Da alcuni giorni sto analizzando l’Operazione Medusa con la quale la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha inferto un durissimo colpo alla cosca Giampà di Lamezia Terme, capoluogo mancato ma virtuale della Calabria.
C’è un aspetto di questa indagine davvero, davvero interessante ed è quello relativo alle considerazione e delle riflessioni che – all’interno dei locali lametini dell’associazione antiracket Ala – alcuni imprenditori intercettati fanno con riferimento alla comunità cinese che lavora in Via del Progresso.
Quarantadue minuti in cui alcuni associati sostengono che i cinesi "paghino" (l'estorsione) alle cosche lametine, mentre altri sostengono di no in quanto evidentemente "coperti" da qualcuno interno alla loro comunità molto potente.
Gli imprenditori parlano delle attività commerciali cinesi a Lamezia Terme e del fatto che i guadagni finirebbero in una sorta di "cassa comune" e ed altri particolari, tuttavia non suffragati da racconti concreti.
Ora da modestissimo analista quale sono vorrei dare una chiave di lettura che pende verso una banalità sconcertante: i cinesi sono troppo ma troppo preziosi per i traffici illeciti delle cosche calabresi che contano, tra le quali la famiglia Giampà è inserita a pieno titolo. Per questo l’occhio di riguardo rientra nella logica delle cose (meditate commercianti di Lamezia, meditate).
La premessa parte dalle parole della consigliera Maria Vittoria De Simone, sostituto procuratore nazionale antimafia che scolpisce nella relazione di fine 2011 consegnata al suo capo Piero Grasso le seguenti riflessioni: “…particolare attenzione meritano i canali di ingresso della merce proveniente illegalmente dalla Cina, rappresentati prevalentemente da porti con terminal per container come Napoli, Salerno, Gioia Tauro ed ancora i porti pugliesi e siciliani per l’elevato rischio di collegamenti con la criminalità organizzata autoctona che opera su quei territori”.
E visto che l’ignoranza è profonda ricordo l’indagine “Maestro” condotta dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, con il prezioso contributo dell’Agenzia delle Dogane, volta a disvelare le infiltrazioni di natura mafiosa nell’ambito dell’area portuale di Gioia Tauro, con particolare riferimento ai connessi fenomeni criminali transnazionali che coinvolgono la ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro e la mafia cinese, entrambe interessate all’immissione nel mercato comunitario di ingenti quantitativi di merce sottofatturata, proveniente proprio dalla Repubblica popolare cinese.
LA FRATELLANZA
Dunque – è inutile perdersi tra troppi giri di parole – Gioia Tauro è uno snodo vitale per i traffici che vedono le cosche della Piana e la mafia cinese alleate.
Le cosche di Lamezia – per quella proprietà transitiva dell’eguaglianza che nella criminalità organizzata diventano legge nel nome degli affari – trovano una sponda necessaria nelle consorelle della Piana e questo motivo le spinge – verosimilmente – a chiudere un occhio nei confronti dei cinesi. La stessa cosa non pensate voi che accada a Rosarno, città dove i cinesi vivono allegramente e hanno praticamente invaso con i loro negozi la periferia?
E perché cito Rosarno? A caso? A dimostrazione di quanto ignorante sia la mia riflessione riporto testualmente (almeno l’incapacità di analisi è condivisa) il titolo che gli stessi pm antimafia di Catanzaro danno alla “Fratellanza con la famiglia Bellocco di Rosarno”
Ebbene sì. Gli inquirenti scrivono che la cosca Giampà è pienamente inserita e come tale rispettata nel generale contesto criminale della `ndrangheta calabrese e questo dato emerge sia dai collegamenti con le cosche Iannazzo e Anello, sia dal forte legame esistente tra Francesco Giampà il "Professore", il figlio Giuseppe, e la famiglia Bellocco di Rosarno (Reggio Calabria) inserita anch'essa nel panorama `ndranghetistico, come risulta da molti provvedimenti giudiziari.
La “fratellanza” (ma guarda tu che strano termine che più o meno consapevolmente usano gli inquirenti!) tra Giampà e Bellocco è un elemento fortemente indiziario dell'esistenza e della operatività attuale della cosca Giampà, che consente di comprendere le dinamiche, i rapporti di forza e le dimensioni del sodalizio oggetto del presente procedimento. Tali rapporti emergono delle dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia.
Fra le tante riportate nell’ordinanza ci riporto quella del 4 gennaio 1996 del collaboratore di giustizia Massimo Di Stefano che, nell'indicare i membri della famiglia dei Notarianni quali uomini di 'ndrangheta, asseriva che gli stessi erano stati fidelizzati, all'onorata società, dalla copiata della potente cosca dei Bellocco di Rosarno. In effetti il collaboratore di giustizia Di Stefano, durante l'interrogatorio così si espresse :”… omissis…con i Bellocco ed in particolare con Bellocco Carmelo, Umberto ed altri componenti della cosca, Franco Giampà aveva vecchia amicizia e li adoperava per i rimpiazzi che faceva a Nicastro: a esempio buona parte dei Notarianni portano in copiata i Bellocco mentre i contatti con quelli di San Luca derivavano da Cerra Nino fin dal tempo dei sequestri di persona e si erano consolidati anche attraverso il circuito carcerario”.
Non è di poco momento il collegamento della cosca Giampà con una potente famiglia della `ndrangheta reggina – concludono gli inquirenti nell’ordinanza – “com'è noto, sulla base dei dati ricavabili dall'esperienza giudiziaria, ritenuta la mamma di tutte le cosche”.
A presto con il seguito
3- to be continued (le prime due puntate sono state pubblicate il 2 e 3 luglio)
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