Operazione Infinito: i vasi comunicanti tra la politica del sud e del nord nelle strategie delle mafie

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Credo che la lettura dell’ordinanza Infinito debba evidenziare – aldilà della cronaca – letture “sistemiche”. Una di queste (tante) letture di sistema riguarda senza ombra di dubbio la facilità con la quale il mondo del gioco d’azzardo (legale) è preda degli appetiti mafiosi. Mi riserverò di tornarci con maggiore calma per un banale motivo: non è una novità (sono sempre di più le indagini da Nord a Sud che lo testimoniano).

La lettura sistemica che maggiormente mi interessa è quella sull’inquinamento o, quando tale non è perché non processualmente provato, sulla permeabilità del voto alle sirene mafiose. Una fragilità sistematica che se al Sud è ormai Costituzione immateriale, al Nord ci si ostina ancora a vedere come eccezione, come qualcosa che può accadere ma non è la regola.

Ancora la vulgata vuole che il mondo della politica del nord e quello della politica del sud siano qualcosa di diverso e di inconciliabile. Due mondi avulsi in cui ciò che accade nell’uno non è in grado – rectius: non può – influenzare ciò che accade nell’altro.

Nulla di più falso. Lo vado scrivendo e dicendo da anni ma quando l’analisi di un giornalista si sposa con quella di un pool di magistrati come quello capitanato da Ilda Boccassini, ci si sente almeno in compagnia. Una compagnia di persone che – a volte si ha la sensazione – conducano battaglie, queste sì, avulse dal contesto sociale italiano dove il culo di una ballerina o il lustrino del reverse della giacca di Fiorello riescono a offuscare qualunque sforzo di innalzare la legalità come priorità assoluta del Paese.

Nell’ordinanza Infinito il Gip Giuseppe Gennari scrive testualmente a pagina 65 – dopo aver a lungo discettato sulla diretta (e fallita) discesa in campo in politica, nelle fila dei “Riformisti”, nel giugno 2009 di un elemento della famiglia Valle a Cologno Monzese – che “come dimostra l’intervento interessato della famiglia Giglio, la elezione “di su” interessa anche “di giù”. Questa è una caratteristica che si potrà riconoscere anche a proposito delle altre relazioni politiche. Non esistono affari del nord e affari del sud. Quello che accade in Lombardia viene seguito con attenzione anche a Reggio perché comunque contribuisce all’incremento complessivo della forza del sodalizio”.

In questa teoria dei vasi comunicanti della politica marcia c’è il presente e il futuro della politica italiana. Solo che si preferisce non vederla.

Scrive ancora Gennari: “Per i Lampada-Valle è molto più utile avere un proprio uomo tra gli amministratori locali, che può favorire pratiche urbanistiche o commerciali, affidare appalti e quant’altro, piuttosto che conoscere un qualsiasi onorevole senza peso effettivo nella gestione quotidiana della cosa pubblica. Questo, ovviamente, non esime personaggi abituati a intrecciare relazioni dal cercare padrini politici che possano spingere la candidatura”.

Ora – piaccia o non piaccia ai partiti, che continuano a gridare verginità anche quando farebbero meglio a tacere – la “trasversalità” dell’inquinamento o comunque della permeabilità al voto mafioso è ormai patrimonio comune a tutti.

L’ordinanza ne dà ampio riscontro soprattutto – oserei dire – perché pur non essendoci risvolti penali, quei passaggi sono testimonianze del malcostume che ormai imperversa.

Nessuno può tirarsi indietro. A pagina 224 c’è un dialogo illuminante di Giulio Lampada che il 18 novembre 2007, in piena battaglia per le elezioni amministrative si dà da fare per la raccolta di firme a sostegno delle liste elettorali – ovunque sul territorio nazionale, si badi bene – per Forza Italia ma anche per la Lega Nord. Ma leggete come conclude Gennari: “L’elenco dei politici in rapporti diretti con i Lampada è già nutrito e preoccupante. Ma se si guarda al numero di politici, anche di alto standing, menzionati da Lampada come soggetti ai quali potere arrivare o dei quali potere ottenere il supporto per le più svariate iniziative, il quadro si fa impressionante”.

Non vi basta? Volete un altro esempio? Lo stesso Lampada, l’11 marzo 2008 è al telefono con Tarcisio Zobbi, politico emiliano di area di centro, già comparso, si legge nell’ordinanza nell’indagine Meta e comunque non indagato. E’ stato segretario provinciale di Reggio Emilia della Dc e successivamente membro del Ccd e dell’Udc.

Questa telefonata, riporto fedelmente, “faceva emergere l’impegno e la forza di intermediazione, assunti dalla famiglia Lampada, che attraverso Giulio garantiva il suo intervento per sostenere politicamente la candidatura dello Zobbi alle prossime elezioni nazionale. In particolare Giulio Lampada, alla notizia della candidatura del Zobbi nel collegio unico della Regione Emilia Romagna, oltre ad apparire molto entusiasta riferiva “vedremo ora in Emilia Romagna qualche indirizzo…vediamo di tirarlo fuori di qualche…di qualche amico di qualche compaesano…di qualche residente vediamo”, dimostrando così l’influenza che la famiglia Lampada era in grado di esercitare sui conterranei residenti nelle regioni del Nord Italia derivante dalla nota appartenenza alla cosca Condello”.

