E’ proprio vero che nella vita tutto è relativo.
Prendete l’operazione della Gdf coordinata dalla Dda di Napoli (coordinati dal procuratore aggiunto di Napoli Giuseppe Borrelli e dal sostituto Giovanni Conzo) che il 28 marzo ha fatto rumore perché risultano indagati, tra gli altri, il commercialista romano Umberto Flesca Previti, nipote dell’ex ministro Cesare Previti e Leonardo Covarelli, ex presidente del Pisa calcio e del Perugia calcio.
Agli indagati vengono contestati a vario titolo i reati di riciclaggio e reimpiego di denaro di illecita provenienza, intestazione fittizia di valori, falso in bilancio, formazione fittizia di capitale, tutti aggravati dalla trans nazionalità.
Le indagini state avviate dalla Guardia di Finanza che aveva ricevuto notizia della compravendita illegale di una clinica (la cui attuale gestione nulla ha a che vedere con questa storia), poi bloccata dagli investigatori perché i capitali per l’acquisto – secondo gli stessi investigatori – erano frutto di riciclaggio.
Gli indagati – secondo gli inquirenti – avrebbero usato società con sede in Austria, Germania e Gran Bretagna, sui cui conti correnti sono stati accumulati capitali sottratti dal fallimento di una società del settore alberghiero. Secondo l’ipotesi accusatoria, i capitali frutto della bancarotta fraudolenta, successivamente, sono stati trasferiti in Italia per tentare l’acquisto del capitale della clinica.
Un’indagine così vasta offre mille spunti di interesse anche perché mette plasticamente a confronto le certezze di Procura e Gdf e la assoluta innocenza proclamata dagli indagati (finiti ai domiciliari). Direte: un classico. Certo ma la “relatività” appare stridente.
Il Gip Amelia Primavera, che il 26 febbraio ha firmato le 88 pagine dell’ordinanza, da pagina 4 è netta: «Sussistono i gravi indizi di colpevolezza per i fatti indicati dal P.M. nel capo di imputazione. L’indagine condotta dal P.M. e dalla Guardia di Finanza – Nucleo Polizia Valutaria, Gruppo investigativo Antiriciclaggio – ha avuto riguardo ad un gruppo di soggetti, gli odierni indagati, che si sono resi autori di una serie di operazioni di riciclaggio di denaro illecitamente accumulato. L’indagine è stata particolarmente fruttuosa. Condotta con attenzione e con tenacia, è stata gratificata dalla inconsapevole collaborazione degli indagati i quali non hanno adottato astuzie comunicative durante i loro contatti telefonici, così consentendo involontariamente agli investigatori di ricostruire con elevato dettaglio le attività illecite di volta in volta in corso.
Il materiale offerto dal Pm risulta completo e soddisfacente sia in termini di ricostruzione dei fatti reato, sia in termine di individuazione dei singoli partecipanti. Così pure la richiesta di misura cautelare che risulta attenta, puntuale, oggettiva e scrupolosa al punto che può essere seguita in dettaglio ai fini della ricostruzione giudiziaria dei fatti reato, come di seguito avverrà.
Ebbene, premesso ciò, occorre rilevare come le investigazioni condotte dai militari del Nucleo Valutario della Guardia di Finanza anche con l’ausilio dell’attività rogatoriale esperita in Austria abbiano disvelato l’esistenza di due distinte operazioni di riciclaggio di denaro illecitamente accumulato…»
A fronte di questa, come dire, promozione a pieni voti dell’operato di inquirenti e investigatori, tutti gli indagati si professano innocenti. Volete due esempi? Eccoli. «18:52 (ANSA) – PERUGIA – Respingono le accuse Leonardo Covarelli e Dino De Megni finiti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'inchiesta della Dda di Napoli sull'acquisto della clinica. Lo fanno attraverso il loro difensore, l'avvocato Giovanni Spina. "Covarelli – ha detto il legale – rivendica la piena legittimità del suo comportamento che si sostanzia in ordinarie e regolari operazioni di compravendita immobiliare. De Megni è invece addirittura estraneo alle operazioni».
Non è certo compito del giornalista sostituirsi al giudice (o, peggio ancora, alla pubblica accusa) e dunque sarà l’eventuale processo a dibattere la causa. Quel che a me interessa evidenziare è un punto che, chi mi segue da anni lo sa, è una spina nel fianco del nostro Paese (già dilaniato per proprio conto da corruzione dilagante e voracità delle mafie). Il punto è la presenza, pressoché stabile quando si tratta di presunte operazioni di riciclaggio o di presunte manovre tese a dissimulare la provenienza delittuosa di profitti, di San Marino.
Le indagini si sono infatti concentrate soprattutto su operazioni effettuate in Austria e a San Marino e Dino De Megni e Leonardo Covarelli sono invece coinvolti nell'indagine per aver preso parte ad altre operazioni immobiliari, sempre reimpiegando proventi dello stesso fallimento in altre città italiane come Pisa, Bologna e Perugia.
Leonardo Covarelli, secondo l’accusa (ma lui, come abbiamo sottolineato, si proclama estraneo ai fatti) senza aver partecipato ai delitti presupposto (reati fallimentari) o ad altri delitti e senza alcuna apparente ragione economico/ finanziaria e con la finalità di ostacolarne la identificazione della provenienza delittuosa, «riceveva, accreditandole sul proprio conto corrente acceso a San Marino, somme di denaro per un importo complessivo pari ad euro 1.000.413, provenienti da un conto corrente austriaco acceso a nome del Lo Sole Lucio alimentato con somme derivanti da illecite e fraudolente distrazioni della fallita società San Pio Sas (già CR Invest Srl); con l’aggravante di avere commesso il fatto in più di uno Stato (Italia ed Austria), ovvero aver commesso il fatto in uno Stato, avendolo organizzato per una parte sostanziale nella fase della preparazione, pianificazione, direzione o controllo in un altro, ovvero avendo commesso il fatto in uno Stato con la manifestazione degli effetti sostanziali in un altro».
