Cari lettori l’onorevole del Pd Doris Lo Moro nella sua interrogazione a risposta orale al Presidente del consiglio dei ministeri e ai ministri dell’Interno e per la Coesione sociale, presentata il 10 luglio, ha descritto la situazione di abbandono in cui versano la società e la Giustizia in Calabria (per questo, però, rimando al post del 12 luglio).
Dopo avere concluso la sua descrizione, Lo Moro pone le seguenti domande al Governo:
1) è a conoscenza di quanto descritto?
2) ritiene doveroso garantire una specifica e maggiore attenzione alla situazione calabrese, contraddistinta per un verso da uno strapotere delle cosche ’ndranghetiste e per un altro da vistose carenze di risorse umane e di mezzi che non possono non condizionare la capacità di contrasto della criminalità organizzata e non da parte dello Stato?
3) alla luce delle operazioni di polizia che si stanno svolgendo a Lamezia Terme e nel territorio di Catanzaro, non ritiene, in particolare, di dover intervenire per il potenziamento dei mezzi e degli uomini a disposizione della macchina investigativa rispondendo alle istanze e agli appelli lanciati dalle procure negli anni?
4) non ritiene di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per il potenziamento degli organi giudiziari calabresi, ed in particolare di quelli del distretto di Catanzaro, che è il più esteso per territorio e il più carente sotto il profilo degli organici della magistratura e del personale amministrativo, con difficoltà operative difficili da arginare sotto il profilo delle risorse economiche? E per quale motivo si è ritenuto di sopprimere, irragionevolmente, ben quattro tribunali in Calabria?
5) non ritiene invece di riconoscere una specificità calabrese provvedendo ad un urgente potenziamento della presenza dello Stato in un territorio in cui il radicamento e l’oppressione della criminalità organizzata condizionano ogni realistica idea di sviluppo e di futuro, minando alla base la coesione sociale e la stessa tenuta democratica?
Possiamo dunque arrivare, ora, al difetto di analisi di Doris Lo Moro, spiegando perché le domande sono retoriche. Lo dico con una certezza: a lungo è stato anche il mio difetto di analisi e sappiate che “divoro” i temi della legalità, della criminalità organizzata e dell’economia criminale da ragazzo, da quando cioè mio padre mi metteva in mano i libri di Sciascia (solo per citare un nome che è storia della letteratura) e poi mi portava a discuterne con lui. A scuola, invece, non accadeva.
Come ve lo spiego il difetto di analisi di Doris Lo Moro? E’ semplicissimo.
I BLUES BROTHERS
Lo faccio ricorrendo a un frame che è entrato nella leggenda della cinematografia. Il dialogo tra Jake Blues (John Belushi) ed Elwood (Dan Aykroyd) dopo che Jake Blues esce di prigione. Con suo fratello Elwood decide di visitare l'orfanotrofio dove erano cresciuti, gestito dalle suore. Apprendono così che la Chiesa non vuole più pagare per il mantenimento e che anzi sta per espropriare le suore se non viene pagata una tassa entro 11 giorni. I fratelli decidono di racimolare il denaro a modo loro, rimettendo in piedi la banda musicale! Sono in missione per conto di Dio, ma si lasciano dietro una incredibile quantità di nemici e danni.
Ed ecco cosa accade nella Chiesa dove il reverendo Cleophus (il mitico James Brown) tiene la sua straordinaria predica cantata e ballata.
Reverendo Cleophus: Voglio… voglio raccontarvi cosa mi è capitato. Al mio risveglio, stamattina, ho udito uno strano rumore. Al mio risveglio, stamattina, ho udito uno strano rumore. Sapete che cos'era? Era uno scampanellio, di migliaia di anime perdute. E sto parlando delle anime di donne e di uomini che sono dipartiti da questa vita. Dove sono quelle anime perdute e tormentate che vagano invisibili sulla terra? Cercando la luce divina che ormai non troveranno? Perché è troppo tardi, troppo tardi sì!, troppo tardi perché possano vedere di nuovo la luce che un tempo hanno scelto di non seguire! Fratelli, io vi dico: non vi perdete quando arriva la vostra ora! Poiché il giorno del Signore arriva come un ladro nella notte! Amen! Siete pronti? Well, well, well… Let us all (All go back)
Elwood: Jake, ti senti bene?
