Chi vive fuori dalla Calabria (regione nella quale oltretutto leggono 4 gatti e la mancanza di informazione e la disinformazione regnano dunque sovrane) continua a perdersi alcune fondamentali pagine della democrazia italiana violentata.
Una violenza – si badi bene – senza anestesia pur necessaria, visti gli attributi di chi la compie, vale a dire la cupola massonicomafiosopolitica che da Reggio, dopo l’uccisione programmata a tavolino del giudice Antonino Scopelliti, ha scalato i vertici del Bel Paese in ogni ordine e grado.
Negli anni, dunque, avete letto qui e solo qui – a livello nazionale nessuno ne parla, a maggior ragione i pennivendoli che si sono messi in servizio permanente effettivo della cupola – che a Reggio Calabria è stata scritta e continua ad essere scritta una delle pagine peggiori della nostra democrazia, con il massacro scientifico nei confronti di Alberto Cisterna (e di tutto ciò che rappresenta la sua figura), ex braccio destro di Piero Grasso in Dna e ora aulicamente messo a Tivoli dove tra una causa per corna e una per un peto rumoroso in condominio, spera che il tempo sia galantuomo.
La violenza sulla democrazia ha visto scendere in campo diversi protagonisti. Di questi, 99 sono rimasti nell’ombra (altrimenti che cupola massonicomafiosopolitica sarebbe!) ed uno è stato fatto probabilmente uscire allo scoperto (non lo dico io ma lo dice implicitamente il pg di Reggio, Salvatore Di Landro): Nino Lo Giudice, il collaboratore di giustizia che tremare il mondo fa.
Sulle sue dichiarazioni – si è autoaccusato anche della rarefazione del fenomeno della Fata Morgana tra le due sponde, della mancata emissione degli scontrini fiscali nei bar del cento di Tel Aviv e della sciatalgia della sora Cesira – si regge il processo sulle bombe e gli attentati a Reggio Calabria contro istituzioni e procuratori nel corso del 2010. E’ tutta opera sua. Le ha messe o fatte mettere tutte lui, perché Cisterna era brutto, sporco, cattivo e corrotto, il pm Francesco Mollace era più brutto e cattivo di Cisterna e via di questo passo. Ha messo o fatto mettere bazooka, bombe (a proposito, dopo la brutta figura del falso bazooka mostrato alle telecamere dalla Polizia, se qualcuno lo ha visto mi scriva), bombette, coppole, tutto lui. Tutto perché gli hanno fatto la bua cattiva e i magistrati non gli hanno garantito quel che avrebbero dovuto garantirgli: immunità per sé e i familiari, arresti domiciliari, cure, aiuti e aiutini. A partire da quelli per il fratello Luciano.
Questa somma di cose è stata detta – e l’ho scritto migliaia di volte – fuori tempo massimo, con contraddizioni pazzesche, senza riscontri, con tanti “non ricordo”, “non lo so”, “non c’ero e se c’ero dormivo” ed omertà, con continui sbugiardamenti da parte dei suoi stessi familiari (basti leggere su Calabria Ora della scorsa settimana l'intervista fatta dal collega Consolato Minniti all’altro fratello Maurizio), con derisioni pubbliche da parte dei suoi più stretti collaboratori a loro volta pentiti e via di questo passo.
Non gli crede quasi nessuno, forse non crede neppure lui a se stesso eppure la violenza sulla democrazia continua.
Ora, finchè non gli credo io a Lo Giudice, passi (si sa che non capisco nulla). Che non gli creda – ultimo in ordine di tempo tra personalità e istituzioni che hanno azzerato le dichiarazioni del nano Nino – il procuratore generale della Repubblica, Salvatore Di Landro è un altro paio di maniche. Di Landro, senza mezzi termini, la scorsa settimana ha detto nel corso di un’udienza a Catanzaro: «Antonino Lo Giudice mente e non aveva motivo di avercela con me. Ma non può dire chi gli ha ordinato l'attentato, perché lo ucciderebbero. Se sono stati i Lo Giudice lo stabilirà il Tribunale». (Si leggano le puntuali…cronache su www.corrieredellacalabria.it).