Insomma, una sponda amica a San Marino si trova sempre.
Il Titano, immancabile, ritorna anche nel capitolo (da pagina 34 dell’ordinanza): «3. Ulteriori utilizzi delle disponibilità finanziarie di Lo Sole Lucio. Operazione Lo Sole Lucio – Pomponi Luca (reati ascritti all’indagato Pomponi Luca ai capi E), F) e G) dell’imputazione) ».
Le indagini condotte dal Nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza hanno consentito di svelare che la società “Iniziativa 2003 srl” (fallita con la sentenza n. 306/10 emessa il 22 luglio 2010 dal Tribunale di Roma), provvedendo alla negoziazione degli assegni emessi da Lucio Lo Sole (poi deceduto), è stata utilizzata come mero strumento di interposizione, ostacolando di fatto l’identificazione e la riconducibilità di risorse finanziarie nella disponibilità di Lo Sole provenienti dall’Austria.
Le dinamiche societarie sono complesse (onore al merito della Gdf di averle ricostruite con meticolosità sotto la guida esperta del pm Conzo). Concentriamoci su quanto accade dal 19 novembre 2008 allorché Luca Pomponi, in qualità di amministratore unico della Iniziativa 2003 Srl, effettua un aumento di capitale sociale incrementando lo stesso di € 1.600.000 e, portandolo in tal modo alla somma di € 1.620. 000.
L’aumento di capitale viene effettuato solo ad opera di Pomponi il quale provvede a sottoscriverlo mediante il conferimento della titolarità di obbligazioni brasiliane emesse dalla “Petroleo brasileiro s.a. Petrobas Serie 4^ ” società quotata in Borsa con sede a Rio de Janeiro.
A seguito dell’operazione di finanziamento, la società Iniziativa 2003 Srl risulta partecipata da Pomponi per 1.619.400 € (e da un altro soggetto per 600 €). Gli otto titoli obbligazionari, utilizzati da Pomponi, sono stati emessi il 17 febbraio 1959 ciascuno dei quali costituiti da 40 cedole. I titoli appartengono alla 4^ serie, ognuno del valore nominale di 1.000 cruzeiros (la moneta brasiliana).
E dove sono state acquistate le obbligazioni da Pomponi? Ma a San Marino! Esattamente l’11 novembre 2008, quale amministratore unico della società Iniziativa 2003 Srl.
La parte venditrice delle obbligazioni era rappresentata da un italiano residente a Rio de Janeiro, estraneo all’indagine e non indagato, che ha un passato (descritto passo passo nell’ordinanza) tutto da leggere: denunciato nel 1982 per violenza privata, denunciato nel 1984 da una questura per estorsione e violenza privata, condannato da un Tribunale nel 1985 per ricorso abusivo al credito, interdetto nel 1997, nel 2005 un altro Tribunale ripristinò un ordine di esecuzione per una carcerazione in precedenza sospesa; nel 2008 un’altra Procura dichiarava cessata per indulto la pena residua da scontare.
Questo personaggio, nel gennaio 2007 diede mandato alla società …omissis…, con sede a San Marino, di collocare alle migliori condizioni i titoli Petrobas. La società sammarinese, nell’atto di compravendita, fu a sua volta rappresentata da un procuratore speciale, conosciuto da inquirenti e investigatori con vari “alias”, anche lui estraneo all’indagine e non indagato, che ha un pedigree ancora una volta tutto da raccontare: nel 1979 viene scarcerato per furto e rapina, nel 1982 condannato per emissione assegni a vuoto, nel 1983 viene condannato per ricettazione, nel 1996 viene condannato per ricorso abusivo al credito, nel 1997 viene condannato per reati contro la pubblica amministrazione e poi scarcerato, nel 2000 viene segnalato per detenzione di stupefacenti oltre la modica quantità; nel 2002 viene segnalato quale detentore di diversi “alias”, nel 2002 viene arrestato per appropriazione indebita, calunnia, falsificazione di monete spendita ed introduzione nello Stato, previo concerto, parificazione delle carte di pubblico credito alle monete (contestualmente gli fu revocato il decreto di semilibertà emesso da un Tribunale), nel 2003 fu scarcerato e (infine) nel 2006 gli venne notificato il decreto di sospensione della patente.
Il corrispettivo della vendita fu pattuito in 75.000 € dei quali 25.000 € versati in contante, contestualmente alla stipula del contratto; quanto ai restanti 50.000 € fu previsto il pagamento contestuale alla materiale consegna dei titoli brasiliani da effettuarsi entro e non oltre il 25 novembre 2008.
Vicissitudini successive, ricostruite dalla Gdf e nelle quali non compare più in alcun modo San Marino o società che hanno sede sul Titano, dimostrano che i titoli, utilizzati per l’aumento di capitale, furono valutati (attraverso una perizia giurata) in maniera sproporzionata.
Oltretutto la documentazione fornita alla Gdf dall’Ambasciata d’Italia a Brasilia, ufficializza che i titoli di Stato brasiliani, emessi dal 1955 al 1969, si sono prescritti nel 1974 in forza di due decreti legge emanati dal Governo federale brasiliano, nei quali si stabilirono i termini prescrizionali entro i quali potevano essere permutati i titoli di Stato fino a quel momento emessi.
Ma questa, appunto, è tutta un’altra storia.
r.galullo@ilsole24ore.com