Un colpo alla botte e uno al cerchio, come è tipico di istituzioni paludate come la Corte dei conti.
I giudici contabili della sezione regionale di controllo per la Calabria, con la deliberazione n. 309/2012 assunta dopo le riunioni del 13 e del 20 dicembre, non dichiarano infatti il dissesto del Comune di Reggio Calabria (non possono né devono farlo) ma rimandano la palla alla Commissione straordinaria insediata nel Municipio da quasi due mesi.
Quel che scrivono i giudici è però netto: basti leggere pagina 44. “Peraltro, al di là del dato giuridico – annota la Corte – giova in proposito evidenziare come l’omissione ovvero la tardiva dichiarazione di uno stato di dissesto ormai da tempo fattualmente concretizzatosi, lungi dal costituire una condotta improntata alla tutela delle condizioni finanziarie dell’ente o della collettività amministrata, appare suscettibile di arrecare ulteriore detrimento alla già compromessa situazione dell’ente, sia in ragione degli strutturali rischi di involuzione finanziaria tipici di un ente decotto, sia avuto riguardo all’impossibilità di usufruire degli effetti giuridici agevolativi tipici della disciplina del dissesto finanziario, che la legge subordina per l’appunto all’adozione di una deliberazione consiliare accertativo-ricognitiva dello stato di decozione.
La deliberazione consiliare dichiarativa del dissesto, dunque, lungi dal costituire ex se occasione o concausa di detrimento per l’ente, dischiude per converso uno scenario normativo funzionale ad assecondare un itinerario gestionale virtuoso, di ripristino degli equilibri di bilancio e di cassa, e per essi, della piena funzionalità dell’amministrazione, a beneficio della collettività”.
In altre parole i giudici suggeriscono alla Commissione di non perdere tempo. E del resto tempo da perdere non c’è. E fare ricorso al dissesto può essere addirittura un vantaggio per una serie di motivi puntualmente elencati (e che trascrivo fedelmente).
PERCHE’ CONVIENE
Infatti, dalla dichiarazione di dissesto (e non invece dalla sostanziale decozione non tradotta in deliberazione consiliare ricognitiva) derivano un insieme di effetti giuridici, tra i quali:
1) Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto, non possono essere intraprese né proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione.
Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto sono dichiarate estinte d'ufficio dal giudice, con inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese (articolo 248, comma 2 del Tuel). Si tratta evidentemente di norma funzionale a restituire sufficienti margini di gestione all’ente dissestato nonché a garantire parità di trattamento tra i creditori dell’ente, evitando “che la soddisfazione dei creditori, a causa del limitato patrimonio dell'ente, abbia luogo in favore di coloro qui primi veniunt, sulla base di circostanze contingenti, quali la consistenza delle somme giacenti presso il tesoriere e la durata del giudizio su cui si forma il giudicato” (Consiglio di Stato, adunanza plenaria n.4/1998);
2) I pignoramenti eventualmente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dissesto non vincolano l'ente e il tesoriere, i quali possono disporre delle somme per i fini dell’ente e le finalità di legge (articolo 248, comma 3, del Tuel). La disposizione persegue evidentemente finalità analoghe alla precedente; nei confronti della massa attiva non sono ammessi sequestri o procedure esecutive, che, se già intraprese, non determinano vincoli sulle somme (art. 255, comma 12, del Tuel);
3) Dalla data della deliberazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi nè sono soggetti a rivalutazione monetaria. Uguale disciplina si applica ai crediti nei confronti dell'ente che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione a decorrere dal momento della loro liquidità ed esigibilità (articolo 248, comma 4 del Tuel). La disposizione in questione appare evidentemente rivolta ad assicurare agli enti dissestati una sufficiente disponibilità di cassa;
4) Ove necessario, l’organo straordinario di liquidazione può procedere alla vendita del patrimonio disponibile dell’ente, anche in deroga a disposizioni vigenti che attribuiscono specifiche destinazioni ai proventi derivanti dalla loro cessione (articolo 255, comma 9 del Tuel). Anche questa disposizione appare rivolte ad assicurare adeguati margini di disponibilità per il risanamento del’ente;
5) L'organo straordinario di liquidazione deve provvedere a riscuotere i ruoli pregressi emessi dall'ente e non ancora riscossi, totalmente o parzialmente, nonché all'accertamento delle entrate tributarie per le quali l'ente ha omesso la predisposizione dei ruoli o del titolo di entrata previsto per legge (art. 255, comma 8, del Tuel). Anche questa disposizione persegue la finalità di ricostituire adeguate disponibilità di cassa;
