Le pentite si suicidano bevendo acido come fosse acqua. Strano: dopo il primo sorso dovrebbero vomitare

Sono centinaia i cittadini e le personalità del mondo culturale, politico, sindacale e cattolico che hanno firmato in favore della mobilitazione a Piazza Italia di Reggio Calabria organizzata oggi per le 19 dal comitato “Chi collabora non deve più morire ingoiando acido”.

Il riferimento è all’ultimo probabile suicidio di una pentita di ‘ndrangheta, Maria Concetta Cacciola, avvenuto il 22 agosto nella sua casa di Rosarno, dove ha lasciato ai familiari una memoria scritta e una registrata.

Il file audio spezza il cuore ma alimenta i dubbi. Non solo sul suicidio ma soprattutto sul modo sul quale lo Stato protegge – anzi: non protegge – i pentiti di ‘ndrangheta, di Cosa nostra, camorra e Sacra corona unita.

Prima di Maria Concetta era toccato a Lea Garofalo, sciolta nell’acido nella periferia monzese e Tita Buccafusca suicidatasi il 16 aprile scorso ingerendo acido solforico.

E poi c’è Giuseppina Pesce, figlia del boss Salvatore Pesce di Rosarno, che il 24 novembre dello scorso anno scriveva: “Mio fratello dovrà uccidermi”.

Giuseppina Pesce prima si è pentita e poi si è pentita di essersi pentita. Uno scioglilingua sì, ma chiaro. Chiarissimo anzi: i pentiti non si fidano dello Stato che prima promette e poi non mantiene e quando se ne accorgono o ritrattono o, chissà perché, si suicidano con dell’acido che ingeriscono come fosse acqua nonostante basti il primo sorso per vomitare e non continuare a bere. Chiedetelo al vostro medico di fiducia se non credete a me. Ma se a qualcosa bisogna credere è nello Stato che deve ritrovare la capacità di difendere i collaboratori di giustizia, un’arma che, se gestita con efficacia e rapidità, è in grado di scardinare le mafie dall’interno.

LA BOBINA

Nei giorni scorsi il Corriere della Calabria (www.corrierecalabria.it), un nuovo settimanale che consiglio a tutti di leggere, ha messo in linea l’audio della testimonianza registrata di Cacciola.

Se mi chiedete cosa ne penso dopo averla ascoltata e riascoltata, d’impeto vi dico che quelle parole – in cui sostanzialmente chiede di essere dimenticata e rivela di essere stata indotta a mettere nei guai padre e fratello da una rabbia cieca e ingenua – sono state suggerite da una regia chiarissima anche se occulta.

Soprattutto alla fine della bobina ci sono stacchi e riprese che suggeriscono che una manina invisibile spegneva e riaccendeva il registratore dopo aver dettato gli ultimi suggerimenti. E poi troppe pause in quella registrazione e troppe cose dette e ridette come a voler confermare e riconfermare.

Questa personale ma convinta ipotesi testimonierebbe, se avallata da riscontri investigativi, che il suo è stato quanto meno un suicidio “assistito” ma proverebbe ancora una volta che il mortale vincolo di sangue ‘ndranghetistico è una legge ancestrale superiore a qualunque regola del vivere civile.

Non solo. Se questa ipotesi fosse vera è sconcertante l’incapacità dello Stato di assistere i pentiti e i loro familiari. Nella cassetta, infatti, Cacciola racconta tutte le volte che è andata a trovare i familiari o che i familiari l’hanno raggiunta (nonostante i divieti reciproci di contatti) in località segrete. Mi domando: ma il servizio di tutela dove cacchio era quando questa partiva e li seminava o quando riceveva visite?

Ascoltatela anche voi e fatevi la vostra opinione.

