A Reggio la Procura può indagare il vice di Grasso e la ‘ndrangheta approva giocando con la vita del pm Lombardo

Poche ore fa la Procura generale di Reggio Calabria ha emesso il verdetto: nessuna avocazione a proprio carico dell’indagine per corruzione in atti giudiziari di Alberto Cisterna, procuratore nazionale antimafia aggiunto: in pratica il numero due di Piero Grasso.

Titolare dell’indagine resta dunque la Procura di Reggio Calabria. Ergo: il Procuratore capo Giuseppe Pignatone e la pm da esso delegata e co-titolare, Beatrice Ronchi, possono andare avanti.

Nelle stesse ore in cui la Procura generale prendeva questa decisione, nel parcheggio esterno del Cedir, che ospita la Procura, è stato ritrovato un ordigno rudimentale con una foto ritagliata da un giornale: destinatario il pm Giuseppe Lombardo che – come ho scritto decine di volte su questo blog e sul Sole-24 Ore – sta conducendo solo e isolato una battaglia (mortale) contro la vera ‘ndrangheta. Quella che in giacca e cravatta entra nelle giunte e regala appalti a chi l’ha fatta eleggere. Quella che sopra la giacca e la cravatta indossa un grembiulino per poter decidere insieme ai fratelli muratoti quali mattoni far salire e quali abbattere. Quella che con una laurea entra nelle professioni e con un esame di Stato passa nei ranghi delle Forze dell’Ordine e nella magistratura. Quella che rinnegando lo Stato sfila nei servizi segreti deviati. Quella che governa Reggio e la Calabria tutta.

DESTINI INCROCIATI

Meschino chi crede che i due episodi – la decisione di non avocare l’indagine su Cisterna e l’ennesimo avvertimento a Lombardo al quale va tutta la mia profonda stima e amicizia – siano casuali e disgiunti. L’un anello si cementa – esattamente nello stesso giorno, nelle stesse ore – con l’altro. La ‘ndrangheta, con l’avvertimento a Lombardo, il quarto di meno di due anni, ha lanciato l’ennesimo messaggio: si vada avanti storditi dalla tragediata dei Lo Giudice ma guai a mettere nel mirino la vera ‘ndrangheta. Se mai accadesse il primo morto sarà Lombardo, che già da anni vive con la morte sulle spalle e al quale, pochi mesi fa, è stata negato il rafforzamento della scorta.

E va bene, per la vera ‘ndrangheta, che si continui anche a indagare su Cisterna. Va benissimo che il numero due della Dna – nonostante anche la Procura generale della Cassazione, dopo la Procura di Catanzaro, abbia detto che i racconti di Nino Lo Giudice sul magistrato che ha fatto parte del team che ha infine arrestato Pasquale Condello facciano acqua da tutte le parti – sia indagato, ferito, inseguito e perseguito nonostante la sua storia, il suo passato. Oggi le famiglie De Stefano, Libri e Condello festeggeranno due volte. Ebbri di felicità. Ko tecnico per Cisterna, ancora contato nell’angolo del ring antimafia. Ko tecnico anche per Lombardo, nella speranza che getti la spugna e nella paura che esploda. Allora sì che sarebbero dolori per i sepolcri imbiancati della Procura protetti dalla politica.

Ma attenzione: quello che sta accadendo a Lombardo rischia di essere un film già visto, allorché una decina di anni fa, proprio per motivi legati all’incolumità fisica impossibile da garantire, proprio Cisterna fu costretto a lasciare Reggio Calabria (alcuni protagonisti dietro le quinte del suo allontanamento continuano a tramare nell’ombra per far pagare a lui e ai suoi colleghi di allora i successi raggiunti, perché la ‘ndrangheta non dimentica).

La stessa sorte potrebbe capitare a Lombardo: in una situazione in cui fosse impossibile garantire per la sua vita lo Stato potrebbe decidere di allontanarlo da Reggio Calabria.

Attenzione: tutto questo presuppone una raffinatissima regia che si riaffaccia, carsicamente, circa dieci anni dopo. Far finta di volerlo morto per poterselo levare di torno. Ma se dovesse restare, la sua fine sarebbe segnata, a maggior ragione ora che sta conducendo delicatissime e riservate indagini e altri procedimenti sta conducendo in porto nelle aule giudiziarie.