Jake: La banda! La banda!
Reverendo: Tu hai visto la luce!
Jake: La banda! La banda!
Reverendo: Tu hai visto la luce!
Elwood: Quale luce?
Reverendo: Lui ha visto la luce!
Jake: Sì! Sì! Gesù Cristo ha compiuto il miracolo! Ho visto la luce! La banda, Elwood! La banda!
Elwood: La banda? La ba… La banda. La banda!
Reverendo: Ringraziamo Iddio!
Elwood: Che il Signore benedica gli Stati Uniti d'America! La banda! La banda! La banda! La banda! La banda!
HO VISTO LA LUCE
Anche io, egregio onorevole Lo Moro, ho visto la luce che Lei non ha ancora visto. Agnese Borsellino, vedova di Paolo, rammenta che il marito, passeggiando sulla spiaggia di Villagrazia di Carini – sapendo che la sua fine era scritta – le ricordò che aveva “appena visto in faccia la mafia”.
E dire che di mafiosi ne aveva visti ma quel giorno – il 17 luglio, due giorni prima di morire – ascoltò per ore le confessioni di Gaspare Mutolo su magistrati collusi, superpoliziotti che erano spie, avvocati, ingegneri, medici e commercialisti che erano al servizio dei padrini di Corleone.
Lì – credo di poter correttamente pensare – Borsellino, che all’epoca aveva 52 anni, vide la Mafia, vide la “luce” e vide anche chi, di lì a 48 ore, l’avrebbe spenta per sempre.
Ecco, egregio onorevole Lo Moro, da tempo ho visto anche io la luce (e sono ancora lontano dai 52 anni….). Sempre troppo tardi ma l’ho vista. Da quando ho capito che la Mafia (e non la mafia) è quella che descrive Mutolo nelle sue confessioni shock. Una Mafia che opera ad ogni latitudine e longitudine e che passa attraverso Cosa Nostra, ‘ndrangheta, Camorra e via di questo passo e che ha rafforzato – negli anni e a maggior ragione da quel maledetto 19 luglio 1992 – le tessere che compongono la cupola. La vera cupola Mafiosa. Non quella fatta solo di criminali sanguinari come Totò Riina, Bernardo Provenzano o
Francesco Schiavone o le cosche Condello, De Stefano o via di questo passo in Calabria, “pedine” nella scacchiera Mafiosa. Per non parlare del venditore di piantine o di quell’altro che vendeva meloni….Pezzi da Novanta!
Straccioni ecco cosa sarebbero tutti senza le spalle coperte dalla cupola mafiosa di Stato: straccioni che lo Stato stesso potrebbe spazzare via e ne sa qualcosa Lei, onorevole, che ha letto le carte dell’Operazione Medusa nella quale le estorsioni sono anche di poche centinaia di euro e un omicidio vale poche migliaia di euro. Ma davvero lo Stato e la società civile possono avere paura di chi estorce quattro cents!
C’è da chiedersi ancora: ma qualcuno davvero crede che a Lamezia comandano i Giampà? O non sarà che – per una parte – a dettare la legge è la cosca De Stefano di Reggio che qui ha antichi ricordi (periodi dorati di latitanza di alcuni suoi esponenti)? E non sarà che Lamezia – per altra parte – è una colonia dei Mancuso di Limbadi con la cosca Iannazzo a fare da ufficiale di collegamento? Già era così nel passato, figuriamoci ora con una cosca che dal narcotraffico mondiale attinge capitali illimitati capaci di comprare tutto e tutti: a partire dalla politica, per finire con la stampa, i professionisti e la magistratura. E capace anche di comprare – solo evocando la propria forza – il silenzio o, al contrario, il frastuono. Il frastuono dell’antimafia parolaia!
La Mafia a Lamezia (come a Roma, Napoli, Milano, Catania, Palermo, Venezia, Reggio o dove vuole Lei) non è fatta dai Giampà di turno ma di ben altro: a partire da pezzi marci dello Stato e delle Istituzioni. E badi bene che non mi interessa che ne siano o meno consapevoli: è così e tanto basta.
