La camorra distribuisce soldi e benessere: leggete allora la favola “delle lumache e delle nocelle”

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Uno dei miti da sfatare è quello secondo il quale le mafie fanno arricchire molti. Già nel post di ieri (rimando all’archivio) ho trattato della distorsione del mercato e del sovrapprezzo sul calcestruzzo che fa gonfiare il portafoglio dei soli Casalesi.

Oggi, proseguendo sulla stessa falsariga, racconto quella che potrebbe chiamarsi – se non fosse così tragica – la favola delle lumache e delle nocelle, tratta dall’ordinanza “Il Principe e la (scheda) ballerina” della Dda di Napoli con la quale il 6 dicembre ha indagato 73 persone tra le quali imprenditori, funzionari, clan e politici del calibro dell’onorevole Nicola Cosentino per il quale è stato chiesto l’arresto, sospeso in virtù della qualifica parlamentare. Al centro della vicenda c’è il centro commerciale Il Principe, che avrebbe dovuto essere costruito proprio nella terra di Gomorra. Un centro commerciale che, secondo i pm. sarebbe poi servito per riciclare una parte delle immense fortune dei clan Russo, Schiavone e Bidognetti sia nella realizzazione delle opere necessarie per la costruzione del centro commerciale, sia nella acquisizione della totalità o di parte delle attività commerciali e dei servizi (ristorazione, parcheggi, pulizia eccetera).

Il 29 gennaio 2010 Marianna Piccolo, sorella del collaboratore di giustizia Raffaele Piccolo parla con i magistrati della Dda di Napoli. Ecco ciò che dichiara: “Siccome non avevo molti soldi per arrotondare mi ero messa con mio cognato Mario Giangrande a vendere le lumache, cosiddette “marruzze”. Mi vide Laiso il quale si fermò a bordo della sua autovettura, non ricordo il tipo di macchina anche perché non sono esperta, uscì dalla macchina e mi disse “ma che sta combinando tuo fratello” in tono di rimprovero. A questo punto gli dissi che io non ci potevo fare nulla e che non era colpa mia se ero sua sorella. Laiso mi contestò il fatto che ero andata in protezione. Gli replicai che invece ero stata da mia madre nelle Marche, dove stava agli arresti domiciliari  per convincerla a non andare in protezione ma con esito negativo perché poi mia madre aderì al programma di protezione. Feci notare al Laiso che  stavo lì per guadagnarmi da vivere  vendendo le lumache. Al che Laiso forse per aiutarmi economicamente si comprò un chilo di lumache e invece di pagarle sette euro me ne diede dieci”.

Insomma, fare la sorella del pentito non conviene proprio e vendere le “maruzze” è un modo come un altro per sbarcare il lunario e trovarsi, involontariamente, di fronte alla compassione di chi allunga qualche euro in più per far campare la gente. Ma c’è un'altra testimonianza, sempre della stessa Piccolo, che mette ancor più in evidenza la forza intimidatrice e criminale dei Casalesi e, allo stesso tempo, le condizioni di vita. Eccola: “…Ebbene il Pezzella diceva  a questo suo amico che era un cretino perché andava a lavorare e si ammazzava di fatica. Gli diceva che poteva fare come lui che stava con  la famiglia Schiavone per cui faceva una bella vita senza doversi stancare. Sempre il Pezzella diceva a questo suo amico a proposito della famiglia Schiavone che anche se c’era qualche infame che si pentiva e se ne andava, la stessa  si ingrandiva sempre più perché riusciva ad ottenere l’adesione continua di nuovi affiliati. Siccome questo suo amico mi sembrava di origini extracomunitarie perché era molto scuro di pelle anche se non era un negro, il Pezzella gli disse che gli Schiavone accettavano anche persone che non erano di Casal di Principe o addirittura non italiane. Era chiaro che con riferimento agli infami Pezzella voleva insolentirmi facendomi pesare che io ero la sorella di un collaboratore di giustizia mentre lui era rimasto fedele alla famiglia Schiavone. Io tuttavia non raccolsi la provocazione, presi le nocelle e me ne andai…”.

Lumache e nocelle, c’è altro da aggiungere? Non credo.

r.galullo@ilsole24ore.com