Forse ha ragione una persona che la sa molto ma molto lunga sulle dinamiche calabresi e che ieri sera – fuori dal Teatro di Reggio Calabria dove Riferimenti ha dato vita alla prima delle due giornate per ricordare il ventennale della nascita – mi ha detto: «In quella sala se ci fosse stato un De Stefano la gente qui a Reggio avrebbe fatto la fila per entrare, perché qui molti ai De Stefano gli vogliono bene per davvero».
Pura verità (purtroppo e maledettamente) perché Reggio non è la Palermo dei lenzuoli bianchi e neppure la Casal di Principe del 2013.
Reggio Calabria, che come ha detto splendidamente il collega della Gazzetta del Sud Arcangelo Badolati è un laboratorio di sistemi criminali fin dagli anni Settanta, dorme. Dorme sonni profondi, indotti da disperazione e speranze uccise e ieri alle 19 – anziché prendere d’assalto il Teatro nel corso dello struscio dove ogni sera nuotano migliaia di persone – ha preferito restare fuori da quel Teatro, riempito di allievi dell’Arma dei Carabinieri e di ragazzi delle scuole superiori organizzati per l’evento da alcuni Istituti che rappresentano la punta di diamante della città. Giovani per i quali spende ogni giorno da anni Adriana Musella, presidente di Riferimenti, che ha dato vita a questa “due giorni” di speranza e risveglio.
Eppure dentro quel teatro c’era il cuore dell’antimafia che batteva, con tre nomi e tre cognomi che avrebbero dovuto richiamare 1000 volte più persone di una sala slot del centro cittadino che mangia soldi e spesso alimenta, come purtroppo hanno dimostrato recenti indagini, le cosche: Angela Napoli, volutamente fatta fuori dal Parlamento che guarda caso contro la democrazia sospesa a Reggio ha tuonato in occasione delle ultime elezioni comunali e per questo è stata massacrata; Giuseppe Lombardo, il pm che per anni ha combattuto e combatte, solo e isolato, contro le mezze verità e per fare emergere le verità nascoste e scomode e il procuratore Federico Cafiero De Raho. Questi tre nomi e questi tre cognomi sono tra i pochi che a Reggio e in Calabria alimentano le speranze di rinascita anziché le mafie e l’omertà cittadina che uccide quanto le mafie.
Nei prossimi giorni darò spazio a quanto detto da Lombardo. Oggi mi concentro su quanto affermato da Cafiero De Raho che ha già capito molto di questa città e dei suoi sistemi criminali che vanno oltre, ma molto oltre i riti e le liturgie di Polsi.
«Reggio Calabria – ha detto senza mezze misure e con la calma british che lo accompagna in ogni gesto – mi ricorda Casal di Principe di 20 anni fa. Ricordo che il 19 marzo 1994, quando don Peppe Diana fu ucciso sul piazzale davanti alla Chiesa, fui il primo ad accorrere come sostituto procuratore di turno. La cosa che mi impressionò è che la piazza era drammaticamente vuota. Non c’era nessuno, neppure un fedele a urlare, a gridare, a cercare aiuto per il parroco che era stato praticamente ucciso nella sua Chiesa. Nessuno. Sono tornato poche settimane fa a Casal di Principe e oggi, invece, i giovani non hanno più paura di gridare la propria rabbia contro i Casalesi. Reggio è ferma a quella piazza vuota. Qui bisogna liberare la popolazione che sembra avere ancora paura. Ma la città deve capire che è in corso una guerra di ogni singolo cittadino che deve recuperare libertà e diritti».
La paura attanaglia ancora questa città massacrata dalla politica, dalla ‘ndrangheta, dalla massoneria deviata, dai professionisti corrotti, dai servizi deviati e da infedeli servitori dello Stato infiltrati ovunque.
«Ma di cosa possono aver paura i reggini – si chiede Cafiero De Raho – se hanno perso se stessi? Non hanno più nulla da perdere e debbono combattere ogni giorno per non essere ancora schiavi. Bisogna cominciare dalle scuole, bisogna difendere diritti e doveri. Perché qui siamo di fronte ad un sistema che non è stato ancora abbattuto?».
Già, perché. La risposta non è facile e allora mi riporto alla frase di quel reggino di provincia che fuori dal teatro ha ricordato, con disgusto, che se ci fosse stato un De Stefano la popolazione sarebbe accorsa in massa ad ascoltarli. «De Stefano sindaco, De Stefano Governatore, De Stefano in Parlamento» avrebbero magari urlato.
Ecco Signor Procuratore, la differenza con Reggio è che qualcuno a Casal di Principe e nel casertano ha provato a rompere il cordone ombelicale tra i Casalesi, la politica e i professionisti e qualche spezzone deviato dello Stato per liberare città e provincia. Molti passi avanti sono stati fatti, molti ne restano da compiere.
A Reggio non ci ha mai provato nessuno. Anzi, mi correggo subito. Quei pochi che ci hanno provato – e correvano anche in questo caso gli anni Novanta – sono stati massacrati o allontanati da questa città. Vuole i nomi? Gliene faccio solo tre: Alberto Cisterna, Enzo Macrì, Roberto Pennisi. Non è vero, dunque, ricordo a me stesso innanzitutto, che nessuno abbia provato a spezzare i sistemi criminali che qui erano diventati, dagli anni Settanta, sempre più forti.
Chi ci ha provato è stato spazzato via perché Reggio Calabria non è Casal di Principe. I motivi sono semplici semplici.
A Casal di Principe la massoneria deviata non è di casa e le logge coperte non possono fare da culla e collante a quei sistemi criminali che distruggono dove passano.
A Casal di Principe non c’è una presenza fissa e studiata di apparati deviati dello Stato che vivono appositamente per far morire.
A Casal di Principe c’era don Peppe Diana. In provincia di Reggio c’era Monsignor Bregantini, costretto a lasciare questa terra altrimenti…pum!
A Casal di Principe la speranza è stata coltivata, a Reggio non è mai partita e lei lo ha capito subito.
A Casal di Principe e nel casertano c’erano e ci sono investigatori di primissimo piano. Anche a Reggio certo ma si informi ad esempio su quella che era la punta di diamante: il colonnello dei Ros Valerio Giardina. Raus, spedito anni fa a Roma. Promosso. Certo…
A Casal di Principe c’era il suo pool che ben conosco. A Reggio Calabria oggi c’è Giuseppe Lombardo ma altri sono pronti, mi auguro, a far valere la propria classe e competenza anche se finora hanno tenuto la testa sotto la sabbia per non vedere e non sentire. La alzeranno? Ne hanno la capacità ma hanno paura. Anche loro. Perché anche loro sanno che Reggio Calabria non è Casal di Principe. Non basterà solo il suo esempio: lo Stato deve dimostrare il suo vero volto in questa città anche arretrando la sua parte marcia che qui staziona e si tuffa per deviare, deviare e deviare.
E – mi spiace pensarlo e dunque scriverlo – non lo sarà ancora a lungo.
r.galullo@ilsole24ore.com