Solo questo dovrebbe far riflettere sulla violenza della democrazia in atto da anni a Reggio e dunque in Italia. Come Di Landro, guardo con immutato e massimo rispetto al lavoro della Procura nel procedimento in corso e in tutti i procedimenti. Sapete che ho sempre sostenuto che quel primo attentato è frutto della mente della triade Condello-Libri-Tegano impaurita per il nuovo e banale corso della Procura generale di Reggio (vale a dire: stop agli appelli in cui anziché condannare si assolveva e si chiedeva pure scusa!). Sapete che ho sempre sostenuto che quella prima bomba era anche stata messa perché qualcuno, all’interno della stessa Procura, doveva mantenere patti con la cupola massonicopoliticomafiosa. E forse non poteva più.
Di Landro ha detto una cosa devastante: ma se la bomba alla Procura generale è nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010, come caspita è possibile che «ai Lo Giudice, in particolare a Luciano, erano state messe microspie anche nelle orecchie e dalle intercettazioni mai esce il mio nome e solo il 26 aprile 2010 Luciano Lo Giudice dice “adesso cominciamo a fare bordello”?».
Già, come è possibile? E come è possibile – su questo non ci siamo mai interrogati – che se uno vuole mandare un messaggio a quel disgraziato di Cisterna che è a Roma in Dna, si colpisce…la Procura generale che è a Reggio Calabria!!! E come è possibile che per spingere Cisterna a ricordarsi delle presunte promesse fatte a Luciano Lo Giudice, il fratello Nino decida di mettere una bomba…esattamente pochi giorni prima della scarcerazione di Luciano, ar gabbio per usura senza aggravante di mafia perché esclusa dal Gip!!!! Nemmeno la fantasia più perversa di uno sceneggiatore americano perverso avrebbe potuto immaginare una perversa minchiata del genere!!!
Quel Luciano che, sempre la scorsa settimana, dirà nel corso della stessa udienza: «Volevano indurmi a fare nomi di magistrati. Volevano farmi accusare i magistrati Mollace e Cisterna, ma non ero loro amico. Non ce l'hanno fatta ed hanno usato mio fratello Antonino». E ha aggiunto in merito alla visita nel carcere di Rebibbia dell'allora capo della Squadra mobile di Reggio, Renato Cortese, che gli propose di collaborare: «Gli dissi che non avevo niente da collaborare. Dopo vennero anche i procuratori Pignatone e Prestipino dicendomi che Nino aveva detto che ero stato in Austria a comprare armi. Io in Austria non ci sono mai stato. Il fatto è che Nino ha perso la testa per una donna ed ha preso i miei risparmi. Cortese tornò per dirmi che avevo fatto un patto per fare arrestare Condello, ma io non ho fatto nessun patto. E dopo 20 giorni mia moglie venne arrestata: tutte ritorsioni per farmi parlare. La Questura di Reggio Calabria ha fatto informative false. Sono ancora incensurato, non ho avuto condanne definitive e sono pronto al confronto con chiunque. Sono innocente».
IRROMPE NAPOLETANO
Ora mentre tutto questo e molto altro ancora accade (compresa l’archiviazione delle accuse per corruzione in atti giudiziari di Cisterna), un altro collaboratore di giustizia con programma definitivo di protezione, il pugliese Massimo Napoletano, a cui po’ fregà de meno di Cisterna, Lo Giudice e via di questo passo e che non ha nulla da guadagnare e molto da perdere, il 6 gennaio 2012 scrive a Cisterna una lettera in cui in sostanza gli dice: “sono stato interrogato il 23 settembre 2011 nel carcere di Rebibbia da Piero Grasso e il 2 dicembre 2011 da Pignatone Giuseppe ai quali ho detto che Nino Lo Giudice, con il quale sono stato detenuto, mi ha riferito che aveva accusato proprio lei, Cisterna, perché pilotato a questo scopo dalla ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Lo Giudice mi parlò di un attentato al portone di un magistrato e mi parlò di un bazooka che venne fatto rinvenire vicino alla Procura, appositamente per rendere più credibile la sua collaborazione…Vi scrivo la presente per onestà collaborativa. Resto a disposizione per ulteriori chiarimenti in merito alla vicenda…”. Di questa lettera ha scritto Consolato Minniti su Calabria Ora.
