Ammetto di aver trovato con estrema difficoltà le (prime) parole per scrivere questo articolo.
Ho pensato mille “attacchi” diversi (prima che qualche beota pensi al fatto che qualcuno o qualcosa possa essere messo nel mirino, specifico che, giornalisticamente parlando, l’”attacco” è l’incipit di un servizio che, per regola aurea della mia professione, deve contenere la notizia) ma nessuno era convincente.
Ho poi ricordato innanzitutto a me stesso che un blog è un luogo di incontro e discussione distesa e familiare con voi, amati lettori, e ho così concluso che non avrei avuto bisogno di sforzarmi le meningi per scrivere un attacco travolgente.
Ma perché tanti dubbi per le mie prime frasi?
Perché mai nella mia vita (privata e professionale) mi era capitato di trovarmi di fronte ad un delirio farneticante di frasi in libertà da parte della politica parolaia come dopo lo scioglimento del Comune di Reggio Calabria per “contiguità mafiosa”.
Sapete come la penso. Sono stato il primo ad auspicare, mesi e mesi fa, una commissione di accesso agli atti del Comune per fare chiarezza (attenzione: fare chiarezza, il che non presuppone necessariamente uno scioglimento come invece è stato), così come sono stato il primo a chiedere altrettanta chiarezza sulla Regione Calabria ma – ahimè – in questo caso i poteri ispettivi dello Stato sono, per legge, inspiegabilmente nulli. Lo Stato può solo – per quel che conta, cioè zero – fare affidamento sulla Corte dei conti sotto il profilo della regolarità contabile. Per il resto “zero carbonella” (come diciamo noi romani).
Se ci pensate bene, infatti, la necessità di spedire lo Stato a rovistare tra le carte e gli atti di Reggio Calabria (per poi scoprire una devastante “contiguità mafiosa” del Comune, il che non vuol dire tutto il Comune ma rapporti e relazioni precise individuate dalla commissione prefettizia di accesso tra amministratori, consiglieri e personale, tali da spingere alla necessità di staccare la spina) potrebbe valere per la Regione Calabria dove gli indagati volano come fringuelli e la “libera Procura di Reggio” sta mettendo sotto la lente di tutto e di più. Un’incursione ispettiva dello Stato sarebbe benvenuta e purificatoria ma tant è: non si può.
Sapete come la penso anche sull’utilità di una commissione prefettizia: basta andare a vedere il mio servizio, su questo blog, del 10 ottobre. Sapete che credo nella necessità – in Calabria e in ampie parti del Sud – di prevedere non un semplice commissariamento a “tempo” ma un commissariamento sine die, fino a quando cioè il ventre molle della burocrazia e della classe dirigente amministrativa (vero terreno di cultura della mafia) non sia stato rimpiazzato da uno strato democraticamente affidabile. Sapete che mi sono spinto a invocare l’affiancamento tecnico dello Stato in tutti quei casi in cui commissariare non è possibile.
ALLA BASE DEL DELIRIO
Ciò detto, non bisogna dunque inseguire il delirio farneticante di frasi che hanno seguito lo scioglimento. Così facendo si commetterebbe lo stesso errore dello scemo che guarda al dito anziché alla luna.
La concentrazione deve essere riposta su questa domanda: perché molte forze politiche e una buona parte della classe dirigente (locale e no) si sono affrettate ad attaccare la decisione di sciogliere il consiglio comunale e a difendere l’indifendibile?
Ebbene il perché è molto semplice. Di una banalità sconcertante: uno scioglimento di questo tipo – ad opera, non dimentichiamolo, della magistratura con le indagini su consiglieri e municipalizzate – rompe il patto tra politica e ‘ndrangheta. Lo scioglimento serve proprio a questo: recidere il cordone ombelicale tra mafie e politica. Tutto questo – si badi bene – ai danni di quella borghesia mafiosa, che governa Reggio, la Calabria.
Dunque non è assolutamente vero, come qualcuno ha sostenuto, che lo scioglimento è il frutto – oltre che della stampa brutta, sporca, cattiva e inevitabilmente comunista – della volontà espressa da una borghesia mafiosa. E’ vero esattamente il contrario: quella cupola fatta di poteri deviati e marci non può assolutamente tollerare che l’amministrazione e il governo di un ente locale – di qualunque colore essa sia – venga interrotta. Soldi, troppi soldi piovono su Reggio: se si commissaria la città, la città stessa morirà di fame.