Il controllo del territorio che strangola la vita dei calabresi e di tanti italiani (che ancora fisiologicamente respirano ma non possono usare il fiato per gridare la propria ribellione contro gli oppressori) è funzionale a ben altro: traffici di ogni tipo (non certo il pizzo ai commercianti) che foraggiano e alimentano in una catena perversa gli anelli di questa catena criminale. Mafia di Stato ecco di cosa stiamo parlando onorevole. Di Sta-to!
Oggi i mafiosi siedono alla pari nel tavolo Mafioso. Sono co-protagonisti – e non più, al tempo stesso, registi e attori protagonisti – di copioni che vengono scritti di comune accordo nel tavolo della politica marcia, dello Stato colluso, della massoneria deviata, dei professionisti criminali, dei servizi segreti corrotti e corruttori, dei funzionari infedeli, dei giornalisti stolti o collusi e di quella parte di Chiesa silente. La ‘ndrangheta, Cosa Nostra, la Camorra, la Società foggiana, la Sacra Corona salentina e via di questo passo con quanto è nato e quanto nascerà tra le organizzazioni criminali, sono “un” ingrediente, non più “l’ingrediente”.
Ha dimenticato cosa ha detto il pm della Dna Carlo Caponcello nella relazione consegnata al suo capo Piero Grasso a fine 2011? Scrisse: “La ‘ndrangheta è una presenza istituzionale strutturale della società calabrese” (si veda in archivio il mio post del 10 febbraio 2012). In troppi lo hanno dimenticato eppure sono passati appena sette mesi!
LA MAFIA DI STATO
Pochi giorni fa, onorevole Lo Moro, il pentito ed ex killer di ‘ndrangheta Nino Fiume, che per sua ammissione ben conosce il Governatore della Calabria Ciccio-Peppe Scopelliti, ha reso deposizione nel corso del processo Meta, condotto da uno dei migliori (e isolati) pm calabresi, Giuseppe Lombardo.
Nella sua deposizione – e lo apprendo dalle puntuali cronache sul Corriere della Calabria di un giornalista, Lucio Musolino che, come chi scrive, è finito in un’incredibile informativa della Squadra mobile e dai Carabinieri di Reggio sulle “manovre” dell’informazione, oh yes – ha raccontato qualcosa di straordinariamente logico. Che solo chi finge non vuole vedere. «Reggio ha vissuto sempre di massoneria. – ha detto Nino Fiume – Mico Libri quando parlava dei massoni li chiamava i “nobili”. “Non li tocchiamo, diceva, sennò ci rovinano”. Il problema sono le logge deviate. È inutile cercare le liste dei massoni nelle prefetture. Piuttosto si deve trovare il famoso libro custodito in una banca e che fu rubato durante una rapina alla quale prese parte anche Giacomo Lauro. I De Stefano, quel libro, lo volevano a tutti i costi».
E poi ancora: «Una parte degli affari dei De Stefano è custodita in uno studio ai Parioli a Roma, vicino alla sede della Zecca di Stato. Una volta ci andai con Carmine De Stefano. Era una sorta di studio notarile e il dottore che ci accolse aveva i guanti bianchi. Carmine De Stefano aveva il timore che qualcuno scoprisse la sede di quello studio legale. Io non entrai ma mi accorsi di scritte in russo o in polacco, non ricordo bene. Ricordo, invece, che un giorno l’avvocato Tommasini mi disse che Peppe De Stefano faceva società con persone e in luoghi inaccessibili finanche al Presidente della Repubblica».
Per Fiume è sempre la massoneria a giocare, ieri, oggi, domani, un ruolo chiave: «È un livello superiore. – spiega Fiume – Sono persone che si aiutano a patto di non entrare in contrasto con le istituzioni. Un magistrato da noi si avvicina con amicizia o lo si delegittima». Un magistrato si avvicina con amicizia altrimenti è fottuto: da brividi!
E’ il secondo uomo di ‘ndrangheta che, nel giro di pochissimi mesi, rivela che la “massoneria” è un livello superiore. Il primo è stato Antonino Belnome (si veda il mio post in archivio del 19 aprile). E poi c’è stato il vecchio caro Giuseppe Commisso, ‘u Mastro” (avercene!), che al nipotino che voleva scalare la massoneria disse di tenersi alla larga (si veda il mio post in archivio del 12 giugno). Ma si sa, il problema del passaggio generazionale anche in famiglia è difficile da gestire. I giovani scalpitano e si adeguano al mondo che cambia, questo ‘u Mastro non lo poteva capire.
