Uno zerbino ai piedi della ‘ndrangheta.
Mai – prima d’ora – in un’ordinanza si era letta una presa di posizione così netta (e testuale, basta leggere l’ordinanza) nei confronti di un indagato eccellente nella classe dirigente reggina. Si tratta di Bruno De Caria, direttore operativo della società dell’ambiente Leonia, partecipata al 51% dal Comune di Reggio Calabria.
Il giorno dopo lo scioglimento del consiglio comunale per contiguità mafiosa, giunge la nuova operazione condotta dal pm Giuseppe Lombardo, lo stesso magistrato della Procura antimafia reggina che aveva già scoperchiato le infiltrazioni della cosca Tegano nella Multiservizi, altra società partecipata dal Comune, poi sciolta. Infiltrazioni che sono tra i motivi della decisione assunta due giorni fa dal Governo su Reggio.
Se il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri avesse potuto leggere anche le carte sulla Leonia avrebbe avuto un motivo in più per lo scioglimento del Comune, sul quale è intervenuto l’imprenditore Pippo Callipo che ringraziando il ministro per lo slancio che ora può contagiare la ripresa di una terra in gran parte onesta, ha ricordato che «se il modello Reggio frana oggi miseramente, rimane ancora in piedi un ben più deforme modello Calabria il quale ha, per molti versi, aspetti identici se non più aberranti di quelli in uso nella città dello Stretto».
L’indagine di ieri ha portato al sequestro di beni per 30 milioni e all’arresto di otto persone, tra cui i vertici della cosca Fontana di Archi, ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, di intestazione fittizia di beni, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente ed abuso d’ufficio, aggravati dal metodo mafioso. Avrebbero esercitato un pervasivo potere di condizionamento e controllo di tipo mafioso sul comparto ambientale di Reggio Calabria. Non solo imponevano tangenti ma ricevevano da anni i contratti per la manutenzione delle macchine e il rifornimento (55mila litri al mese) degli automezzi.
Il ruolo chiave è quello del colletto bianco, De Caria, che secondo l’accusa «forniva uno stabile, concreto, volontario ed apprezzabile contributo all’esistenza, alla conservazione ed al rafforzamento dell’associazione criminale di tipo mafioso nel suo complesso». In una lettera sequestrata a De Caria e indirizzata nel Natale 2001 Giovanni Fontana, allora latitante e ieri arrestato, si legge un passaggio che ha scosso le coscienze dei pm e che testimonia la totale sudditanza alle cosche in tempi non sospetti. Tempi trascorsi con De Caria sempre al vertice dell’economia pubblica cittadina. «…ho la netta sensazione di conoscerVi già – si legge nella lettera – e i vostri figli sono ormai entrati nel mio cuore e nella mia stima al punto che non esito a mettere a loro disposizione tutte le mie conoscenze per assecondarli nel vostro desiderio…».
Sudditanza che non è mai venuta meno anche quando – si legge nelle carte firmate dal Gip Domenico Santoro che ha accolto in pieno le testi dell’accusa – neppure quando, tra il 2007 e il 2008 la consapevolezza della capacità della Leonia di produrre ingenti introiti porta le cosche De Stefano, Condello e Tegano a rivendicare una parte della ricca torta. Da quel momento in poi, dunque, Leonia avrebbe dovuto aumentare il capitale illecito delle altre cosche. Non c’era problema: bastava sovrafatturare i pezzi di ricambio e le componenti meccaniche. Una rimessa di denaro sonante a danno del pubblico e a favore delle cosche. L’ennesimo “oltReggio contiguo”alla città che qualcuno non voleva veder sciolta per mafia.
r.galullo@ilsole24ore.com