Partiamo dalla fine del discorso.
Eccola: «I fatti appena esposti, il contesto criminale descritto, i continui episodi di collusione e penetrazione della ‘ndrangheta nelle strutture amministrative ed istituzionali non solo locali, il numero di consigli comunali sciolti per tali ragioni, la presenza asfissiante della ‘ndrine in tutte le realtà economiche e produttive, a partire da quella che doveva essere (e potrebbe essere) il punto di partenza di un grande rilancio economico, il porto di Gioia Tauro, danno l’idea di un assedio».
E’ quanto si legge a pagina 186 del Rapporto Dna 2013 nella parte (finale) scritta dal pm Francesco Curcio. Nero su bianco, Curcio, scrive che la Calabria è sotto assedio, a partire da quello che avrebbe dovuto rappresentare la perla dello sviluppo in regione: il porto di Gioia Tauro.
Così, an passant, Curcio dice che la presenza delle ‘ndrine è asfissiante ovunque. An passant ricordo anche io ai calabresi (e agli italiani tutti) che di asfissia si muore con un’agonia più o meno lunga. Questo, che piaccia o no, è il presente della Calabria. Un presente che, per quel che è la mia opinione, ha già cancellato ogni forma di futuro.
E quanta colpa hanno i calabresi in questa lunga eutanasia? Alta, altissima. Anche questo, che piaccia o meno.
Leggete, infatti, come prosegue Curcio: «Non è improbabile, anzi appare logico, che decine di anni di tale condizione abbiano generato assuefazione, sicchè, anche la parte sana della società civile stenta a riconoscere questa situazione d’emergenza (in cui neanche la città capoluogo della provincia riesce ad essere immune dal condizionamento del Crimine). E tuttavia, in questo contesto così malato, l’azione di contrasto ed una efficace repressione penale – che devono continuare nella direzione intrapresa e con sempre maggiore intensità – sono condizioni indispensabili, ma non sufficienti, per rompere l’assedio e per ribaltare i ruoli : assediata, dentro le mura, a difendersi, la ‘ndrangheta, con lo Stato e la società civile ad assediarla.
La repressione è il punto di partenza che deve dare il coraggio agli onesti. Poi è necessario che altre fondamentali istituzioni della società civile , la politica, l’informazione e la Chiesa facciano la loro parte. Condannando ed isolando chi stringe relazioni con la ‘ndrangheta. Dando consapevolezza a tutti dei propri doveri e dei propri diritti per trasformare, così, il suddito in cittadino. Educando alla legalità. E praticandola».
Avete letto bene? No? Traduco in sintesi: i calabresi sono assuefatti a questo stato di prostrante disperazione (o disperata prostrazione) e, incredibile a dirsi, si stenta persino a riconoscere la gravità della situazione. Non è forse così? Certo che è così anche se chi sventola i "modelli" prova a ribaltare la frittata.
Curcio spinge alla ribellione chiamando la parte sana della società (tutte le componenti) ad assediare la ‘ndrangheta. Ma chi, caro Curcio, dovrebbe assediare la cultura ‘ndranghetista? Gli stessi cittadini omertosi che si sono girati in questi decenni dall’altra parte?
Se si guarda intorno, inoltre, Curcio scoprirà che i gatti pronti a partire lancia in resta sono 4 e, sia ben chiaro, nessuno può far loro una colpa per essere così pochi. Se la situazione è a questo livello di disperazione mortale è perché lo Stato è stato abissalmente (e interessatamente) lontano dalla Calabria. E il caso più eclatante è proprio Gioia Tauro che avrebbe dovuto diventare la scommessa per lo sviluppo dell’intero Mezzogiorno e invece è diventato un approdo sicuro per i traffici delle cosche e dei servizi, deviati o meno, di mezzo mondo (sia chiaro).
I 4 gatti non possono tramutarsi in 4 eroi. Degli eroi la Calabria e l’Italia intera non sanno cosa farsene.
Educazione alla legalità, scrive Curcio. Questa è la strada da battere (come insegnava Gesualdo Bufalino la mafia non si sconfigge con l’Esercito ma con un esercito di insegnanti) ma ci vorranno generazioni, sempre ammesso e non concesso che ciascuno faccia la propria parte. Curcio ci giurerebbe? Io no.
E per non farsi mancare la speranza, Curcio afferma che «il condizionamento dell’attività delle amministrazioni locali, quale ne sia la causale, oltre che attraverso il sistema collusivo, così ben rappresentato dal sistema delle società miste pubblico/’ndrangheta, passa anche attraverso il terrore».
Terrore, eccola un’altra parola chiave. Una regione (tutta) “terrorizzata” e una regione (la parte marcia) “terrorista”. Come altro chiamereste infatti, se non “terrorismo”, gli atti di sistematica devastazione sociale, economica e politica condotta in questi anni da quella miscela esplosiva che si nutre di ‘ndrangheta, massoneria deviata, servitori infedeli dello Stato, preti conniventi, professionisti al soldo e politici allevati al vangelo delle cosche?
Un’ultima cosa, Curcio. Non faccia appello all’informazione. Che abbia il coraggio di combattere una battaglia di denuncia e di costruzione della legalità su nuove e condivise basi è (salvo rarissime eccezioni che confermano la regola) mera utopia. In Calabria poi?
Anche perché (e apro una parentesi) c’è stato e c’è chi – anche tra i ranghi più autorevoli della magistratura – ha fatto e fa di tutto per mettere a tacere la libertà di stampa, che viene scambiata per un taxi: se mi fa comodo ci salgo altrimenti gli tolgo la licenza. La democrazia non è questo e la libertà di stampa non è (non deve) essere al servizio di nessuno se non del lettore e della ricerca della verità. La libera informazione è un elemento indispensabile della democrazia. Senza, è dittatura.
r.galullo@ilsole24ore.com
4- to be continued
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