Il giudice per le indagini preliminari (Gip) di Milano Franco Cantù Rajnoldi, il 14 dicembre 2013 ha apposto la propria firma all’ordinanza di custodia cautelare che poche ore fa ha portato in carcere dieci soggetti nell’ambito dell’ennesima inchiesta contro la ‘ndrangheta in Lombardia, denominata Platino.
La lunga e complessa indagine sfociata nella richiesta cautelare è stata condotta – come si dà doverosamente atto nella premessa – essenzialmente dall’Arma dei Carabinieri e in particolare dal Nucleo investigativo del comando provinciale di Milano, coordinata dalla Direzione distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica (pm Boccassini Ilda e Paolo Storari).
I media hanno messo in evidenza i presunti interessi delle cosche calabresi sui locali notturni di Milano (non è certo una novità, ahinoi) e in particolar modo nei servizi di security ma l’accusa spazia fino alle estorsioni-tangenti commesse in danno di imprenditori e altro ancora.
Nelle pieghe delle ordinanze si possono leggere anche storie e ricostruzioni di omicidi eccellenti.
Tra le storie che descrivono la parte violenta e sanguinaria delle cosche in Lombardia – non dimentichiamo che questa indagine nasce da una costola investigativa sul "movimento terra" nell’ hinterland milanese e nelle province di Pavia, Lecco e Monza e dalle investigazioni sulle cosche Barbaro e Papalia regnanti a Buccinasco, Corsico e Trezzano sul Naviglio – merita di essere raccontata quella attribuita al racconto di Agostino Catanzariti, che secondo l’accusa è il capo e l’organizzatore dell’associazione mafiosa, in possesso della dote di “vangelo”, con il compito di coordinare l’attività degli altri associati, di tenere i contatti con i sodali detenuti, provvedendo anche al loro sostentamento economico. Sempre secondo l’accusa, Catanzariti traffica in stupefacenti, usa violenza, riceve confidenze su omicidi rimasti impuniti, partecipa a sequestri di persona e partecipa direttamente, dove necessario, alle attività di recupero crediti con modalità intimidatorie, alle più disparate attività estorsive (estorsione- protezione; estorsione-tangente; estorsione predatoria).
A quest’ultimo proposito – per farsi meglio capire – la Procura inserisce e il Gip conserva una storia esemplificativa attraverso un dialogo che ripropongo.
Agostino: una piccola estorsione con i ristoranti, i negozi… e non la possono pagare Michele: gli hai cercato qualcosa ?
Agostino: se vogliono li possono tirare giù
Michele: ma ti sei messo qualcuno o…
Agostino: sono due soci: uno vuole rivolgersi alla polizia e l’altro la vuole sistemare…uno vuole di qua e un altro vuole di là…adesso gliel’ho detto io, qui prima che si va avanti a "farina e lievito" gli ho detto io: «mi preparo un automatico…» e gli faccio il discorso…e dopo, come vogliono facciamo;
uno ci voleva fottere diciotto milioni. Eravamo: io, Vincenzone, quella di buonanima di Cesarino (inc.), quello che hanno ucciso a Lamezia, il cugino di Nino…
Michele: ah (inc.) sì sì…
Agostino: comunque, come si volta e come si gira, che… siamo andati lì, gli ho detto io a Nino: «vai prima tu, vedi che ti dà l'assegno; se non te lo dà, andiamo e ce lo prendiamo» (inc.) un bastone, però per non saper né leggere e né scrivere, mi aveva dato pure un pezzo di legno… «che lì, se ci mettono in mezzo questi Bergamaschi, a colpi di martello ci ammazzano…». Siamo andati nell'ufficio, Nino gli ha detto: «son venuto per l'assegno». Dice: «accomodati fuori che ho da fare con il signore adesso…».
Michele: eh…
Agostino: che stava parlando con… stavano trattando i sottofondi, cose… Viene Nino e gli dico io: «cosa t'ha detto?» Dice: «ha detto che sta trattando con il signore… con un altro lì …» Ce ne siamo andati e siamo entrati: io, questo Cesarino, quel cane di mandria di Vincenzone, là … Vincenzone … Appena siamo entrati, c'era un geometra che stava uscendo. Gli dico: «no geometra, scusa un attimo che deve parlargli lui, aspetta qua !» Lo abbiamo preso e l'abbiamo tenuto in modo che non andasse a dare l’allarme: questo bestia di Vincenzone, appena siamo entrati, lo prende dai capelli, così, come è che stava parlando con quello: «pum! Pum!» Gli picchia il muso un cinque sei volte… gli ha scassato denti, naso… (ride) Lo ha fatto quadrato (ride)… e non abbiamo potuto toccarlo anche noi, né io né Cesarino. Niente, niente, solo Vincenzone… con tre quattro colpi che gli ha tirato, gli ha sfasciato la testa proprio… che gliela picchiava nel tavolo..
BERGAMASCHI E MARMELLATA DI ZINGARI
Insomma, secondo quanto riportato dalla Dda, nel racconto di Catanzariti c’è “Vincenzone” che proprio non vuole saperne: deve essere lui ad affrontare i bergamaschi e…”pum, pum”, naso e denti rotti. Solo lui poteva farlo.
