Tutto sommato possiamo dire che sono trascorse poche ore dall’ennesima operazione anti ‘ndrangheta che a Milano ha portato persino all’arresto di tre finanzieri che avrebbero favorito l’ascesa economica della famiglia Valle-Lampada.
Per la Commissione antimafia – che ha appena concluso la sua relazione sulle infiltrazioni nell’economia – è evidente che la 'ndrangheta mostri, ovunque si estenda, grande capacità mimetica e di rapido adattamento ai luoghi. Pur trasferendo nel mondo l’originario modello di relazioni sociali (gli 'ndranghetisti non si affidano a referenti locali, ma stanziano sui territori colonie di affiliati che gestiscono direttamente gli affari delle 'ndrine) e pur mantenendo vivissimi rapporti con la terra d'origine e con le cosche di derivazione, sanno allo stesso tempo impiantare efficacemente nuovi sistemi di relazione, anche in armonia tra ‘ndrine avversarie in Calabria o con associazioni concorrenti.
A questo proposito la Commissione antimafia sottolinea come la magistratura e le forze di polizia milanesi abbiano riferito dell'esistenza di un vero e proprio patto di non belligeranza tra ‘ndrine tradizionalmente concorrenti, ovvero tra ‘ndrine ed altre mafie, basato sul rispetto delle singole fasce d'influenza e sulla collaborazione in singoli rapporti di malaffare. Purché si facciano affari, e affari lucrosi, si preferisce farli tutti insieme e senza contrastarsi.
È poi certo che, consistendo l'interesse principale delle mafie a Milano nel fare affari, nell'esercitare forme di investimento e riciclaggio, sia più sfuggente il tradizionale segno caratteristico del controllo del territorio, individuato normalmente nell'esercizio della violenza e dell'intimidazione: le mafie (e soprattutto la 'ndrangheta) a Milano non sparano, non fanno attentati, non danno nell’occhio.
Queste riflessioni hanno offerto il destro alla Commissione per polemizzare a distanza (di tempo e chilometri) con il prefetto di Milano Gian Valerio Lombardi che ebbe a dire, ormai quasi un anno fa, che prima di parlare di mafia a Milano bisognava andarci con i piedi di piombo. A molti sembrò una teoria “negazionista”, lui si affrettò a dire che era stato male interpretato. Morale della favola, il presidente della Commissione Beppe Pisanu, suppongo pesando le parole almeno diecimila volte, scrive che “sono emerse perplessità sull'interrogativo, espresso nella relazione del prefetto di Milano alla Commissione, nel quale lo stesso si chiedeva se possa effettivamente dirsi che a Milano esista la mafia. La risposta non può che essere positiva, come testimoniato dal lungo e considerevole elenco di operazioni antimafia che le Forze di polizia hanno compiuto in zona e che lo stesso prefetto ha comunicato”.
Una presa di distacco nettissima che prosegue anche in ciò che si legge dopo: “Le mafie a Milano non sparano (o, più esattamente, lo fanno meno o facendo meno rumore) ma hanno allo stesso modo una forte presenza di controllo del territorio. Come ha riferito il capo centro della Dia, le imprese mafiose non hanno, spesso, bisogno della violenza: è sufficiente la "spendita" del nome mafioso, è sufficiente dire chi si è e da dove si proviene, per ottenere ciò che si chiede. E quel che si chiede è di creare ricchezza, immettendo nei circuiti legali denaro illegalmente acquisito”.
Per ora mi fermo qui.
4 – to be continued (le prime tre puntate sono state pubblicate il 26 e il 27 gennaio)
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