Le cosche Gallico e Bellocco godono «verosimilmente» di talpe tra i Carabinieri – Parola della Procura di Reggio Calabria

Chi legge questo blog sa che – da anni – insisto sul rafforzamento della formazione continua, della preparazione (anche psicologica), del controllo e della vigilanza sugli appartenenti alle Forze dell’Ordine.

Chi legge questo blog sa che – da anni – insisto sulla necessità di rivedere gli attuali sistemi di assegnazione e rotazione di chi indossa una divisa. A partire dalle aree “calde” del Paese.

Chi legge questo blog sa che – da anni e purtroppo – scrivo di divise macchiate e disonorate che, sia chiaro, sono una estrema minoranza ma una minoranza pericolosa sotto ogni punto di vista, alle quali le stesse Forze dell’Ordine danno la caccia.

Sia chiara un’altra cosa: non è una questione di bassi salari che inducono in tentazione (in Italia, oltretutto, non esiste categoria professionale che non si senta sottopagata, a partire dagli insegnanti). No, ragazzi, l’onestà non ha prezzo e non è vero che tutti gli uomini hanno un prezzo. Un’alternativa alla corruzione e alla corruttibilità, esiste sempre: basta denunciare. Si rischia la vita? Beh, è ora di finirla con queste chiacchiere. Nessuno obbliga un uomo o una donna a indossare una divisa e quando si entra nelle Forze dell’ordine si sa a cosa si va incontro. Se le sedi – poi – sono calde, è meglio metterlo nel conto. O andarsene lasciando il posto a chi ci crede.

Mi (ri) tornano in mente queste riflessioni, dopo aver letto del fermo, due giorni fa, di 4 indiziati di delitto che gravitano a vario titolo, secondo la Dda di Reggio, intorno al clan Gallico di Palmi. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa e tentata estorsione aggravata commessa in danno di operatori economici. L’operazione è stata condotta dai pm Michele Prestipino, Roberto Di Palma, Adriana Sciglio e Giovanni Musarò.

Scriverò diversi articoli su questa operazione, che offre molti spunti di interesse ma, non a caso, voglio partire proprio dallo spunto “disonorevole” per eccellenza, vale a dire la connivenza che esiste(rebbe) tra taluni presunti uomini di Stato e le cosche. In questo caso, oltretutto, parliamo dei Gallico che a Palmi e dintorni dettano legge (ma i loro tentacoli sono fortissimi anche a Roma).

Nella conferenza stampa indetta due giorni fa – era logico aspettarselo ma non è nascondendo le cose che si migliorano trasparenza e fedeltà alle Istituzioni – nessuno dei presenti si è soffermato su quanto si legge da pagina 151 del decreto di fermo. La parte in cui – cioè – si parla del pericolo di fuga dei fermati.

Quando si parla di certi soggetti il pericolo di fuga è legato, come si legge a pagina 152, «dalla comprovata disponibilità in capo alla cosca Gallico di bunker e, in genere, di supporti logistici (consistenti in strutture, mezzi e risorse umane) in grado di assicurare ai sodali datisi alla fuga gli aiuti necessari al mantenimento del loro stato di clandestinità, circostanza che trova conferma nel fatto che in passato ed anche in epoca recente più volte numerosi soggetti appartenenti al predetto sodalizio sono stati tratti in arresto dopo una lunga latitanza, nel corso della quale avevano utilizzato anche dei bunker come nascondigli».

Quel che colpisce, però, è il primo punto del concreto e attuale pericolo di fuga, vale a dire «l’esistenza di una “talpa” (verosimilmente, nell’Arma dei Carabinieri) in grado di accedere a notizie riservate o, comunque, di riferire informazioni utili alla pianificazione o all’adozione di iniziative volte ad eludere le investigazioni e a vanificare l’esecuzione dei provvedimenti restrittivi».

La circostanza emerge – per inquirenti e investigatori – da una lettera inviata da Lucia Morgante (ai domiciliari a Palmi) al figlio Giuseppe Gallico (detenuto ad Opera, Milano). Con la sentenza pronunciata in data 30 luglio 2013 dalla Corte d’Assise di Palmi – si legge a pagina 151 – sia Morgante che Gallico sono stati condannati all'ergastolo per i delitti di omicidio e di associazione mafiosa.

Il 10 agosto 213 la mamma spedisce al figlio una lettera che viene intercettata dall’Ufficio di censura di corrispondenza del carcere e spedita, il 25 settembre dalla casa circondariale agli inquirenti (magari potevano farlo più celermente ma va beh!, sorvoliamo). E cosa c’era scritto in questa lettera? Ecco a voi: «C’è un'indagine in corso da come mi spiegavano i Carabinieri da parte della Procura».

Inquietante no? Ed infatti nel provvedimento si legge non solo che la circostanza è assolutamente esatta, ma anche che «"l'indagine in corso" era quella relativa all’usura ai danni di Pirrottina Carmelo e alla tentata estorsione ai danni di Boemi Angelo e coinvolgeva diversi esponenti della cosca Gallico».

