ESCLUSIVO/ Il pm antimafia Giuseppe Lombardo: “Nelle indagini in Calabria nessun metodo Falcone”

I sepolcri imbiancati calabresi negli ultimi tempi hanno riscoperto (forse perchè l'aria è diventata momentaneamente più chiara e più respirabile) il lavoro del pm della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. Su di lui – nelle prossime ore – tornerò profondamente.

Su di lui – unico a livello nazionale, tra i pochissimi a livello locale eccezion fatta per il lavoro straordinario di alcuni colleghi tra i quali cito Lucio Musolino e Consolato Minniti – ho acceso da anni i riflettori seguendone con passione il lavoro.

Inutile girarci intorno: è la mente lucida che la Procura di Reggio ha a disposizione sulla ricostruzione – passo passo, tassello dopo tassello, spesso sparigliando le carte sotto il naso degli interlocutori – della cupola mafiosa reggina nella quale (si badi bene) le cosche sono co-protagoniste. E' il degno collega di magistrati come Alberto Cisterna (noto corrotto in atti giudiziari e se lo dice Nino Lo Giudice io ci credo), Enzo Macrì (noto profittatore di ormeggi insieme al fratello pur non avendo la barca!), Roberto Pennisi (su cui pendono veleni pronti a uscire non appena fa cucù a Reggio), Roberto Di Palma (che ha osato mettere il nasino su Gioia Tauro e sui suoi misteri a stelle e strisce),  e Ciccio Mollace (che fa troppe domande in dibattimento sulla politica).

Il puzzle di quella cupola che Lombardo prova da anni a ricostruire comprende, infatti, innanzitutto la politica costruita a tavolino dall'eversione nera e dalla cosca De Stefano (oh yes!) che da anni infestano le Istituzioni calabresi.

A seguire la solita infamante ricetta calabra: pezzi marci dello Stato, servizi deviati, professionisti insospettabili "sparati" nell'empireo nazionale (da Reggio a Milano passando per Roma) per assecondare i fini e le volontà (ma anche su questo tornerò). Il tutto all'ombra delle logge coperte come sapientemente ha detto (e racconterà meglio, statetene certi) il pentito Nino Fiume, "vicino vicino" all'eversione nera e alla cosca De Stefano.

Per affrontare tutto questo bisogna essere lucidi. O pazzi. O incoscienti (ma non è quest'ultino il caso di Lombardo). Forse però è pazzo perchè – come alcuni corvi travestiti da colombe ricordano a chi purtroppo li avvicina – è "giovane". Ricordo qualcun altro che, a proposito di Rosario Livatino, trucidato da Cosa Nostra, si rivolse con disprezzo ai "giudici ragazzini".

Di sicuro Lombardo è lucido e lo dimostra anche nell'intervento – che in esclusiva questo umile e umido blog propone ai lettori – che ha tenuto venerdi 27 luglio a Reggio Calabria in un'occasione pubblica.

Chissà che anche a lui – come è successo ad uno dei migliori Servitori dello Stato, Roberto Scarpinato, degno erede di Piero Grasso alla Procura nazionale antimafia – non capiti di finire in unn tritacarne disciplinare del Csm all'interno del quali in un modo o nell'altro entra l'influenza dei corvi che volano altissimi indossando, come sempre, grembiulini sporchi. A Roberto Scarpinato la mia vicinanza e la mia solidarietà.

Nel discorso che leggerete – Lombardo è andato a braccio ma lo ha consegnato all'organizzazione dell'evento – il pm ha detto (e spiegato) molte cose sulla "ricerca della verità".

Il filo conduttore – proprio alla luce del titolo che il pm ha dato al suo intervento – è che prima di nominare il nome di Falcone invano, chi lo pronuncia in Calabria dovrebbe sciacquarsi la bocca e magari guardarsi dentro. I metodi e la flessibilità degli stessi che il giudice ucciso da Cosa Nostra applicava – dice ancora Lombardo – sono lontani anni luce dalle stanze giudiziarie reggine.

Badate ai particolari lettori, perchè sono quelli che permettono la lettura in filigrana. Sono quelli che rendono "lucida" l'opacità.

Ed allora vi sottolineo quattro passaggi del discorso scritto da Lombardo:

1) Falcone "metteva la ricerca della verità al centro del lavoro del magistrato e non passava da alcun automatismo protocollare".

2) "Chi pensa di illudersi di combattere la ‘ndrangheta solo richiamando quel metodo, fa un torto enorme ad un grande magistrato come Giovanni, perché snatura le sue idee e le attualizza senza la sua autorizzazione"

3) "La verità non è mai una sola, direbbe qualcuno: la verità che riguarda i fenomeni criminali di tipo mafioso è prima di ogni altra quella processuale, base di partenza di ogni successivo sviluppo.

Bisogna stare però molto attenti a come si scrive quella verità: siamo noi pubblici ministeri che la condizioniamo quella verità, soprattutto con le indagini che non siamo in grado di portare fino in fondo".

4) "… i miei indagati non subiscono distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".

Un uno-due, uppercut e conteggio finale che stenderebbero molti sepolcri imbiancati – come li definirebbe Roberto Scarpinato – ma non in Calabria. Statene certi.

