Il Consorzio Goel aprirà a Gioiosa Ionica uno sportello di assistenza legale contro il clientelismo

Questo mio servizio è stato pubblicato sul Rapporto Calabria uscito con il Sole-24 Ore mercoledì 28 marzo. Lo ripropongo – integrato da alcune dichiarazioni che non ho potuto inserire nell’articolo – per quanti avessero perso l’opportunità di leggerlo sul quotidiano.

A gennaio è stata semidistrutta, tre mesi dopo la trattoria Amal (“speranza” in lingua araba) riaprirà i battenti a Caulonia (Rc). Sarà un laboratorio di inserimento lavorativo per gli immigrati rifugiati politici presenti nei progetti di accoglienza: servirà piatti arabi e calabresi e diffonderà cultura locale, africana e araba. La struttura è gestita da Goel (il nome ha radici bibliche e vuol dire “il liberatore”, “colui che dà riscatto”), il Consorzio sociale nato nel 2003 come frutto di un percorso decennale di impegno della Pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Locri-Gerace.

Quell’attentato non ha scoraggiato il Consorzio. Anzi. Gli ha dato la forza per rilanciare. Il presidente di Goel, Vincenzo Linarello, sta già pensando a quelli che saranno i prossimi passi di un consorzio le cui coop nella Locride spaziano dai servizi socio-sanitari al turismo ecosostenibile, dall’accoglienza ai servizi ambientali, dalla formazione all’artigianato, dal commercio equo e solidale alla moda con un marchio, Cangiari, presente anche con un proprio negozio a Milano. “Le culture biologiche stanno andando bene – spiega Linarello – e riusciamo a dare prezzo equo ai produttori che hanno detto no alla ‘ndrangheta. Noi riusciamo a garantire un prezzo non inferiore a 40 centesimi al chilo contro i 5 centesimi che dà la ‘ndrangheta: l’antimafia deve essere conveniente

Per Linarello il clientelismo e la corruzione è alla radici del malessere. “Oltre che da una nostra convinzione – spiega – nasce su una ricerca in 600 famiglie della Locride e abbiamo elencato una quarantina di servizi, chiedendo quello che a loro giudizio mancava. Ebbene: è stato un grido contro il clientelismo e per questo etro aprile a Gioiosa Ionica apriremo lo sportello anticlientelismo che servirà la Locride come ufficio legale contro i soprusi della pubblica amministrazione”.

Don Pino De Masi, vicario generale della Diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, con le sue cooperative di lavoro aggiunge tessere ad un puzzle di resistenza. “Le coop aiutano moltissimo – dichiara – e quando arrivano centinaia di ragazzi a chiedere lavoro, la cosa più bella è che cercano un lavoro etico e legale che produca sviluppo in un territorio dove prima interessava creare solo ricchezza per pochi”. Sui motivi per i quali vale la pena restare in questa terra, Don Pino De Masi non ha dubbi. “Nel 75 quando parlavo di legalità a San Ferdinando– dice d’un fiato – mi attaccavano i manifesti contro. Oggi, a Gioia Tauro, invece, sono i giovani a organizzare le manifestazioni contro le vittime di lupara bianca. Sono loro il nostro futuro e quando li incontro dico: “quando tornate a casa disubbidite ai genitori che vi diranno di non andare appresso al prete””.

De Masi sa che cosa significa vivere in Calabria. “Siamo in guerra. Facciamo uno, due passi avanti e uno indietro – ammette – ma sono convinto di una cosa: la Calabria ha bisogno di tutto ma soprattutto dei calabresi. Intanto perché hanno diritto, oggi negato, a vivere nella propria terra e poi perché, come diceva Corrado Alvaro, questa terra ha bisogno di essere parlata e infine perché la passione per il cambiamento nessuno può averla più dei calabresi”.

Giovanni Ladiana di ReggioNonTace, movimento nato il 3 gennaio 2010, giorno in cui fu messa la bomba presso gli uffici giudiziari di Reggio, è tra quelli che sulla resistenza ha creato adesione. “Vale la pena restare in Calabria – afferma – perché quando c’è buio pesto è necessario che qualcuno si assuma la responsabilità di non spegnere l’ultima candela. I passi in avanti in questa terra non sono quelli dei numeri ma il fatto che ci sono persone normali che pur provenendo da diverse associazioni, esperienze di volontariato, ideologie e spiritualità, hanno deciso di metterci la faccia personalmente senza restare solo a guardare”. Interessante l’ultimo passaggio: “Siamo e rimaniamo movimento – spiega – perché non vogliamo essere tirati per la giacchetta dai partiti. Le associazioni vengono spesso finanziate dalla politica e noi non vogliamo cadere in tentazione”.

Aldo Pecora è il fondatore e il presidente del movimento Ammazzateci tutti nato dopo un altro evento tragico: l’uccisione il 16 ottobre 2005 a Locri del vicepresidente del consiglio regionale calabrese Francesco Fortugno. Lui è partito dalla Calabria, giovanissimo, stufo di vedere mafiosi e amministratori a braccetto, ma è ritornato anche se l’impegno del movimento lo porta in giro per l’Italia a parlare, nel bene e nel male, della sua regione. Perché ritornare? “Vale la pena – racconta – quando giri per il mondo e ti rendi conto che i calabresi sono a capo di multinazionali o sono grandi primari mentre in Calabria i gruppi stranieri non arrivano e le Asl sono sciolte per mafia. Allora ti senti un codardo e senti che devi fare qualcosa per la tua terra. Io ci voglio rientrare e voglio assicurare un futuro ai miei figli migliore di quello che mi ha lasciato la mia famiglia. Dovremmo citare i politici per danni, con i massoni e le lobby che governano, come un cancro, la Calabria“.

Già: una class action di massa contro questa cupola sarebbe un’ottima idea.

r.galullo@ilsole24ore.com

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