Ma c’è di più, a testimonianza di come tasselli che per noi rappresentano monadi impazzite, in realtà nella testa delle famiglie mafiose rappresentano lucide tessere di un puzzle che solo loro sono in grado di costruire, seguire, smontare e rimontare a piacimento. A pagina 355 il giudice ricostruisce che “la triangolazione con Zobbi è estremamente semplice e  lineare. Lampada promette aiuti a Zobbi per la sua campagna elettorale alla Camera. In cambio Zobbi deve favorire, all’interno del suo partito o comunque presso soggetti a lui vicini politicamente, la eventuale candidatura di Enzo Giglio (arrestato nell’operazione Infinito ndr). Questa operazione avrebbe portato a due risultati: dare una carriera politica al sodale Giglio e guadagnarsi la gratitudine dell’aspirante deputato. A differenza del caso Alati e Sarra, Zobbi non è un conterraneo di Lampada e con questi non ha la stretta confidenza che hanno gli altri due. Quindi non è possibile dire con certezza che Zobbi sapesse con chi aveva a che fare quando trattava con Lampada. Tuttavia viene spontaneo chiedersi dove Zobbi pensava che potesse prendere i voti quell’imprenditore calabrese trapiantato a Milano e con tante bune conoscenze a Reggio”.

Intessere una ragnatela – invisibile, assolutamente invisibile ai comuni mortali e nella quale tentare prima o poi di far cadere le vittime – è una filosofia di vita per le organizzazioni mafiose che, non a caso, influenzano e sono influenzate dai riti della massoneria. Se preferite, con un immagine più immediata, possiamo anche parlare di pesca a strascico sempre più in mare aperto: nella rete restano pesci piccoli e pesci grossi. Molti sfuggono. A molti fa piacere restare impigliati. Sempre di più, comunque, in quella rete entrano. Anche inconsapevolmente, come accade all’ex assessore di Como Pasquale de Feudis che nel 2008, candidato al Parlamento, ex coordinatore regionale dell’Udeur e ora nel Pd, diventa l’oggetto del desiderio del solito Giulio Lampada che smuove le sue conoscenze politiche milanesi per arrivarci ma, a quanto ha dichiarato lo stesso De Feudis alla Provincia di Como alcuni giorni fa, non c’è riuscito.

A presto con una nuova lettura sistemica dell’ordinanza Infinito della Dda di Milano.

r.galullo@ilsole24ore.com

  • bartolo |

    beh …galullo,
    ma di cosa parliamo? …vogliamo far credere agli italiani che il presidente giglio che fino all’altro ieri comminava ergastoli nella sua veste di presidente di sezione della corte di assise e sequestrava beni, per centinaia di milioni di euro ai p.d.c., in quella di presidente del tribunale di sorveglianza, sia il cervello della ndrangheta? … ma dai galullo…lei continui pure a scrivere e ad acquisire lettori sbalorditi per cotanto romanzo criminale. la verità, haimè, povera italia, è però ben diversa dalla letteratura in voga dei professionisti dell’antimafia; appunto, alla giglio che, nella sua triplice veste di professionista antimafia, era solidale con i suoi colleghi inquirenti della procura reggina vittime di vili e feroci attentati dinamitardi. caro galullo, sono grato allo stato “mafioso” italiano che mi ha riconosciuto mafioso ed in questa veste, quindi, facendomi peregrinare da un carcere all’altro mi ha consentito di conoscere i casalesi, i corleonesi, i rosarnesi e, infine, i milanesi. ho conosciuto il valle francesco capostipite dell’omonima famiglia, il pelle che ha monopolizzato a se i poteri di gestione dell’università mediterranea di reggio calabria e, tanti altri, che non hanno la più pallida idea di cosa siano veramente le mafie. ripeto, lo sanno bene, invece, i mafiosi che hanno bivaccato e bivaccano nel ministero degli interni, nella magistratura e nelle istituzioni di quella che era la nostra repubblica democratica basata sul lavoro. galullo, crede veramente che in venti anni di persecuzioni antimafia non abbia cercato di sapere di quale morte sarei morto? …ho indagato questa organizzazione criminale fin dentro il suo midollo osseo. sa dove ho percepito un minimo di materia grigia tra i suoi affiliati? soltanto in quelli che da essa hanno preso le distanze già da decenni perché avevano previsto o erano già consapevoli che i preposti alla loro lotta erano i nuovi mafiosi. a questi si sono arresi, perché, chi ha la vocazione mafiosa non concepisce il senso alto della giustizia. esattamente come oggi fa lo stato “mafioso” italiano.

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