Si preannunciano dunque tempi durissimi per la città di Reggio (verosimilmente i commissari si limiteranno ad un’amministrazione così ordinaria che più ordinaria non si può) che per almeno due anni dovrà fare a meno del “grande polmone”.
Solo ed esclusivamente per questo motivo c’è stata qualche forza politica che, nel mazzo dei difensori della presunta sacralità reggina, ha urlato più forte delle altre. Per mandare un messaggio a quella borghesia mafiosa che governa la Calabria e non solo: “Bboni, state bboni. Calmi, state calmi, stiamo calmi. Rimettiamoci insieme al lavoro: Reggio non può essere che nostra. Il patto poltica-‘ndrangheta sarà ricostituito”.
Ha bisogno di urlarlo pubblicamente. Privatamente non basta, perchè senza l'avallo popolare nelle urne, della parte cieca, connivente o collusa di quella Reggio che del patto vive e si alimenta, quello stesso patto sarebbe poca cosa. E badate che il colore politico non conta.
Quello scioglimento ha spezzato “mo-men-ta-nea-men-te” il vincolo sacro che esiste tra la parte marcia della politica (ripeto: di centro, destra e sinistra) e le cosche, nel nome degli affari e della scalata politico-sociale della borghesia mafiosa. Ha spezzato, mo-men-ta-nea-men-te l’”oltReggio contiguo”*.
CHIUSO: TORNO SUBITO
La parola chiave sui cui concentrarsi è dunque quel “mo-men-ta-nea-men-te”. E’ come quando in un negozio troviamo la scritta: “Torno subito”.
La cupola mafiosa che governa Reggio non può permettersi che quel vincolo venga (più) reciso e lo Stato non ha la forza di reciderlo. Il commissariamento – paradossalmente – rischia di offrire alle parti, su un piatto d’argento, l’occasione di rivedere quel patto logoro, sulla base di nuove e al momento imprescrutabili orizzonti.
La cupola mafiosa non può permettersi di perdere un futuro ancora ricco di risorse che piovono su Reggio o attraverso Reggio ma – soprattutto – non può permettersi il fatto che Reggio non rappresenti il laboratorio politico-criminale da affinare per essere poi riprodotto fuori regione.
Per questo – mai come adesso – la vigilanza della società civile (quel poco, pochissimo che esiste e che resiste a Reggio) deve essere altissima.
Per questo – mai come adesso – l’attenzione della borghesia mafiosa che, ferita, si sta leccando le ferite ed è già all’opera per ricostruire ciò che è stato momentaneamente congelato, si sposterà su quell’ala della magistratura (in primis il pm Giuseppe Lombardo) che finalmente ha la forza di dare la cac
cia, libera dai condizionamenti massonico-mafiosi, alla borghesia criminale. E alla quale si deve il merito di aver incrinato il patto per poi contribuire a spezzarlo.
Per questo – mai come adesso – quella cupola mafiosa non può permettersi di sbagliare un colpo.
Per questo mai come adesso le truppe marcie – della politica, dello Stato, delle professioni – cominceranno a coagularsi intorno alla 'ndrina De Stefano, che così tante carriere politiche e no, ha costruito e programmato nei decenni.
Per questo – mai come adesso – a Reggio ci sarebbe bisogno di un Procuratore capo (manca da mesi) che possa coordinare il lavoro di quanti sanno che il momento è decisivo per aprire la società reggina e calabrese alla speranza. Mai come ora la magistratura potrebbe stringere d’assedio non i venditori di piantine nella Piana di Gioia Tauro o i cocomerai ma le menti raffinate (non pretendiamo che quelle raffinatissime cadano, perché quelle fanno carriera: accontentiamoci di un passo alla volta) ma le tessere di quella borghesia mafiosa che – ripeto allo sfinimento – alberga sempre all’ombra di qualche loggia deviata.
* P.S. Per quello che ormai ho giornalisticamente definito “OltReggio contiguo” rimando anche ai due articoli precedenti, pubblicati su questo umile e umido blog l’11 ottobre 2012