Ma se nulla possono i bergamaschi contro la furia dei goodfellas di Platì trapiantati a Milano, Buccinasco e dintorni, figuriamoci gli zingari…
Ecco altri stralci di dialoghi attribuiti al presunto boss Catanzariti proprio in relazione ai burrascosi rapporti dei "bravi ragazzi" di Platì con i giovani di etnia nomade di stanza a Milano.
Agostino: se sono questi zingari, li bruciamo… gli diamo fuoco come escono… Ii potevamo proprio sequestrare e li… torturavamo fino a quando non dicono come e quanto… » ;
quando è successo l'omicidio… prima, che abbiamo avuto la discussione al "Parco delle Rose", gli ho detto io: «andiamo, sì… gli mettiamo…» che c'avevamo un paio di… centinaia di metri di miccia a lenta combustione… a rapida combustione: : «gli ficchiamo un paio di eheh…gli mettiamo fuoco: come saltano! Li facciamo marmellata…
Insomma: per i bergamaschi mazzate ma devono ritenersi fortunati perché per gli “zingari” altro che palate: arsi vivi! Come nei forni di Auschwitz dove i nazisti li infilavano volentieri.
MA…
Le cose però andranno diversamente e comunque ci scappò il morto (i “nomadi” di Via Zama avevano osato sfidare il clan dei calabresi e dopo mazzate e assedi durati giorni e notti uno “zingaro”, il 9 ottobre 1976 venne ucciso, si chiamava Giuseppe De Rosa).
È sempre Catanzariti a raccontare a Michele, nel corso di una telefonata intercettata dalla sala ascolto della Procura di Milano il 22 aprile 2012 alle 21:11:07.
A voi la lettura.
Agostino: di tutto… gli ho detto. io.: «gli ficchiamo un paio di eheh… gli mettiamo fuoco: com
e saltano! li facciamo marmellata!» Dice: «no.» Vai vedendo a loro [a dare retta a loro n.d.r.]… e hanno..messo la pistola all’orecchio di ‘ngino
Michele: 'u 'nginu?!
Agostino: E chi?! Quando è stato il fatto di quello, ch'è morto, gli ha messo la pistola all'orecchio. Quello, giustamente… (ride) si vede sparare in testa, lo ha buttato a terra…
Michele: che cosa ha fatto?
Agostino: eh?
Michele: fine.)
Agostino: eh?
Michele: gli ha appoggiato la pistola alla testa?!
Agostino: eh [sì]
Michele: a 'nginu?
Agostino: sì
Michele: e 'nginu come ha reagito?
Agostino: è rimasto fermo lì, com'era, cosa doveva fare?
Michele: e dopo?
Agostino: dopo s'è infilato (inc.) s'è buttato a terra, è partito dalla testa, gli ha tolto, gli ha fatto…quello con la pistola in mano .. l'ha tagliato la spaccato tutto… Adesso, se avessero seguito quello che gli avevo detto io, avevamo fatto prima belli tranquilli…
Michele: eh…
Agostino: prendi che quello, se n'era uscito un po'edera uscito pazzo di cervello… Quello la pistola all'orecchio gliel'aveva puntata…
Michele: ehi…
Agostino: non è che… ha fatto che…
Michele: ma non gli voleva sparare…
Agostino: no. Se… se che non voleva… Le persone sono fatte così: lui gli ha ficcato la pistola a lui; quest'altro, come ha visto così, l'ha sbilanciato, gli ha dato un colpo al cazzo, l'ha buttato a terra, ed è partito…
Michele: e gliel'ha scaricata…
Agostino: e gliel'ha scaricata tutta nel corpo, partendo dalla testa ad andare in basso… Se invece prendevano le cose a fare come si devono fare, noi sapevamo dov'erano, sapevamo tutto… e l’indomani vedi che scomparivamo dalla circolazione… (…).
Insomma, secondo il racconto, non voleva sparargli ma intanto, già che c’era, il l’assassino (‘nginu) gli ha scaricato, sempre secondo il racconto di Catanzariti, tutto il caricatore addosso. Capita…
A proposito: ’nginu, altro non è, secondo quanto ricostruisce la Dda, l’appellativo sempre usato da Catanzariti per Rocco Papalia (pagina 42 e seguenti dell’ordinanza).
Vale la pena di ricordare – come fa la Dda – anche che Agostino Catanzariti, nato il 17 settembre 1947 a Platì, è stato coinvolto nel procedimento Nord-Sud e condannato in tale sede in via definitiva alla pena di 25 anni di reclusione per sequestro di persona a scopo di estorsione, ha subito un lunghissimo periodo di detenzione carceraria (dal 1981 al 2009) e solo il 13 gennaio 2011 ha riacquistato la libertà dopo un ulteriore periodo di detenzione carceraria.
Ora è tornato in carcere.
Per ora mi fermo qui ma questo è solo il primo di una serie di articoli che dedicherò all’operazione Plutino.
1 – to be continued
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