Contro i riti criminali della ‘ndrangheta i riti della Giustizia.
Il 27 ottobre il gup di Torino Alessandra Bassi ha condannato – appunto con rito ordinario – rispettivamente a 15 e a 8 anni di reclusione Francesco D’Onofrio e Francesco Tamburi per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Queste sono le prime due condanne per gli arrestati nell'operazione Minotauro condotta a giugno dalla Procura antimafia di Torino contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta in città e in provincia.
Secondo la ricostruzione della Procura Francesco D'Onofrio, di Nichelino, sarebbe un componente della “crimine” torinese, braccio operativo della ‘ndrangheta sul territorio, con la dote di “padrino” mentre Francesco Tamburi, di Grugliasco, è considerato il capo società della locale dei sidernesi del capoluogo con la dote di “santa”.
La Giustizia dunque c’è e batte due colpi che confermano la bontà di un’operazione che aveva portato all’emissione di 145 ordinanze di custodia cautelare contro un organizzazione che i pm non esitarono a definire “imponente e con centinaia di affiliati tenacemente e capillarmente radicata nel territorio”.
I “locali” – vale a dire le cellule strutturate delle cosche calabri-piemontesi – si trovano intorno alla cintura di Torino: Moncalieri, Cuorgnè, San Giusto Canavese, Rivoli, Volpiano, Chivasso, ai quali cui vanno ad aggiungersi i locali “distaccati” di Torino e quelli di Alba e del Basso Piemonte.
A ricordare questa forte e strutturata organizzazione è stato il procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Antonio Patrono nel corso dell’audizione del 21 giugno in Commissione parlamentare antimafia, della quale si conosce ora il contenuto.
Patrono ha portato in luce due aspetti che se in Calabria sono noti anche ai sassi, in Piemonte sono destinati a fare più rumore: il rapporto con la politica e le mani nei portafogli delle mafie.
“Abbiamo verificato che le occasioni in cui si realizzano con maggiore evidenza i contatti tra esponenti della 'ndrangheta ed esponenti politici – ha detto infatti il pm antimafia – sono le competizioni elettorali. Sono stati accertati numerosi episodi in cui l’organizzazione si è impegnata a raccogliere voti a favore di determinati esponenti politici dietro corrispettivo di denaro o promessa di futuri vantaggi. Sarà un caso ma il contatto immediato, più diretto, forse anche perché è più facile scoprirlo, l’abbiamo rilevato quando c'erano di mezzo elezioni di vario genere. Non pensate, quindi, solo alle elezioni politiche e agli esponenti più noti, perché in realtà le interferenze politiche, e i nomi dei politici che sono stati coinvolti lo dimostrano, si sono rivelate più significative in contesti territoriali e istituzionali circoscritti”.
Insomma – come ha avuto modo di dimostrare con dati alla mano il sociologo Nando Dalla Chiesa nel corso del seminario sulle infiltrazioni delle mafie al Nord organizzato a Torino da Libera l’8 ottobre – la ‘ndrangheta riesce più facilmente a condizionare i piccoli centri dove il rapporto è più facile e diretto.
OCCHIO AL PORTAFOGLIO
Quanto ai beni sequestrati, Patrono ha avuto modo di raccontare particolari inediti sui sequestri, per un valore complessivo di circa 120 milioni, che sono stati effettuati a giugno. “Il giudice per le indagini preliminari che ha interrogato i soggetti coinvolti nell’operazione Minotauro – ha spiegato Patrono in Commissione parlamentare antimafia – mi ha riferito che quasi tutti gli arrestati si preoccupavano e chiedevano conto e ragione non tanto della loro cattura e del fatto di essere finiti in prigione, quanto del fatto che fossero state loro sequestrate case, ville, macchine e aziende. Sono rimasti sorpresi e particolarmente preoccupati da questo aspetto dell’intervento repressivo, mentre il carcere per loro è qualcosa che evidentemente hanno messo in conto. Molti lo hanno già conosciuto e chi ancora non lo conosceva sapeva che comunque prima o poi sarebbe stato arrestato. Questa è la mentalità di tali soggetti, che sono veri mafiosi, anche se sono nati e vivono in zone diverse dalla Calabria. Costoro non riescono neanche a comprendere il motivo per cui possono essere spogliati dei loro beni, non solo di quelli acquisiti con il provento di crimini, ma anche di quelli non direttamente provenienti da reati individuati, o dimostrati tali, dei quali non siano in grado di giustificare la legittima provenienza in base al reddito dichiarato. Pertanto, quando arrivavano innanzi al giudice che doveva interrogarli, per prima cosa gli chiedevano il motivo per cui erano stati sequestrati loro questi beni, essendo per loro un grande mistero. Continueremo quindi a effettuare questi sequestri: questa è la via per ottenere i risultati più importanti, con maggiore impatto e con effetti di più lungo periodo”.
L’ULTIMA OPERAZIONE
E del resto, proprio ieri, mercoledì 9 ottobre, la Direzione investigativa antimafia di Torino ha proceduto alla confisca definitiva di beni riconducibili a Nicola Assisi, 53enne di Grimaldi (Cosenza), pluripregiudicato per associazione a delinquere finalizzato al traffico internazionale di stupefacenti, condannato con sentenza definitiva a 13 anni di reclusione, latitante.
Il Tribunale di Torino – attraverso la sezione delle misure di prevenzione – ha emesso, il 9 ottobre 2009, il decreto di sequestro anticipato della villa e dei terreni adiacenti a San Giusto Canavese e dell’Audi A4 di proprietà. Il valore dei beni è di circa 1,5 milioni.
Il 30 settembre 2011 la Corte di cassazione ha confermato la confisca dei beni mobili ed immobili della famiglia Assisi, rendendola definitiva.
r.galullo@ilsole24ore.com
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