La ‘ndrangheta – quella in cabina di regia – si gode lo spettacolo. Non può permettere che vincano Cisterna, Macrì, Pennisi e Lonbardo.

LA FIRMA DI DI LANDRO

Il procuratore generale Salvatore Di Landro ha controfirmato le 9 pagine di decisione del sostituto da lui stesso delegato, Fulvio Rizzo.

Nelle ultime ore e negli ultimi minuti – quando la decisione era nell’aria – nel clima fetido di Reggio Calabria sono circolate le voci più disparate sui motivi per i quali sarebbe giunto (come poi si è puntualmente verificato) il no all’avocazione. Motivi di carriera che avevano trovato speranze su nuove sponde, per Tizio o Caio, e motivi di disagio per Caio o Sempronio. Così come sono circolate le voci che Di Landro sarebbe stato contrariato dalla soluzione che si stava prospettando. Voci, veleni, infamità?

Fatto sta che su quella decisione Di Landro ci ha messo la sua faccia e la sua firma e ora la palla è tutta nelle mani della Procura di Reggio che – sulla base di dichiarazioni giunte fuori tempo massime, contraddittorie, confuse e vacue del pentito Nino Lo Giudice – ha deciso di indagare Alberto Cisterna.

L’iscrizione di Cisterna nel registro degli indagati – da molti contestata e da me, personalmente, ritenuta paradossale e incredibile per una serie di motivi che ho ampiamente descritto in questo blog – fu il primo gol a favore della Procura di Reggio. Il secondo fu un gol fantasma ma comunque convalidato dall’arbitro (la decisione della Procura generale della Cassazione di ritenere corretta come sede Reggio Calabria per il fatto che lì Cisterna risiede) e ora il terzo gol.

Tre a zero e palla di nuovo al centro. In attesa, però, che la Procura di Santa Maria Capua Vetere fornisca il suo verdetto su come la Procura di Reggio Calabria abbia giocato su quel campo neutro: prima o poi, infatti, il capo della Procura Corrado Lembo dovrà comunicare che fine ha fatto il fascicolo che ha aperto sull’incontro nel carcere militare tra Saverio Spadaro Tracuzzi e due collaboratori-delegati del Procuratore di Reggio Calabria (Spadaro Tracuzzi li chiama “emissari” in una seconda missiva mai resa nota): il capo della Mobile e il comandante del Ros.

Il verdetto campano potrà spostare pesantemente il pallottoliere: un gol in trasferta, a Santa Maria Capua Vetere, per Cisterna (se davvero fossero riscontrate delle anomalie nell’interrogatorio dell’ex capitano della Dia di Reggio Calabria Spadaro Tracuzzi, lì recluso) varrebbe doppio e se quanto raccontato dalla Procura generale della Cassazione – che ha trattenuto le difese di Cisterna – sulla possibilità di procedimenti disciplinari per alcuni protagonisti di questa partita infinita, si realizzasse, ecco lì che la
singolar tenzone si riequilibrerebbe sul 3 a 3.

La partita che si gioca – lo sto scrivendo da mesi, prima che alcuni giornalisti calabresi si accodassero nel disgustoso silenzio della classe dirigente locale rotto solo dall’onorevole Angela Napoli su questo blog – è la credibilità della lotta alla ‘ndrangheta oltre che la poltrona di Piero Grasso che, prima o poi, nella delicatissima partita dei trasferimenti a catena tra le Procure più prestigiose d’Italia, quella poltrona dovrà lasciare. Lo dice – con ritardo ma lo dice – anche un altro pentito, che non è detto che conti il giusto ma finora è stato ritenuto da molte Procure ben più credibile del nano-Nino: è quell’Antonio Di Dieco che ha fatto i nomi di altri personaggi a conoscenza del progetto che però, al momento, non sono stati ancora neppure contattati da alcuna Procura calabrese.

