Intervista a Giancarlo Caselli in tempo di crisi economica: “Nessuno ha la liquidità della ‘ndrangheta”

Tra un impegno giudiziario e uno nella società civile, il capo della Procura di Torino, Giancarlo Caselli, trova il tempo di commentare l’evoluzione della lotta alla ‘ndrangheta in Piemonte, regione che a tutti gli effetti può essere ormai definita una delle più pericolose succursali della casa madre calabrese.

Trova anche il tempo per puntualizzare che non è tutto ‘ndrangheta quel che si muove nel campo della criminalità organizzata in regione.

Procuratore qual è il significato di queste due prime condanne che giungono dopo l’operazione Minotauro?

La premessa, non rituale, è che non conosciamo ancora le motivazioni ma soltanto il dispositivo che però parla chiaro: ci sono affermazioni di responsabilità per i reati contestati dalla Procura. L’impianto dell’accusa ha tenuto in maniera robusta ed è stato confermata completamente la bontà del lavoro svolto sull’asse Reggio Calabria-Torino. Non dobbiamo infatti dimenticare l’ottimo lavoro svolto dai colleghi calabresi. In un caso c’è stato perfino un inasprimento di pena rispetto alle richieste della pubblica accusa anche se mi piace sempre ricordare che la nostra Costituzione prevede tre gradi di giudizio.

Il rapporto tra politica e ‘ndrangheta viene evidenziato in maniera limpida non soltanto nelle ordinanze di custodia cautelare ma anche nelle successive audizioni tenute con la Commissione parlamentare antimafia. La sensazione è che quest’asse sia sempre più forte anche nel Nord Italia.

L’indagine è aperta. Abbiamo registrato contatti di vario tipo tra soggetti che nell’ipotesi di accusa sono esponenti della ‘ndrangheta e politici o aspiranti amministratori con riferimento soprattutto a campagne elettorali. Per le elezioni europee ma anche per quelle provinciali e comunali. Una tendenza che abbiamo registrato in vari centri e ad Alessandria l’inchiesta ha perfino coinvolto un consigliere comunale in carica. E’ un fatto noto che la prefettura ha ordinato l’accesso agli atti dei Comuni di Rivarolo Canavese e Leinì e questo vuol dire solo una cosa: che ci sono elementi concreti da approfondire. Sembrerebbe esserci un humus di interesse che ha valore per la stessa prefettura di Torino.

Colpisce che molti tra i personaggi arrestati siano rimasti sorpresi del fatto che con questa operazione non venissero colpiti solo i comportamenti criminali ma anche i patrimoni frutto, secondo l’accusa, di reati. Al Sud è storia, forse al Nord può rappresentare una novità per gli stessi criminali.

Con questa operazione ma anche con le successive abbiamo fatto viaggiare contestualmente il profilo investigativo giudiziario, portato avanti con grande capacità dai Carabinieri, con il profilo sulle misure economico-patrimoniali, portato avanti con altrettanta professionalità da Guardia di finanza e Direzione investigativa antimafia. Le persone e i beni sono stati colpiti nello stesso contesto. Questa è una delle novità di queste inchieste e la sorpresa degli indagati colpiti nel portafoglio è nelle cose. Quasi tutte le misure di sequestro preventivo dei beni hanno tenuto di fronte al Tribunale del riesame.

Nota un cambio di reazione degli amministratori pubblici piemontesi di fronte ad una realtà di fronte alla quale chiudere gli occhi è ormai impossibile?

E’ difficile rispondere in maniera indifferenziata. Ci sono sensibilità diverse e non c’è dubbio che l’operazione abbia suscitato grande attenzione. Qualche volta c’è stata la tendenza alla rimozione, qualche altra c’è stata grande adesione per lo sforzo collettivo di combattere le mafie. E’ giusto però porsi il problema se gli anticorpi alla penetrazione delle mafie hanno funzionato o stanno funzionando e in che misura questo stia accadendo. Sono domande alle quali, però, deve rispondere la politica.

Non si corre il rischio che focalizzando troppo l’attenzione sulla ‘ndrangheta ci si dimentiche che al Nord e dunque anche in Piemonte le mafie siciliane e campane hanno radici datate nel tempo?