Loro – quei sepolcri imbiancati che siedono in prima fila nelle manifestazioni e nelle marce antimafia "vicini vicini", spesso fotografati gomito a gomito dei cavalli vincenti dell'eversione nera e della cosca De Stefano – i colpi della Giustizia sanno bene come pararli anche quando l'arbitro conta sul ring.

Perchè l'arbitro – spesso – è "cosa loro" ed è in grado – anche davanti ad una folla inferocita che del resto a Reggio e in Calabria non esiste – di ribaltare il match e assegnare la vittoria ai punti. All'avversario. Cioè a quella cupola mafiosa che ospita il match tra mafia e Giustizia.

Buona lettura

 

 La ricerca della verità

 

Di chi è la colpa, chi ha sulla coscienza la mancata ricerca della verità?

Pro quota la colpa è di tutti quelli, magistrati inclusi, che antepongono all’impegno pubblico cui sono chiamati le proprie esigenze personali, private.

La colpa è in massima parte di tutti quelli, in altre parole, che trovano comodo, agevole, popolare, scaricare le responsabilità sugli altri, soprattutto sugli altri poteri dello Stato.

Troppe volte si è detto che la politica protegge se stessa.

Mi chiedo, dov’è la novità, dov’è la notizia, come è possibile che ancora oggi si sia qualcuno che si sorprende o scandalizza!

La classe politica protegge se stessa esattamente come fanno tutte le categorie che gestiscono fette di potere, piccole o grandi che siano.

Non è giusto e non conduce alla verità criminalizzare al buio nessuno: nello stesso modo non è ammesso fare sconti a nessuno.

Reggio Calabria non è una città in bianco e nero, non è una città in cui i buoni sono vestiti di bianco ed i cattivi di nero.

Questa città è piena di colori, i colori che compongono il quadro che rappresenta la verità, la vera storia di questa terra.

Siamo sicuri di averli osservati tutti, con attenzione, quei colori?

O ci siamo fatti attrarre solo dalle tinte forti, dai rossi, dai bianchi, dai neri?

Siamo sicuri di aver colto le sfumature, le ombre, i riflessi, le trasparenze, le sovrapposizioni?

Io sono sicuro di non esserci riuscito ancora, eppure osservo.

Questa è la ricerca che ognuno di noi è chiamato a svolgere. Perché questa terra, questa città, non vive di parole pronunciate da persone che
non sanno di cosa parlano, ma che hanno la pretesa di volerla raccontare.

Non ho bisogno di modelli per svolgere fino in fondo il mio compito di ricercatore, eppure sarei agevolato nella mia ricerca.

Non ho bisogno di ricordare quello che mi raccontava mio padre dei suoi dialoghi con Giovanni Falcone, della loro consapevolezza in merito alla diversità dei fenomeni che riguardavano terre così vicine, ma distanti, come la Calabria e la Sicilia dei primi anni ’90.

Perché sentire parlare oggi, con riferimento alla ‘ndrangheta, del "metodo Falcone" da parte di persone che quel metodo richiamano solo quando bisogna alzare il livello è fare un torto a Giovanni: Giovanni Falcone parlava di un metodo, cucito addosso a Cosa Nostra, che metteva la ricerca della verità al centro del lavoro del magistrato e non passava da alcun automatismo protocollare: sapeva, e ne discuteva con i suoi colleghi calabresi, che quel metodo non poteva applicarsi senza i dovuti aggiustamenti ad un fenomeno diverso, quale la ‘ndrangheta.

Chi pensa di illudersi di combattere la ‘ndrangheta solo richiamando quel metodo, fa un torto enorme ad un grande magistrato come Giovanni, perché snatura le sue idee e le attualizza senza la sua autorizzazione.

Sono sicuro che la proverbiale capacità di seguire le evoluzioni dei fenomeni criminali, le tendenze evolutive le chiamiamo noi, avrebbe portato Giovanni Falcone a modificare, aggiustare, perfezionare mille volte quel metodo in venti anni.

Oggi dopo venti anni dalla loro morte, non possiamo pensare di capire il fenomeno ‘ndrangheta parlando di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: Giovanni e Paolo non lo avrebbero consentito, perché la sfida vera era, ed è, quella di non diventare strumento distorto in mani altrui.

Il Pubblico Ministero, ricercatore scientifico, che ha voglia di capire deve leggere le sentenze, deve studiare le ordinanze, deve recuperare i fascicoli dagli archivi, deve visitare i luoghi, deve ascoltare le voci, deve confrontarsi con i collaboratori di giustizia: perché quelle verità sono la base di partenza del percorso di ricerca della verità di ognuno di noi.

La verità non è mai una sola, direbbe qualcuno: la verità che riguarda i fenomeni criminali di tipo mafioso è prima di ogni altra quella processuale, base di partenza di ogni successivo sviluppo.

Bisogna stare però molto attenti a come si scrive quella verità: siamo noi pubblici ministeri che la condizioniamo quella verità, soprattutto con le indagini che non siamo in grado di portare fino in fondo.