6) ai sensi del novellato art. 222, comma 2 bis del Tuel (introdotto dalla legge di conversione n. del decreto legge n. 174/2012), “per gli enti locali in dissesto economico-finanziario ai sensi dell’articolo 246, che abbiano adottato la deliberazione di cui all’articolo 251, comma 1, e che si trovino in condizione di grave indisponibilità di cassa, certificata congiuntamente dal responsabile del servizio finanziario e dall’organo di revisione, il limite massimo delle anticipazioni di cassa è elevato a cinque dodicesimi per la durata di sei mesi a decorrere dalla data della predetta certificazione”;
7) il consiglio dell'ente, o il commissario, è tenuto a deliberare per le imposte e tasse locali di spettanza dell'ente dissestato, diverse dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, le aliquote e le tariffe di base nella misura massima consentita (art. 251, comma 1, del Tuel); premesso che solitamente l’ente in stato di decozione provvede già autonomamente ad elevare aliquote e tariffe, anche questa norma si prefigge la finalità di ricostituire minime disponibilità di cassa. Inoltre, insieme alla disposizione contrassegnata con la lettera f (e anche ad altre), la norma, gravando sui contribuenti-elettori, contribuisce a realizzare il principio di responsabilità politica delle amministrazioni che abbiano mal gestito la cosa pubblica (con conseguenti effetti positivi sul funzionamento del sistema politico-istituzionale complessivo);
l’affidamento (art. 245 del Tuel) del compito di risanare l’ente sia agli organi istituzionali, “che assic
urano condizioni stabili di equilibrio della gestione finanziaria rimuovendo le cause strutturali che hanno determinato il dissesto”, che ad un organo straordinario di liquidazione, che deve provvedere “al ripiano dell'indebitamento pregresso con i mezzi consentiti dalla legge”. La norma, dunque per un verso assicura all’ente il contributo gestionale di una commissione di tecnici, e nel contempo, mediante la ideale partizione tra gestione pregressa e corrente, impone una puntuale attività di ricognizione amministrativo-contabile, particolarmente utile per le amministrazioni nelle quali allo stato di decozione si associa, come sovente si registra, l’irregolare tenuta della contabilità;
8) Dalla data di deliberazione del dissesto finanziario e sino alla data di approvazione dell'ipotesi di bilancio riequilibrato, l'ente locale “non può impegnare per ciascun intervento somme complessivamente superiori a quelle definitivamente previste nell'ultimo bilancio approvato, comunque nei limiti delle entrate accertate. I relativi pagamenti in conto competenza non possono mensilmente superare un dodicesimo delle rispettive somme impegnabili, con esclusione delle spese non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi” (art. 250, comma 1, del Tuel). La disposizione appare evidentemente funzionale al contenimento delle spese dell’ente dissestato;
9) L’adeguamento (ove inferiori) dei contributi statali (art. 259, comma 4 del Tuel) alla media unica nazionale e della fascia demografica di appartenenza;
10) A seguito dell’approvazione del bilancio stabilmente riequilibrato, l’ente dissestato non è soggetto al taglio dei trasferimenti erariali eventualmente disposto dal Governo (art.265, comma 1, del Tuel);
11) L’obbligo di ridurre le spese correnti riorganizzando “con criteri di efficienza tutti i servizi, rivedendo le dotazioni finanziarie ed eliminando, o quanto meno riducendo ogni previsione di spesa che non abbia per fine l'esercizio di servizi pubblici indispensabili” (art. 259, comma 5 del Tuel);
12) L’obbligo di adottare “i provvedimenti necessari per il risanamento economico-finanziario degli enti od organismi dipendenti, nonché delle aziende speciali, nel rispetto della normativa specifica in materia” (art. 259, comma 5 del Tuel);
13) L’obbligo, funzionale alla riduzione della spesa, di “rideterminare la dotazione organica dichiarando eccedente il personale comunque in servizio in sovrannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione di cui all'articolo 263, comma 2, fermo restando l'obbligo di accertare le compatibilità di bilancio” (art. 251, comma 6, del Tuel);
14) L’obbligo di riduzione della spesa per il personale a tempo determinato “a non oltre il 50 per cento della spesa media sostenuta a tale titolo per l'ultimo triennio antecedente l'anno cui l'ipotesi si riferisce” (art. 251, comma 6, del Tuel);
15) il divieto di incrementare le indennità degli amministratori degli enti locali in condizioni di dissesto finanziario (articolo 2, comma 25, lett. d), legge 244/2007;
16) l’obbligo di denunzia penale e contabile in casi di ricostituzione di disavanzi di amministrazione ovvero di insorgenza di debiti fuori bilancio o ancora di violazione degli obblighi previsti in materia di dissesto (art. 268, comma 1, del Tuel).
La previsione di incisive forme di responsabilità a carico degli amministratori e dei revisori degli enti locali in dissesto finanziario. In particolare, l’articolo 248, comma 5, del Tuel (comma modificato dall’articolo 6 del d.lgs. n. 149/2011 e dal d.l. n. 174/2012, convertito nella legge n. 213/2012) testualmente prevede: “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (responsabilità per danni all’erario, n.d.r.), gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale ne' alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione”.