Le posso garantire che non è scomparso nulla dall’agenda del nostro impegno. Certamente la ‘ndrangheta ha avuto e spero che abbia sempre di meno la tendenza e la capacità ad essere la più liquida tra le mafie e dunque quella che, attualmente, ha la maggiore capacità di penetrazione nei mercati economici oltre che nella società.

r.galullo@ilsole24ore.com

P.S. Nuntio vobis gaudium magnum che il 15 novembre 2011 nelle edicole di tutta Italia, in allegato al quotidiano il Sole-24 Ore, al prezzo di 12,90 euro, uscirà il mio nuovo libro “VICINI DI MAFIA – Storie di società ed economie criminali della porta accanto”. Richiedetelo agli edicolanti e acquistatelo e fate girare la voce: la parola scritta è quel che più temono le mafie!

p.p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.08 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

  • Nello |

    Caro Bartolo,ti chiedo scusa se involontariamente,ti ho dato l’impressione di “ridere della mafia”,il mio era solo un raccapriccio per lo stato delle cose in un NON-STATO di diritto e di giustizia,ti ringrazio per avermi-ci,fatti destinatari di un racconto che coinvolge un rapporto così delicato come quello che afferisce alla tua famiglia ed al tuo come vedo “adorato” Padre ma al contempo,ti pongo un altro interrogativo:visto la sofferenza,non credi che tuo Padre,sarebbe piu’ felice se almeno si potesse illudere di non lasciare un figlio in così tanta pena?In poche parole..tuo padre,conosce suo figlio e questa tua lotta legittima,condivisibile,umanamente comprensibile,mentalmente,per te,estenuante..non dara’ a tuo Padre,al suo sguardo..un amore piu’ grande di quello che gia’ vi destinate a vicenda.
    Perdonami,se mi sono permesso ed un grande in bocca al lupo!

  • Fab |

    A proposito il tuo libro ad Aprilia non è stato ancora distribuito…..

  • Francesca |

    Ho letto con sofferenza i commenti, la sofferenza di chi è pervaso fin nel midollo dall’amore per la propria terra. Calabria mia che ti fanno con il loro fare e che ti facciamo con il nostro stare a guardare! Non si può non comprendere lo stato d’animo di Bartolo da venti anni impegnato per aiutare coloro che purtroppo sono dimenticati da Dio e dagli uomini e comunque si legga la sua storia non vi è nulla che sia umanamente accettabile per uno Stato di Diritto. Quale democrazia viene da chiedersi può permettersi di far durare un processo sedici anni credo, durante i quali l’imputato conduce una vita di grande impegno sociale, e non valutarla neanche ai fini della concessione di una visita ad un padre bisognoso? Non voglio entrare nel merito delle motivazioni dell’indagine e della successiva condanna. Non sono un tecnico ma la domanda sorge spontanea! Possibile che non vi sia una modalità per riaprire il caso e sottoporre a revisione quel processo vista la poca attendibilità di quelle testimonianze, le indagini che purtroppo oggi rimettono in discussione la condotta di quei magistrati, le urla da bestia ferita di un imputato, oggi condannato ma anche riabilitato prima che dall’aver scontato ormai la sua pena dal non essersi rassegnato al suo status di mafioso ufficializzato dallo Stato Italiano prendendo magari la via più semplice, quella dell’attività criminale.
    E noi calabresi cosa facciamo per aiutare questi fratelli più deboli e sventurati?
    Dott. Galullo è all'”Intelligenza” di questo nostro Paese che spetta il dovere di intraprendere tutte le vie possibili per rendere giustizia a chi la chiede senza purtroppo averne gli strumenti. Quale futuro ci attende altrimenti se non quello di annegare nel mare della nostra stessa indifferenza? E cosa a questo punto sarebbe di noi uomini che ci autocondanneremmo così ad una vita bestiale? E da cristiani, almeno per coloro che lo sono, possiamo permetterci di non tendere la mano a chi affoga nella melma che altri hanno prodotto ed alimentato? Mi scusi la veemenza delle mie parole che sgorgano dal cuore e sono dettate da un dolore intriso d’impotenza.
    A Bartolo mi permetto di suggerire di cominciare a scrivere una nuova pagina della sua vita. Dovrebbe considerare quella condanna come una seconda nascita, un parto particolarmente doloroso questo sì, ma anche simbolo di liberazione dal purgatorio che ha subito per lunghi anni. Mi ha fatto tornare in mente, con la sua voglia di smuovere le acque denunciando le ingiustizie subite, le parole pronunciate da Gianna Jessen nel 2008 nella Queen’s Hall – Parlament of Victoria – Melbourne. Storie totalmente diverse ma con un fattore comune: vivere sperando di essere odiati per quello che si dice per potersi presentare davanti a Dio con la piena consapevolezza di ciò che significa essere odiati, Lui che per l’odio degli uomini è stato messo in croce. Egr. dott. Galullo e cari ospiti del suo blog, a noi il dovere di non essere i secondi “Ponzio Pilato” che la storia ricordi… A Bartolo rimuovi l’odio dal tuo cuore che confligge con il grande insegnamento cristiano che ci trasmetti con la tua denuncia, quello di chi ha il coraggio di denunciare la verità e l’ingiustizia anche a rischio della propria incolumità. Nel contempo volgi lo sguardo all’orizzonte e prova finalmente a vivere da uomo libero!

