devo inoltre annunciare che questo non è il primo grave episodio registrato. La sera del 7 aprile, infatti, poiché il giorno prima il Cdr aveva pubblicato un proprio comunicato sul giornale dichiarando lo stato di agitazione sempre per la situazione oscura sul futuro della testata, avendolo io cercato al telefono mi disse che avrebbe interrotto le pubblicazioni poiché il sindacato aveva "osato" indire una protesta. Mi chiese anzi di annunciare questa sua decisione a tutti i miei colleghi, cosa che io feci. Quando si stava elevando la nostra protesta congiunta, venne in redazione l'ex editore, Alfredo Citrigno, chiedendo la comprensione dei colleghi e spiegando che il dott, Bilotta non sarebbe aduso alle relazioni sindacali e che era stato commesso un errore, annunciando infine l'annullamento della decisione ritorsiva. Ma evidentemente non si trattava di mancanza di esperienza, c'è proprio la precisa volontà di impedire ogni replica e ogni attenzione su quanto si sta consumando ai danni di questa testata e di chi ci lavora, in spregio anche alle forme più elementari di rispetto, oltre che a diritti costituzionalmente garantiti, e ledendo la stessa dignità personale e professionale dei giornalisti, con metodi che ricordano quelli dittatoriali-ritorsivi del totalitarismo. Chiedo l'aiuto di tutti i colleghi calabresi e della stampa nazionale affinché ci sostengano in questa altra pagina oscura nel giornalismo di questa regione.

Luciano Regolo
Direttore dell'Ora

  • bartolo |

    Ovviamente in tutto cio’ gli unici eroi sono i magistrati: comminano fino a 30 anni di carcere a contadini e pecorari intenti a banchettare e, annegati di vino, sproloquiare sulle gesta dei tre cavalieri spagnoli… poi, usciti dalle carceri, prefetti e carabinieri vigilano bene affinche’ attraverso onesto lavoro non rischino di reinserirsi nel circuito della societa’ (in)civile….
    Buona pasqua anche a Lei, Galullo

  • gianfranco Bonofiglio |

    Complimenti, la sua analisi è profonda e veritiera. Nel mio libro La Città Oscura è dipinta la situazione che Lei ha magistralmente descritto. Da giornalista ho lavorato in due quotidiani e ben te Tv private che sono state tutte chiuse per l’identico motivo, aver violato il potere precostituito. Questa è la Calabria. La terra del sopruso e dell’illegalità che impera.

  • pasquale montilla |

    Un disastro e il senso di nausea riappare.
    Il sistema e’ ben strutturato e antropofagico.Ma giornalisti liberi e ribelli si nasce diventando poi essenzialmente immortali.Non bisogna avvilirsi se si attraversano le paludi putride di gente sporca senza alcuna dignita’.
    Pasquale Montilla

  • guido |

    la calabria è da anni regione a statuto speciale nel senso che la carta è stata scritta dalla ‘ndrangheta con il consenso di tutti i poteri interessati e la complicità di una fetta della popolazione. Gli antagonisti sono alcuni “sventurati magistrati”, qualche associazione che si ostina ancora a strillare,pochissimi giornalisti sopravvissuti e i cittadini che si accorgono di essere circondati da una melma infernale

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