La norma, dunque, la cui concreta applicabilità sembra condizionata ad un’esplicita dichiarazione dello stato di dissesto finanziario, assume rilievo giuridico fondamentale in materia di enti dissestati e più in generale in tema di gestione degli enti locali, in quanto potenzialmente in grado di innescare, a regime, virtuosi circuiti responsabilizzanti sul personale politico-amministrativo, disincentivando adeguatamente condotte gestionali dissennate e sostanzialmente dissipatorie delle finanze pubbliche mediante la previsione di conseguenze sfavorevoli (risarcitorie, sanzionatorie e soprattutto interdittive) direttamente gravanti sulle persone fisiche che abbiano mal gestito la cosa pubblica;
17) da ultimo, si evidenzia che, a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 31, comma 15, della legge n. 289/2002 (come modificato dall’art. 5 del d.l n.80/2004, convertito dalla legge n. 140/2004), non trovano temporaneamente (“In attesa che venga data attuazione al titolo V della parte seconda della Costituzione e che venga formulata la proposta al Governo dall'Alta Commissione di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), della presente legge, in ordine ai principi generali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”) applicazione le disposizioni del Testo Unico degli enti locali (art. 255 e ss) che disciplinano l’assunzione di mutui (salvi quelli per spese di investimento) per il risanamento degli enti locali dissestati, nonché la contribuzione statale sul rel
ativo onere di ammortamento. Rimane comunque riservato alla discrezionalità del legislatore prevedere, anche in relazione con le situazioni finanziarie degli enti locali, eventuali contribuzioni statali, così come disposto, ad esempio, dall’art. art. 14, comma 14, del decreto legge n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, nonché di recente dagli articoli 3 (lett.s, comma 5 bis) e 3 bis del d.l. n. 174/2012 (conv. nella legge n. 213/2012).
MODIFICHE INUTILI?
I giudici contabili opportunamente rilevano come neanche l’istituto recentemente introdotto (ex d.l. 174/2012) del piano di riequilibrio decennale assicuri analoghi effetti utili ai fini del risanamento degli enti in decozione, in quanto dall’ammissione alla procedura (con accesso al fondo di rotazione) discendono esclusivamente, oltre all’erogazione di un’anticipazione da restituire allo Stato, l’elevazione al massimo di tasse e tariffe (al fine di copertura dei costi dei servizi), l’assoggettamento a controlli sulle piante organiche, l’obbligo di riduzione delle spese per il personale, per servizi e per trasferimenti, l’obbligo di vendere il patrimonio disponibile non indispensabile e infine il blocco dell’indebitamento, fatta salva una più ampia possibilità di stipulare mutui, ma esclusivamente per finanziare debiti fuori bilancio relativi a investimenti.
Il raffronto tra i due istituti evidenzia dunque l’assenza, con riferimento all’istituto del piano di riequilibrio, di numerose facilities invece assicurate agli enti dall’accesso al procedimento di dissesto finanziario, tra le quali assumono particolare rilievo il blocco delle procedure esecutive e monitorie (assicurato agli enti istanti il piano di riequilibrio solo nelle more – qualche mese – della valutazione dell’istanza), la sospensione della decorrenza degli interessi su tutti i debiti e sulle anticipazioni di tesoreria, la possibilità di finanziarsi con la vendita anche di beni disponibili a destinazione vincolata e il regime di responsabilità per gli amministratori (e dei componenti degli organi di revisione) qualora resisi responsabili della situazione di decozione. Quanto a quest’ultimo aspetto, occorre infatti evidenziare come l’accesso all’istituto del piano di riequilibrio decennale, impedendo/dilazionando la dichiarazione di dissesto, comporti la sostanziale inapplicabilità (almeno temporanea e condizionata) della descritta regola di responsabilità, introdotta nell’ordinamento con la finalità di costituire un poderoso disincentivo verso condotte gestionali non finalizzate al pubblico bene, in un’ottica di maggiore efficienza complessiva delle autonomie locali, e, per esse, del sistema-Paese.
PAROLA ALLE SEZIONI UNITE
Detto in altre parole vuol dire che neppure le ultime novità legislative anti-dissesto sembrano porre al riparo il Comune di Reggio Calabria dalla dichiarazioni di dissesto finanziario.
La delibera conclude così:
A) accertare il perdurante inadempimento dell’ente, nei termini meglio descritti in motivazione, delle misure correttive necessarie a ripristinare gli equilibri di bilancio e a risanare la situazione finanziaria;
B) Di accertare, in via di fatto, la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 244 del Testo unico per la dichiarazione dello stato di dissesto finanziario;
C) di sospendere il procedimento ex art. 6, c. 2, del D.lgs. n. 149/2011 e di proporre al Presidente della Corte dei conti di volere deferire alle Sezioni riunite, la seguente questione di massima: “se l’avvenuta deliberazione di piano di riequilibrio ex art. 243 bis, comma 1, del Tuel (nel testo modificato dalla legge di conversione n. 213/2012), oltre ad interdire alla Corte dei conti l’assegnazione di termini per l’adozione di misure correttive ex art. 243 bis, comma 3, del Tuel, comporti altresì la sospensione o interruzione o arresto tout court dell’intera procedura di dissesto guidato ex art. 6 d.lgs. n. 149/2011, indipendentemente dalla fase procedurale in cui sia giunta e dunque anche qualora siano già proceduralmente emersi sia l’inadempimento delle misure correttive che la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la dichiarazione di dissesto finanziario”.
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