E quel riferimento al pm Lombardo di Fiume sui magistrati “amici”, onorevole Lo Moro? Fantastico. Non veritiero. Nossignori: vero. Lei sa, onorevole, Lei che è stato magistrato, quanti magistrati e quanti giudici sotto la toga indossano il grembiulino? Lo sa, vero? E lei sa quanto la massoneria è in grado di decidere carriere, stroncarne altre, far salire e scendere rapidamente magistrati dal tetto del mondo agli inferi? Lo sa vero? Si che lo sa perché quel sistema ha provato anche lei a combatterlo ed era li che doveva accorgersi che lo Stato non avrebbe mai risposto ad alcuna domanda presente o futura.
La nuova Mafia di Stato è l’evoluzione logica – e non ancora completata – di quanto il 25 aprile 1865 il prefetto di Palermo Filippo Antonio Gualterio scrisse nella relazione che inviò al minist
ro degli Interni quando per la prima volta comparve la magica parola: mafia. O di quanto scrivevano Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti nella “La Sicilia nel 1876, Firenze, Barbèra, 1877. Vol. I. Leopoldo Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia. – Vol. II. Sidney Sonnino, I contadini in Sicilia”. Come ama ripetere il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, uno dei magistrati più preparati d’Italia, il degno sostituto di Piero Grasso alla Dna, in qui volumi c’è tutto ed è già descritto cosa era e cosa sarebbe stata la Mafia con la M maiuscola.
Per questo la politica alla quale lei si rivolge (non questo Governo, si badi bene, ma la politica in generale) cara onorevole Lo Moro e alla quale nel passato in tanti si sono rivolti senza avere risposte ma solo promesse, non potrà mai rispondere alle sue domande.
Questa politica aprirà la bocca e darà fiato, ma dare risposte è altro. La risposta è quella che una madre dà al proprio figlio quando gli chiede: “Mamma mi ami?” “Si”.
Quel “si” è “la” risposta perché contiene un mondo di fatti e non di promesse, tanto è vero che dopo non bisogna aggiungere nulla, solo “vivere” quel “si” materno giorno dopo giorno. Una protezione eterna. Una benedizione. Quel “si” è autoesplicativo.
Lei ha chiesto a chi rappresenta il popolo, cioè vale a dire tutti noi, collettività fatta di coscienze civili che abbracciano da Bolzano a Pantelleria questo maledetto Paese: “Ami (dunque amiamo) la Calabria?”. La risposta sarà, ancora una volta: “si”.
Ma i fatti dimostreranno – ancora una volta – il contrario. E sa perché? Perché lei – e tanti prima di lei – si è rivolta ad una madre snaturata (che ha cioè smarrito la propria natura) e che – contro natura – divora o delegittima i propri figli per continuare a garantire un equilibrio mortale per la società che – prima di Borsellino – ha travolto giudici, magistrati, sindacalisti, sacerdoti, docenti, giornalisti, avvocati, amministratori giudiziari, Politici, investigatori e cittadini testimoni di vita.
Una “ragion di Stato” sulla pelle dello Stato.
Per questo non so se oggi Giovanni Falcone risponderebbe ancora che “la mafia è un fenomeno umano e come tale può avere un inizio e una fine”. Vede onorevole Lo Moro, la Mafia di Stato non potrà avere fine perché anche la procreazione è un fenomeno umano, parafrasando Falcone. E questo Stato mette al mondo a getto continuo figli degenerati che inquinano la vita sociale, politica ed economica. Oggi più di ieri. C’è la fila per far parte dello Stato deviato!
Vedrà anche Lei la luce, onorevole Lo Moro, e riconoscendola come fu per Jake Blues, capirà che è così.
Arrendersi? No ma essere consapevoli che la Mafia ha sconfitto lo Stato perché ne è diventata parte preminente e vitale e con il suo ambito carico di morte e degenerazione.
2 – the end (la precedente puntata è stata pubblicata il 12 luglio)
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