Incombe su ognuno di noi un dovere di completezza e tempestività: non ci sono tagli alle risorse che tengano, non ci sono organici ridotti, non ci sono limitazioni alle spese che giustifichino ricerche incomplete.

Una giustizia parziale è una giustizia negata.

Solo utilizzando appieno gli strumenti, sostanziali e processuali, a nostra disposizione saremo in grado di mettere il giudice in condizione di esercitare davvero il suo ruolo: sono io che ho la responsabilità di raccogliere e di consentire a lui un giudizio che sia aderente alla realtà.

Saremo noi che avvicineremo la sua sentenza, quale verità processuale, alla verità reale.

È tutto già previsto nel nostro sistema giudiziario, che ha nella Carta Costituzionale il suo cuore pulsante.

Prima di parlare di prerogative, privilegi, immunità, proviamo noi magistrati a parlare di regole, di principi, di obblighi.

Perché obbligo di conoscenza non vuol dire spionaggio indiscriminato, vuol dire garanzia di civiltà giuridica.

Non avviare l’indagine che sono obbligato a fare, significa strumentalizzare il mio ruolo e condizionare la vita altrui senza la prospettiva di un processo, significa giocare sottobanco con la vita della persone.

Indagare significa conoscere, conoscere significa essere in grado di valutare, scegliere, giudicare: tutti hanno il dovere di accettare l’investigazione, politica compresa, ma tutti hanno il diritto, politici compresi, di esibire il provvedimento del giudice che archivia l’indagine a loro carico per la mancanza di elementi idonei a sostenere un processo.

Questa è la base della civiltà giuridica di questa Nazione.

Questo è il motivo per cui i miei indagati non subiscono distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Grazie

Giuseppe Lombardo

  • bartolo |

    così parlano i veri pubblici ministeri. quelli che hanno a cuore la ricerca della verità e che per raggiungerla non sdegnano di indagare anche a favore dell’indagato; il più delle volte, tirato dentro le inchieste da errori sommari delle ff.oo. oppure, cosa avvenuta non di rado nella città del nulla che è rc, manipolando i pentiti a proprio piacimento e a piacimento del potere politico dal quale dipendono, appunto, i medesimi. ecco, a cosa serve la separazione e la diversificazione delle indagini e dei poteri in genarale. purtroppo signor pubblico ministero i suoi colleghi non hanno rispettato questo sacro principio di civiltà giuridica. e, in nome dell’oroismo antimafia, hanno fatto massacrare, ingannandosi e a volte ingannando anche i colleghi giudicanti, un’infinità d’innocenti.

  • CAMPACAVALLO |

    QUANDO AD UNA TERRA SEMPRE PIU’ CONFUSA SI AGGIUNGONO I PREMI E I DIBATTITI ESTIVI.
    Caro dott. Galullo
    sono giorni e giorni che leggo e rileggo il suo precedente post ma con tutta sincerità non sono riuscito a farmene un’opinione che possa dirsi tale se non quella ovvia, visto che la seguo da sempre, che lei non può avere nulla a che fare ne con gli avvocati ne con altri personaggi illustri o meno che siano, della città di Reggio Calabria.
    In tal senso la stima di sempre.
    Bene a parte questo, dicevo, non riuscivo a dare un senso a tutto questo finchè poi non è successo un fatto straordinario, finalmente, leggevo sui giornali finti e veri, della sua presenza all’ormai famoso premio letterario in ricordo di un uomo illustre della città di Reggio Calabria, come colpito da un fulmine mi son detto subito, finalmente il dott. Galullo è stato invitato nella città dei misteri per un premio, che aldilà dello stesso, voleva dire, che, finalmente questa città si accorgeva della sua opera per la quale era giusto darle il giusto premio ponendola in risalta e affinacandola al principe dell’anticasta nonchè suo collega dott. Stella.
    Ora, se non fosse che entrambi i personaggi sono illustri per il proprio lavoro e che non credo minimamente ai premi, ma solo ed esclusivamente al loro modo di fare e quindi al loro intenso lavoro, mi viene da dire ma, questa città si sta svegliando o sta tendando le classiche operazioni trite e ritrite di alzare nebbie e confusioni sempre più forti e invasive al punto che quello che dice il Dott. LOMBARDO altro non è che la conferma delle sue stesse riflessioni?
    Mah la città resta semrpe legata al mistero………………
    Concludo, dicendo che per questa città non basterebbero tonnelleate di matite bicolori per rappresentarne la sua vera ed effettiva forza devastatrice, il tutto perchè qualcuno, deve pur votare ed allora fumo e nebbia servono e sono serviti da sempre, per riciclare ogni sorta di nefandezza.
    Così come non credo a giornalisti valorosi e giornalisti meno valorosi, la storia si nasconde sempre anche e soprattutto sul criterio di cosa sia il significato della parola valoroso in una terra da sempre senza valore alcuno, se non quella della povera gente avulsa dal potere e vittima dello stesso.
    Con la stima di sempre, buon lavoro
    ed auguri per la matita bicolore ricevuta, sono certo che lei sa come usarla senza rigirarsela inutilmente e freneticamente tra le dita senza sconti per nessuno e dico nessuno.

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