Ora, detto che in-spie-ga-bil-men-te questa lettera, indirizzata il 6 gennaio in Dna a Cisterna, allo stesso Cisterna non è mai giunta se non a distanza di tempo, vediamo che cosa ha detto Massimo Napoletano nel corso dell’interrogatorio del 2 dicembre 2011, presenti Pignatone Giuseppe, Vincenzo Lombardo, Procuratore della Repubblica a Catanzaro, Salvatore Curcio, sostituto procuratore distrettuale antimafia a Catanzaro e Ronchi Beatrice, sostituto procuratore distrettuale della Repubblica a Reggio Calabria.
L’INTERROGATORIO
Durante un pomeriggio in cui stavamo prendendo il caffè, esordisce Napoletano, “stavamo parlando in merito alla Dna e lui cominciò a tirare fuori il discorso del dottor Cisterna, disse che lui dice aveva fatto bene a volerlo metterlo di mezzo, tra virgolette, perché si comportò sempre male, non era intervenuto quando doveva intervenire, lui dice di avere dichiarato che lui aveva rapporti personalmente con il dottore Cisterna e invece dice era il fratello che era, tra virgolette, dice confidente del dottore Cisterna e quant'altro insomma in questo senso e comunque…”.
Pignatone: mi scusi Nino Lo Giudice le disse che lui aveva dichiarato ai pubblici ministeri evidentemente di avere rapporti diretti personali con il dottore Cisterna invece la verità era che li aveva il fratello
Napoletano Massimo: era il fratello sì che telefonava diciamo al dottore Cisterna
Pignatone: al dottore Cisterna perché era suo confidente.
Napoletano Massimo: era il suo confidente sì. Eeee niente lui era diciamo parlava di diversi attentati che aveva fatto vicino a un portone di un procuratore, di un lanciarazzi un fucile un qualcosa del genere lo aveva fatto lasciare apposta prima poco, prima della sua collaborazione perché sapeva che doveva essere a breve arrestato ed erano certi segnali che voleva lui dichiarare e però con questo gesto lui voleva fare intervenire il dottore Cisterna per aiutarli, solo che il dottore Cisterna dice non è sceso … diciamo compromesso con loro no! E durante diciamo l'ultima frase c'era un altro collaboratore che entrò nella mia cella, un altro ragazzo che stava sempre in sezione, Caporlingua Guido si chiama, un ragazzo di Messina che anche lui ascoltò diciamo le ultime
Pignatone: parole.
Napoletano Massimo: le ultime parole sì. Poi cui io e questo ragazzo ci guardavamo in faccia perché insomma un po' ci spiazzò la perché non riuscivamo a capire a che scopo lui dicesse questo se voleva che noi lo dovevamo fare arrivare da qualche parte cioè non riuscivamo a capire la motivazione e poi lui mi chiese il computer e ritornò in cella sua, e tra l'altro mi chiese anche se avevo la possibilità dice di fare entrare una chiavetta perché lui voleva mettersi in contatto con persone giù in Calabria e mi disse che mi avrebbe ricompensato economicamente e dovrei fare io, avrei dovuto fare la nomina al suo legale, avvocato, mi sembra Catanzaro qualcosa del genere.
LA CHIAVETTA USB
Prima di tornare all’interrogatorio apro una breve parentesi con una domanda: come fa Napoletano a conoscere il nome dell'avvocato di Lo Giudice? Ma torniamo all’interrogatorio che riparte proprio da quella famosa chiavetta Usb e già che ci siamo aggiungo un’altra domanda provocatoria: visto che il nano l’aveva (l'avrebbe) chiesta perché non approfittarne, trovare il modo di fargliela avere successivamente e tracciare tutta la serie di contatti? Io – che non sono investigatore e inquirente – lo avrei fatto al volo: cento volte meglio di un’intercettazione telefonica!
