‘Ndrangheta 2.0/ Il pm Giuseppe Lombardo: «L’operazione trasparenza a Reggio Calabria fa i conti con l’informatizzazione negata degli archivi»

Cari lettori di questo umile e umido blog da ieri sto raccontando quanto il pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo ha detto il 2 maggio nella sua città nel corso di un dibattito organizzato dall’associazione antimafia Riferimenti in occasione del ventennale della sua nascita (per l'intervento del capo della Procura Federico Cafiero De Raho rimando al post di venerdi 3 maggio in archivio).

Ieri ci siamo lasciati con il desiderio, da parte del pm, di lanciare un’enorme “operazione trasparenza” nella città, a partire da un’idea che è diametralmente opposta a quella che la gran parte della classe dirigente calabrese ha. Vale a dire, raccontandolo con le sue testuali parole, «mi piacerebbe depositare tutti gli atti giudiziari in piazza Italia e invitare i reggini a incastrare le mezze verità e, dunque, verità negate, e chiedere poi che idea si sono fatti loro di quelle che taluni chiamano “suggestioni”».

Una sfida impossibile da fare ma i messaggi – in Calabria – spesso sono più forti e importanti dei fatti, che ahimè restano per anni pie illusioni. E così, che almeno quella sfida sia messo in condizione di portarla avanti chi, come la Procura di Reggio, vuole fare chiarezza su quelle mezze verità (e dunque verità negate) e metterle a disposizione di tutti i colleghi, in modo che non esistano più “memorie storiche” che spariscono con l’uscita del magistrato ma che esistano solo “memorie condivise”.

«Negli archivi polverosi della Procura – ha spiegato dunque Lombardoho trovato tutta una serie di informazioni, atti e notizie che non saranno mai esplorabili, approfondibili e studiabili fino in fondo se non sarà possibile fruirle fino in fondo. Per questo ho chiesto la possibilità di informatizzare e digitalizzare tutti gli archivi ma mi è stato risposto: “no, la spesa sarebbe eccessiva”. Allora ho chiesto che almeno si potessero informatizzare, digitalizzare e rendere a tutti fruibili i tabulati e le intercettazioni, che consentono di avere almeno delle buone basi di partenza. Mi è stato risposto: “no, anche questa spesa sarebbe eccessiva e poi c’è il problema della privacy che obbliga il gestore a conservare al massimo per due anni quelle informazioni”. Allora mi domando: come è possibile superare il concetto di memoria storica e giungere a quello di esperienza condivisa?».

Il concetto della privacy appare ridicolo, visto che stiamo parlando di informazioni che sono state raccolte e che – sia ben chiaro – restano e resteranno per sempre a disposizione nei fascicoli cartacei. Chiunque – tra gli operatori della giustizia, investigatori e inquirenti – può dunque consultarli e farne l’uso migliore, senza violare alcuna legge, tantomeno quella sulla privacy. C’è da chiedersi dunque in base a quale ragionamento la consultazione cartacea è legale e legittima, mentre quella online sarebbe invasiva dei diritti alla riservatezza della persona.

In questo modo (negato) la circolazione delle informazioni sarebbe maggiore (è l’auspicio) e magari sarebbe anche più facile concentrarsi a Reggio su quelle 20, 30 famiglie sulle quali vale la pena di accendere i riflettori richiamati dal pm Lombardo nel suo intervento.

r.galullo@ilsole24ore.com

2 – the end (la precedente puntata è stata pubblicata il 7 maggio)

  • Christian |

    Privacy = Omertà
    E’ un caso che la legge 675/96 sia stata approvata subito dopo la stagione delle stragi ?
    C’era davvero bisogno di una norma italiana così ipergarantista quando già era direttamente applicabile il Regolamento Comunitario 95/46/EC ?
    E chi furono i padri di quella legge ? E che ruolo hanno, o vorrebbero avere, oggi nel Paese ?

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