Strangolate da una catena burocratica oltre che asfissiate nella cupola velenosa che governa Reggio Calabria: così muoiono le aziende De Masi (Calfin spa e De Masi costruzioni srl) , sopravvissute negli anni alla mafia della Piana di Gioia Tauro ma non allo Stato ufficiale e a quello deviato e parallelo.
Raccontare la lenta agonia di un gruppo calabrese che dà – legalmente e senza referenze malavitose – lavoro a 250 persone (anche all’interno di quel porto in cui la mafia conta eccome) è umiliante.
Anche per un giornalista come il sottoscritto, che pure conosce e racconta la storia di Antonino De Masi, imprenditore di Rizziconi coraggioso e isolato, ormai da anni.
L’ultimo colpo di scena – per come viene raccontato in prima persona dallo stesso imprenditore reggino – è il rifiuto di un gruppo bancario di giungere ad un accordo amichevole sulle pendenze.
Ricordiamo che Antonino De Masi – folle e visionario – ebbe l’ardire di denunciare fin dal 2003 alle Procure calabresi una serie di comportamenti messi in pratica da alcune banche. Ebbe così inizio un procedimento penale per usura nel quale sono state messe in luce le malefatte del sistema bancario e del modo di operare delle banche al Sud. Il processo è passato attraverso due sentenze di primo e secondo grado che hanno sempre confermato la sussistenza del reato e che si trova attualmente in attesa di pronuncia della Corte di Cassazione.
De Masi – sempre più folle e visionario anche perché al suo fianco non ha trovato un solo compagno di strada nella politica e nelle Istituzioni e ha sempre rifiutato di avere personaggi scomodi che si erano affacciati per sistemare mafiosamente le vertenze sindacali, economiche e finanziarie – ha continuato anche nel 2006 a denunciare le banche per l’applicazione di tassi spropositati, oltre il limite fissato dalla legge antiusura, e dunque la sua battaglia continua senza soste.
IL TIRA E MOLLA DELLO STATO
La follia di questa storia è che laddove non riesce la mafia e il credito a piegare un imprenditore, riescono lo Stato e il suo “doppione”.
Il 20 e il 6 aprile 2006 e il 12 dicembre 2006 il Gruppo De Masi – con il riconoscimento dello status di usura – ha fatto domanda di accesso ai benefici del fondo di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura.
La richiesta di mutuo senza interessi veniva in un primo momento respinta dal Commissario straordinario del Governo, sul presupposto che i richiedenti non fossero al momento della presentazione nella posizione di parte offesa in un procedimento penale per usura.
Il Gruppo De Masi impugnò i provvedimenti di rigetto davanti al Tar per manifesta illegittimità, visto che le aziende erano parti civili in almeno tre giudizi ancora pendenti. Il Tar concesse quindi la tutela cautelare, sospendendo l'efficacia dei provvedimenti impugnati.
IL COMMISSARIO DEL COMMISSARIO
A questo punto segue un'ulteriore parentesi giudiziaria finalizzata alla corretta esecuzione del disposto cautelare, che vede entrare in scena il «commissariamento del commissario» con la nomina di un commissario ad acta e la ripetuta fissazione di termini all'amministrazione per il riesame della domanda e la quantificazione del danno da rifondere al Gruppo De Masi, termini sempre disattesi.
Nelle more, il 9 settembre 2010, interveniva il deposito delle motivazioni della sentenza n. 10971 del 2 luglio 2010 della corte d’appello di Reggio Calabria, che confermava la sussistenza di tutti gli elementi materiali del reato di usura, “individuando la riconducibilità della colpa ma non del dolo – ricorda oggi il deputato Doris Lo Moro, “del reato in capo ai presidenti dei tre istituti coinvolti”.
Il Tar, con sentenza n. 27 del 12 gennaio 2011, accoglie definitivamente i ricorsi delle aziende, annullando gli atti impugnati e riconoscendo il diritto delle aziende vittime di usura ad ottenere il mutuo agevolato. Nella sentenza inoltre si legge: «A ben vedere è proprio tale circostanza che rende ancor più grave il contrasto con le previsioni e la ratio della legge citata, indirizzata a sostenere l'imprenditore vittima di usura sulla base della sola sussistenza di un procedimento penale in corso, senza che egli debba attendere i tempi necessariamente lunghi per un accertamento definitivo della sussistenza del reato e della responsabilità penale degli autori… In sintesi, nel bilanciamento tra il sostegno all'imprenditore vittima di usura e quello dell'accertamento processuale della verità, il legislatore ha fatto, del tutto ragionevolmente, prevalere il primo» e quindi «ne deriva l'obbligo per l'amministrazione di riesaminare celermente la domanda, impregiudicato restando ogni profilo inerente l'esatta quantificazione del danno e dell'importo del mutuo conseguentemente richiesto...».