Pignatone: e lei glielo ha dato il computer?
Napoletano Massimo: sì, sì però non era
Pignatone: non era collegato
Napoletano Massimo: …non si poteva collegare
Pignatone: diciamo era solo
Napoletano Massimo: io gli promettevo che a breve gli avrei fatto, avrei fatto recapitare una chiavetta o quant'altro però era impossibile farli entrare.
Pignatone: ma senta tutto questo quando è avvenuto?
Napoletano Massimo: il mese di luglio se non sbaglio, verso la fine di luglio mi sembra.
Pignatone: e le celle erano sempre aperte le porte?
Napoletano Massimo: sì, sì no che erano sempre a noi ci aprivano alle otto la mattina e ci chiudevamo alle undici e mezza poi ci riaprivano alle due e ci chiudevano alle cinque e mezza diciamo per quelli che non lavoravano, per i lavoranti erano aperte fino alle otto la sera.
Pignatone: e voi non lavoravate in quel periodo.
Napoletano Massimo: io lavoravo in cucina come cuoco.
Pignatone: lei lavorava in cucina quindi la sua era sempre aperta.
Napoletano Massimo: sì.
Pignatone: e quella di Lo Giudice?
Napoletano Massimo: no, quella di Lo Giudice veniva aperta durante gli orari, dalle otto alle undici e mezza e dalle due alle cinque e mezza.
Pignatone: e c'era libertà di movimento.
Napoletano Massimo: sì sì in tutta la sezione tranquillamente. Poi io gli avevo regalato un tappeto anche perché lui si è convertito religiosamente e lui pregava, si vestiva come un musulmano, lui pregava tutti i giorni, io siccome era uscito un ragazzo madrilino dal carcere mi aveva lasciato questo tappeto di preghiera e io diciamo lo usavo, lo usavo solo come tappetino per la cella e lo regalai a lui e lui diciamo pregava sempre, avevamo diciamo un buon rapporto.
SI RIAPRE L’INTERROGATORIO
Al termine dell’interrogatorio, alle ore 11.50, Napoletano vuole aggiungere dichiarazioni spontanee.
Ronchi: ci dica che cosa … ci ha chiesto di aggiungere.
Napoletano Massimo: si a me è venuto in mente in merito a degli esplosivi che stavo prima dicendo nell'interrogatorio precedente però non riuscivo bene a collocare. Lui aveva parlato di una esplosione avvenuta vicino alla Procura e un'altra davanti alle porte di un Procuratore e visto poi a quel punto che non riusciva a ottenere sempre riallacciandomi al dottore Cisterna durante la sua collaborazione aveva diciamo pilotato lui col fratello e altri personaggi di calunniare il dottore Cisterna dicendo che era corrotto.
Curcio: quindi era pianificata con il fratello…
Napoletano Massimo: sì
Curcio: anche il fratello ha rilasciato dichiarazioni?
Napoletano Massimo: in merito diciamo a quelle occasioni non lo so questo non lo so, non so … io cioè ho visto il dottore che passava ho detto glielo accenno subito potevo scrivergli però dico visto che mi è venuto in mente non so se può servire o meno
Curcio: va bene, va benissimo, va bene.
Ricapitolando, dunque, (anche) secondo Napoletano (ripeto: secondo lui e Cristo solo sa se dice il vero o il falso)), il nano era manovrato dalle famiglie mafiose di Reggio, si vestiva come un musulmano, pregava e aveva fatto bordello perché Cisterna non era avvicinabile e lui e la famiglia avevano bisogno di aiuto, cvibbio!.
Non perdetevi la prossima imperdibile puntata di cronaca. Cronaca pura. Perchè i pentiti parlano, parlano, parlano…
1 – to be continued
r.galullo@ilsole24ore.com