Di una cosa sono convinto: la cupola politico-massonico-mafiosa che governa Reggio Calabria è stata di un’abilità sconcertante (e previdibilissima come ho scritto su questo umile e irriverente blog) a spostare l’attenzione sulla cosca (senza territorio) Lo Giudice e a creare una tempesta perfetta, nella quale la magistratura antimafia è andata ramengo ed è decollato il reciproco gioco al massacro. Imprevedibile – questo si – nelle sue conclusioni. Anche se la sensazione è che sul campo rimarranno vittime eccellenti e che la lotta alla ‘ndrangheta (quella vera, fatta di imprenditori e magistrati, di politici e dirigenti, di banchieri e uomini dello Stato e non quella dei fruttivendoli con l’Ape car) rimanga al momento una chimera.

Fatto sta che bisogna fare i conti con il presente – almeno io che tifo solo per la legalità e me ne fotto di Procuratori capi e sostituti – e il presente, secondo il giudizio del Procuratore generale Di Landro, dice che la richiesta di avocazione di Cisterna non può essere accolta perché non esiste incompatibilità della dottoressa Ronchi né del dottor Pignatone a trattare il suo caso.

LE SPIEGAZIONI DEL CASO

La Procura generale lo spiega nel dettaglio. Il Procuratore Pignatone, trascrivo testualmente da pagina 3, nel fornire le informazioni richieste dalla Procura generale sul merito dei riferimenti alla dottoressa Ronchi, il cui rigore morale e la sua onestà erano stati tirati apparentemente in ballo dalla cosca Lo Giudice, ha infatti “ritenuto insussistenti i motivi di incompatibilità della stessa a proseguire nelle indagini o nei dibattimenti a lei assegnati, segnalando che la prospettazione di un suo coinvolgimento sia conseguito tanto dalla parziale conoscenza degli atti – determinata anche dalla sommarietà dei contenuti e delle trascrizioni del colloquio intercettato a Tolmezzo il 22 maggio 2010 del quale si è data una più affidabile trascrizione nella parte che si riferisce alla Ronchi – quanto dall’accertata erronea trascrizione di alcuni passaggi della trascrizione dell’interrogatorio del 13 ottobre 2010 di Lo Giudice Antonino”.

In parole povere tutto gira intorno agli sbobinamenti delle voci e degli interrogatori in cui compare o in cui si parla della dottoressa Ronchi: “assolta” Ronchi – che, come chiarisce Di Landro più volte nelle motivazioni da lui firmate non risulta assolutamente indagata così come non sono indagati neppure altri magistrati impegnati nel procedimento nei confronti della cosca Lo Giudice o titolari delle indagini a carico di Cisterna– tutto il resto va da sé.

Obiettivamente risulta che Ronchi – prosegue la decisione firmata oggi – ha fatto oggetto di attività di indagine i componenti della detta cosca e diversi soggetti ad essa legati, con accertamenti penali valutati positivamente, anche in fase cautelare dalla magistratura giudicante, concludendo con richieste di misure cautelari personali e patrimoniali, incidenti anche in sede di misure di prevenzione. Mentre per quanto riguarda l’accusa di essere una corrotta si deve dare atto che proviene dagli imputati dalla stessa perseguiti, dopo che ella aveva assunto il ruolo di pm nel processo e che ad essi era già nota la sua attività e la posizione di inquirente assunta. In tali casi si ricorda che, in ordine alla posizione dei magistrati della giudicante, ai fini della ricusazione del giudice, le dichiarazioni di un imputato contro il giudice preposto a giudicarlo devono essere sorrette da un apprezzabile coefficiente di concretezza e serietà, essendo a tutti chiaro che dare corpo a deduzioni, impressioni e fantasticherie, insinuatesi in buona o in mala fede nell’animo del solo ricusante, significherebbe esporre la trattazione di ogni procedimento al rischio di venire paralizzata per mera volontà e arbitrio di chi non reputasse il giudicante di proprio gradimento. A maggior ragione occorre essere rigorosi nell’apprezzamento di pari accuse mosse nei confronti del magistrato della requirente per l’incidenza che esse possano avere nelle cause di incompatibilità”.