ODISSEA FINITA? MACCHE’…
La sentenza del Tar, con formula esecutiva, veniva notificata alle amministrazioni che, a fronte della loro inerzia, venivano diffidate il successivo 2 febbraio 2011 dal legale delle aziende a svolgere tutte le attività dovute e a completare l’iter delle pratiche (presentate, ricordiamolo, nel 2006) entro 30 giorni dalla notifica della sentenza. La nota, indirizzata al commissario straordinario, al prefetto di Reggio Calabria, al ministero dell’Interno, alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministro della giustizia, è stata inviata per conoscenza al Presidente della Repubblica.
Con un’ulteriore nota del 23 febbraio 2011, il Gruppo si è rivolto direttamente al commissario ed al ministro dell’Interno per segnalare lo stato di profondo disagio causato dall'enorme lasso di tempo passato dalla presentazione delle istanze e per ribadire il diritto all'ottenimento del mutuo. Ma anche questa comunicazione è rimasta senza risposta, come anche gli atti di diffida legale più volte notificati.
Lo Stato, infatti, pur se soccombente nei giudizi e ripetutamente diffidato, è rimasto inadempiente ed è facile immaginare quale asfissia economica e finanziaria questo stia provocando alle aziende. Senza contare la prostrazione personale del managememt e la paura dei dipendenti (chi glielo ridà un posto di lavoro regolare nella Piana di Gioia?).
Il 10 marzo 2011 le aziende De Masi hanno chiesto la nomina di un nuovo commissario ad acta per la definizione delle pratiche e avendo poi appreso informalmente presso gli uffici del commissario di una seduta tenutasi il 31 maggio 2011 nella quale si era discusso delle pratiche di interesse, le aziende hanno trasmesso al comitato, il 6 giugno 2011, richiesta di accesso ai documenti relativi alla seduta.
Il 28 giugno 2011 hanno ricevuto da parte dell’Ufficio del commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura, una copia del verbale nel quale veniva disposta la sospensione del procedimento amministrativo fino all’esito dell'appello pro
posto dinnanzi al Consiglio di Stato.
UNA SOLA VOCE SI ALZA
Questa vera e propria tortura burocratica ha visto negli anni le promesse e le pacche sulle spalle di centinaia di persone. Un solo deputato, oltretutto lametina e non reggina (dove i cuor di leoni tra i politici abbondano!), l’onorevole Doris Lo Moro (Pd o quel che ne resta) il 29 settembre ha presentato un’interrogazione scritta (4-13404) al ministro dell’Interno per sapere “se e come si ritenga di garantire il diritto delle aziende del gruppo De Masi , riconosciute come vittime di usura e parti civili costituite in più processi per tale reato, a vedere definite le richieste di accesso ai benefici del fondo di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura e se e come si intenda evitare che i ritardi del commissario straordinario del Governo e del comitato di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura aggravino le difficoltà finanziarie delle aziende De Masi, provocandone la chiusura, con conseguente licenziamento di circa 250 persone”. Brava Lo Moro, ha dimostrato ancora una volta di essere un’eccezione nella disgustosa politica calabrese.
Questa è la Calabria, con una postilla: sbaglierò (so purtroppo che non sbaglio) ma ho l’impressione che per il fallimento del Gruppo De Masi, tifi visceralmente la cupola mafioso-politico-massonica che governa la provincia di Reggio. Ogni impresa che radica le proprie fondamenta sulla legalità, sul rispetto dei valori, sull’applicazione delle regole, sul rifiuto dei padrinaggi e dei padrini, deve essere cancellata per quel che rappresenta: ossia una pericolosa e sia mai contagiosa eccezione alle regole che qui non vengono dettate dallo Stato ma dall’anti-Stato. Anzi, è ora di finirla di chiamarlo così: la cupola che governa Reggio e l’intero Sud Italia è un potere parallelo allo Stato che fa correre sui propri binari molti dei personaggi che ufficialmente rappresentano lo Stato stesso. Lo Stato e il suo doppione segreto, insomma.
Un’ubiquità nota e conosciuta che però è sempre più difficile smascherare. Per questo il caso De Masi diventa un simbolo della lotta per la legalità dello Stato, quello vero, quello fatto di uomini che continuano a credere nelle Istituzioni nonostante tutto.
Vediamo se il ministro Roberto Maroni avrà il coraggio di valutare la questione per quello che vale: l’affermazione di diritti e principi democratici che in Calabria camminano sulle spalle di folli e visionari come Antonino De Masi. Io sarò qui a raccontarvi gli sviluppi.
p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.08 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.
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