  • bartolo |

    caro galullo,
    di seguito la mia risposta al signor nello.
    il riferimento a lei, mi creda, non vuole essere assolutamente offensivo.
    per cui, se, invece, così le sembra, può cestinare il tutto e chiedo scusa.
    certamente, nello, espongo a rischio la mia incolumità fisica. ma, siccome i miei bisnonni e poi i miei nonni e poi i miei genitori e quindi io e miei fratelli siamo nati e cresciuti in questo meraviglioso paradiso che è, geograficamente, lo basso jonio reggino, cosiddetta pure area grecanica, pure io, quì intendo rimanere, a costo di una tragica morte. certo che posso evitare di alzare polvere, ma lo farò soltanto dopo la morte di mio padre. rimanendo in silenzio, non riuscirei più a guardarlo in faccia.
    quando ero quindicenne avevo deciso di interrompere gli studi e aiutare la famiglia al quanto numerosa che gravava tutta sulle sue spalle. egli, nonostante avessi terminato l’obbligo scolastico fino alla licenza media, mi ha imposto il suo, obbligo, di continuare fino al conseguimento del diploma. cosa che ho fatto. e, successivamente mi sono laureato. quando le forze del (dis)ordine sono venute a prelevarmi, dopo sedici anni di processo, (anni accolti da lui sempre con il sorriso sulle labbra e rimproverandomi quando imprecavo contro i magistrati. perché, diceva, al loro cospetto bisogna sempre tenere la testa bassa in segno di rispetto) mi hanno riferito che ha pianto per una settimana intera prima di rimanere pian piano totalmente paralizzato e incapace di intendere e conoscere. alle mie istanze di farmelo vedere anche scortato quando ancora poteva darmi qualche suo prezioso consiglio, i giudici, hanno posto il diniego a causa della mia pericolosità. hai capito nello? dopo sedici anni di processi lasciato totalmente libero senza alcun vincolo, ero diventato pericoloso durante i due di detenzione, al punto di non poter essere scortato al suo capezzale. mi avrebbe detto le medesime cose che mi scrivi tu. ne sono certo, era identica alla tua la sua filosofia di vita.
    dei mafiosi, rideva! mi raccontava che ognuno di questi che aveva la sventura di diventarlo veramente, mafioso, ce ne erano centinaia di imbecilli che lo servivano.
    oggi, parlo io per lui, veri mafiosi non ce ne sono. in compenso, ci sono magistrati eroi che se li inventano. e ad ognuno vero che s’inventano, dietro a lui sempre le centinaia d’imbecilli. e giornalisti come galullo che ci credono, quindi scrivono ora a favore di quello che se nè inventati di più ora a favore degli altri che se ne sono inventati ancora di più.
    i giornalisti, e maggiormente quelli calabresi, scrivono delle tragiche morti dei soggetti più deboli di alcune famiglie mafiose stritolate dalle leggi che contrastano l’emergenza mafiosa. cioè, puntano il loro sguardo nel dito, trascurando il fatto concreto che questi stava indicando la luna. quella luna di un conflitto tra magistrati che non è un conflitto tra persone fisiche ma tra diversi metodi di proteggere il malaffare e con questo, le mafie.

  • Nello |

    Io,comprendo perfettamente il discorso di Bartolo e capisco anche quale e quanta rabbia possa pervadere le giornate di un innocente,ingiustamente,condannato.Però a Bartolo vorrei anche chiedere se non ritiene che il suo continuare ad alzare polvere su una storia pesante che poi,e’ lo spettro del funzionamento della triade maledetta politica-magistratura-mafia,almeno dell’ultimo trentennio,in Italia,non possa in qualche modo,esporre a rischio,la sua stessa incolumita’ fisica?Non hai mai paura che l’agitazione pubblica delle tue,seppur giuste ragioni,possa convincere,chi non ha interesse che si continui a parlare della tua storia,a farti del male?Ben comprendo che,forse,in certe situazioni,il male maggiore ti e’ stato fatto,ma questo,in un sistema fuori controllo,potrebbe anche essere poca cosa.Tu,da quanto ho capito,hai subito un ingiusto processo,con un’ingiusta condanna ed un’altrettanta ingiusta espiazione di pena.Ora,poiche’ nessuno puo’ essere processato due volte per lo stesso presunto crimine,delle due o,cerchi di ottenere la revisione del processo,cosa che mi sembra quasi impossibile da ottenere o,al di la’ del legittimo tuo diritto da sputare in faccia al mondo quanto ti faccia schifo con le sue marce istituzioni,cerchi,a questo punto,di venirne fuori psicologicamente perche’ non credo tu possa trovare sollievo,nell’indifferenza di chi non risponde o reagisce…scusami,ma mi sono sentito a parte esprimerti una solidarieta’ che potrebbe sembrarti solo “di umanità”,di indicarti,molto umilmente,una via che forse potrebbe darti spunto di riflessione.Un fraterno saluto.Nello

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