Ma visto che la cosa – a mio giudizio – è di una gravità assoluta (e non sembra essere un caso di millanteria per come la leggono i pm) ecco cosa si legge a pagina 152 del decreto di fermo: «I Gallico, quindi, dispongono di una fonte che, da un lato, ha già rivelato l'esistenza di una indagine in corso e, dall'altro, potrebbe informarli della imminente emissione di provvedimenti restrittivi a loro carico. Ciò crea, innegabilmente, un concreto pericolo di fuga a carico di tutti i soggetti sottoposti a fermo di indiziato di delitto con il presente provvedimento, trattandosi di personaggi soggetti organici (Cosentino Antonino, Cosentino Emanuele e Bartuccio Rocco) o quantomeno contigui (Brunetta Rocco) proprio alla cosca (quella dei Gallico) che dispone della "talpa".

Del resto é nota la cosiddetta circolarità delle informazioni che tipicamente caratterizza i consorzi criminali e che fa ragionevolmente presumere che, nell’approssimarsi dell’emissione delle misure cautelari, la notizia dei provvedimenti restrittivi venga divulgata tra gli associati, consentendo agli stessi di darsi alla fuga o, comunque, di organizzarsi in modo da minimizzare le conseguenze delle iniziative giudiziarie in corso».

La cosa – già disgustosa per chi ha nel cuore l’Arma dei Carabinieri – si aggrava quando si va a leggere l’altro motivo alla base di un fondato pericolo di fuga, vale a dire le particolari cautele adottate in epoca recentissima (sigh!) da diversi soggetti appartenenti alla cosca Gallico, che conferma la consapevolezza di esser sottoposti ad indagine e di poter essere quanto prima destinatari di provvedimenti restrittivi.

In tal senso emblematico é il comportamento di Antonino Cosentino, per come descritto da un imprenditore che troverà la forza di denunciare (ne parleremo nei prossimi giorni). L’indagato, infatti, non si limitava ad adottare l'accortezza di non avanzare la richiesta estorsiva telefonicamente né in un luogo chiuso (al fine di eludere eventuali operazioni tecniche in corso), ma addirittura, dopo aver convocato l’imprenditore in un luogo isolato e dopo averlo invitato a scendere dall’auto, lo invitava a seguirlo in una strada isolata e sterrata, al chiaro fine di non essere visto da nessuno.

Il fatto che i Gallico temano l’emissione di provvedimenti coercitivi trova ulteriore riscontro – si legge a pagina 152 del provvedimento – nella precisa raccomandazione rivolta da un membro della famiglia all’imprenditore subito dopo la richiesta estorsiva. «Il timore più volte palesato da diversi esponenti della cosca Gallico – chiosano i pm – é certamente da ricondurre alle informazioni già rivelate dalla "talpa"».

Ma non è finita qui in questo coltello che entra e gira nella piaga. La Procura di Reggio Calabria, infatti, ricorda che il 9 marzo 2013 il Gip presso il Tribunale di Palmi ha convalidato il fermo di indiziato di delitto eseguito a carico di alcuni esponenti della cosca Bellocco con – tra le altre – questa motivazione: «ritenuto che l’Ufficio di Procura Distrettuale ha evidenziato elementi obiettivi idonei a dimostrare la sussistenza in capo a ciascuno dei soggetti fermati, tutti destinatari dell’addebito associativo di cui al capo a) della provvisoria rubrica, di uno specifico, concreto ed attuale pericolo di fuga, desumibile (pagine 13 e 14 della convalida emessa dal Gip):

1)    dall’esistenza di una “talpa” (verosimilmente, nell’Arma dei Carabinieri) in grado di accedere a notizie riservate o, comunque, di riferire informazioni utili alla pianificazione o all’adozione di iniziative volte ad eludere le investigazioni e a vanificare l’esecuzione dei provvedimenti restrittivi che da qualche tempo i fermati sapevano o, quantomeno, temevano di dover subire, essendo al corrente delle accuse rivolte nei loro confronti (oltre che nei confronti della detenuta Aurora Spanò) dapprima dalla testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola (morta suicida il 28 agosto 2011, in esito al terrificante pressing psicologico al quale l’hanno sottoposta i genitori e il fratello per interromperne la collaborazione con la giustizia), quindi da Rita Stefania Secolo (amica della Cacciola nonché sorella di Antonio e Gaetano Antonio Secolo, questi ultimi sottoposti ad usura ed estorsione dai coniugi Bellocco-Spanò)…».

Voglio essere chiaro fino in fondo. Sapete qual è la cosa che ulteriormente addolora in questa affermazione della Procura sull’esistenza di una (o più, come credo io) “talpa” tra chi indossa una divisa e dovrebbe essere senza se e senza ma schierato dalla parte delle “guardie” e non dei ladri? Quell’avverbio «verosimilmente» nell’Arma dei Carabinieri.

Cari pm, cari investigatori, concentratevi su quanto di marcio esiste all’interno delle Forze dell’Ordine e fate di tutto per trovare e far condannare chi disonora la divisa. A partire da quella, sacra, dell’Arma. Solo così quel «verosimilmente» sarà cancellato e sarà restituita, ancora una volta, alle Forze dell’ordine la dignità che meritano.

1 – to be continued

r.galullo@ilsole24ore.com