Conferme. Drammatiche conferme.
L’odierna indagine Esperanza della Dda di Milano e il lavoro della Squadra mobile del capoluogo lombardo mettono l’ennesimo sigillo al cambio di registro che le mafie – da decenni – attuano sul territorio: da sud a nord.
Il volto di Cosa nostra in Lombardia e in particolare a Milano – così come quello della ‘ndrangheta – non è più quello di chi trafficava droga ma è sempre di più quello apparentemente pulito di chi si infiltra, anzi, penetra, l’economia. In ogni settore.
Lo fa almeno dal 1999, secondo le risultanze e le prove finora acquisite dalla Procura di Milano (il pm della Dda che ha seguito l’indagine è Marcello Tatangelo), perfino in quel reticolo di piccole e piccolissime aziende e società che si ritrovano nelle reti cooperative che – sotto soglia degli appalti comunitari ma anche sotto la soglia dell’attenzione sociale – riescono a entrare silenziosamente in tutti i mondi: da quello dei servizi di facchinaggio a quello della logistica, dal trasporto alla pulizia. Coop – e anche questo è un metodo ormai acclarato – ciclicamente aperte, chiuse e liquidate non prima di aver messo in moto un meccanismo di fatture false e bilanci ipotetici, cm il corollario del lavoro nero. Alla mafia piace vincere facile.
Cosa nostra imprenditrice, suona, dunque, l’allarme da tempo la Procura di Milano. Lo fa anche in questa occasione in cui, emergono altre costanti dell’agire mafioso, da tempo “evoluto”.
Il contatto stretto, strettissimo con la cosiddetta zona grigia – professionisti, politici, politicanti, uomini veri o presunti delle Istituzioni locali e nazionali – che garantisce un reticolo di conoscenze infinito in cui mano lava mano. Anche – e magari soprattutto – in occasione delle consultazioni elettorali, quando ci sono da portare a casa voti in cambio di “cambiali” da far riscuotere in seguito. Non solo dunque una lavatrice per il denaro sporco ma anche un “capitale sociale” come scrive in un passaggio nell’ordinanza che ha condotto all’arresto di 8 persone (tra le quali la figlia e il genero di Vittorio Mangano), il Gip Stefania Donadeo.
Un capitale non sociale anzi contro la società e l’economia – verrebbe da specificare – visto che tra le conferme c’è anche quella, ben messa in evidenza dal capo della Squadra mobile di Milano, Alessandro Giuliano, che per le associazioni mafiose basta la parola, vale a dire spendere un cognome pesante e noto, per entrare in mondi altrimenti chiusi e intimidire prima e opprimere poi non solo gli imprenditori onesti ma anche il mercato e la concorrenza.
Fortuna che al nome criminale di Cosa nostra lo Stato, spesso, riesce ad opporre il volto pulito delle Istituzioni che fanno di tutto per cancellare quel nome e quei cognomi.