Le pagine firmate da Rizzo e controfirmate da Di Landro danno un’importanza assoluta agli errori contenuti nei brogliacci. “E’ comprensibile -  si legge a pagina 7 – che da una trascrizione per riassunto e spezzoni di frasi, della conversazione intercettata a Tolmezzo, che riporta la frase come correttamente richiamata nell’esposto-denuncia di avocazione, si traggano valutazioni diverse rispetto a quelle che possono farsi se si legge la trascrizione integrale riportata all’allegato 51 della informativa della Squadra mobile del 7 aprile 2011. Così come totalmente diverso è il contenuto delle dichiarazioni rese dal Lo Giudice Antonino il 13 ottobre 2010 in alcuni salienti passaggi che interessano proprio la dottoressa Ronchi nel testo inizialmente conosciuto e ora rettificato nel passaggio critico…con trascrizione sottoscritta dall’incaricata delle trascrizioni il 28 settembre 2011...”.

Alla luce della “nuova” trascrizione, la figura di Ronchi appare “invertita” e “l’ascolto del file audio presenta una obiettiva difficoltà di comprensione di alcuni passaggi ma sul piano logico la lettura rettificata appare congruente con la sua ritenuta adesione alla linea della cosiddetta dittatura ascritta ai magistrati menzionati”.

Nel trattare le censure di Cisterna nei confronti della sua collega Ronchi, la Procura generale di Reggio ha esaminato anche le informazioni della Procura di Catanzaro che ha confermato che non è indagata, anzi, “attesa l’equivocità delle rilevanze, ha preso l’esposto in carico al Registro atti modello 45”.

Se non è incompatibile Ronchi, figuriamoci Pignatone. La co-titolarità del procedimento, secondo quanto si legge a pagina 7 “è condizione di piena condivisione delle modalità di indagine e quindi di controllo, diverso rispetto al mero visto”. Pignatone ha spiegato l’ipotesi di un coinvolgimento della dottoressa Ronchi con errori nel brogliaccio e una lettura non comparata su cui si sono inseriti “i si dice provenienti dallo Spanò Antonino (“Calipari”) e dall’avvocato Pellicanò, anch’essi peraltro indagati in procedimento e il primo oggetto di misura cautelare e le cui fonti di conoscenza sono a loro volta, assolutamente sconosciute. Il tutto in un contesto, peraltro, assolutamente comune ad altri procedimenti, di livore e di accuse più o meno fantasiose nei confronti della polizia giudiziaria e dei magistrati che seguono le indagini”.

LA REAZIONE DI CISTERNA

Signorile, misurato e corretto come sempre il commento di Alberto Cisterna: “Mi astengo da qualsiasi commento sul provvedimento adottato dalla Procura generale di Reggio Calabria, non ritenendolo opportuno alla luce dell’ennesima, grave minaccia patita dal collega Giuseppe Lombardo. Non posso, comunque, nascondere la mia soddisfazione perché constato che l’istanza di avocazione ha consentito di rimettere ordine nel fascicolo processuale a disposizione della Procura della Repubblica ed eliminare l’errore del brogliaccio e l’errata trascrizione di alcuni importanti atti che lo compongono e ha consentito, altresì, di ottenere – sempre per merito del Procuratore generale – nuove trascrizioni, l’ultima delle quali depositata in data 29 settembre ossia appena cinque giorni or sono, su un file audio scopertosi addirittura incomprensibile. Constato che ogniqualvolta un “giudice terzo”, sia esso la Procura generale della Cassazione, sia quella guidata da Salvatore Di Landro si accosta agli atti del procedimento che mi riguarda ci riscontrano criticità ed anomalie. In fondo era questa l’esigenza di controllo che aveva guidato la mia iniziativa per l’avocazione”.

 r.galullo@ilsole24ore.com

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  • Paola |

    Fa specie che quasi tutti i siti web di informazione della città di Reggio siano inondati dai messaggi di solidarietà che i politici calabresi rivolgono al dott Lombardo x il vile atto intimidatorio..che ipocriti! Certo non tutti, ma la maggior parte. Invece di manifestare solidarietà, migliore servizio renderebbero alla comunità se allontanassero dall’amministrazione della cosa pubblica collaboratori ed amministratori/politici in odore di mafia. La vicinanza si manifesta cn le azioni ed i fatti e non cn le parole.

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