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • bartolo |

    caro galullo,
    (le virgolette erano soltanto perchè temevo che lei rifiutasse il caro)
    grazie della simpatia che mi ricambia.
    d’altronde mi è stato simpatico fin dalla prima volta che l’ho letta.
    spero che un giorno si ricrederà sui pentiti. se lei pensa veramente che io ce l’habbia con qualcuno probabilmente mi sono espresso male facendoglielo credere. provo soltanto pena per tutti gli idioti che hanno bisogno di servire qualcuno per rendersi conto della loro esistenza

  • galullo |

    Iamonte, vedo che dalla simpatia a gogò è passato a un “caro” tra virgolette, segno di nervosismo che comprendo.
    Forse non è abituato al confronto ma al monologo. Con me non funziona.
    Ribadisco: la sua storia non c’entra una beata fava con ciò che sto raccontando.
    I collaboratori di giustizia che l’hanno accusata sono stati ritenuti attendibili, mi pare di capire e non sono morti. E allora dov è il nesso con le pentite morte?
    Lei è ossessionato dalla sua storia e – si badi bene – io la capisco perfettamente. Se – e sottolineo se – lei fosse stato davvero ingiustamente accusato, io mi comporterei in maniera ancora più disperata della sua. E dunque lei fa bene a gridare la sua indignazione ma riduce il mondo al suo ombelico e riduce ogni tema – ripeto: ogni tema – alla sua storia personale. Probabilmente, dovesse commentare un mio articolo su Totti, riuscirebbe a ficcare anche lì la sua storia.
    Ergo: continui la sua battaglia nelle sedi opportune ma in questo modo – a mio avviso – riesce solo a sollevare un polverone che le nuoce.
    A questo punto con simpatia
    roberto

  • bartolo |

    “caro” galullo,
    il nesso c’è tra il mio caso e quanto da lei scritto. è il nesso della fabbrica dei pentiti che fanno tale scelta per disperazione o per convenienza o ancora per protagonismo o ancora perché psicologicamente labili. è in questa direzione che bisogna indirizzare l’interesse dei lettori. e poi visto che lo stato è attaccabile quando non protegge i collaboratori perchè non può essere altrettanto attaccato quando protegge bene, invece, i falsi collaboratori come barreca, ierardo, nucera …per limitarmi a quelli di mia diretta conoscenza? vede galullo lei è un giornalista che fa il suo mestiere, io una vittima della fabbrica dei falsi pentiti. non la conosco ma siccome lei continua a rimarcare il suo attaccamento allo stato democratico e di diritto e contro tutte le mafie, non posso fare a meno di segnalarle il caso che maggiormente conosco. il mio appunto, accusato da persone a me totalmente estranee e sconosciute, eppure, condannato per appartenenza alla ndrangheta, organizzazione criminale della quale mai avrei potuto farne parte per la mia indole di persona umile, mite e rispettosa del prossimo e delle istituzioni democratiche nelle quali credo fermamente. è per questa ragione che a distanza di diciotto anni dal mio calvario continuo a chiedere giustizia. è lontano da me anche il pur minimo pensiero di scontro con lei. mi piace provocare perché credo fermamente nella sua buona fede; e quindi, cerco di stimolarla nella direzione che nella gestione dei pentiti qualcuno all’interno delle istituzione ha giocato sporco. ho il dubbio che ad essere a conoscenza di tale sporcizia siano in tanti. e non solo tra i magistrati e le forze dell’ordine ma anche tra i giornalisti professionisti. il fine giustifica i mezzi, scriveva machiavelli, ma, appunto, si era in quell’epoca, sul finire del medioevo. ancora abbastanza lontani del cesare beccaria dei delitti e delle pene che inaugurava l’illuminismo francese e con esso le nuove e moderne democrazie che un manipolo di porci sta distruggendo.
    la saluto

  • galullo |

    Bartolo Iamonte,
    francamente non vedo alcun nesso tra quanto ho scritto e la sua storia.
    Ciò detto: 1) l’attendibilità dei collaboratori di giustizia non la giudico io ma lo Stato; 2) non attacco lo Stato ma lo Stato che non protegge i collaboratori di giustizia ritenuti attendibili dallo Stato stesso e questo è un crimine visto che, come insegnava Falcone, i collaboratori sono merce preziosissima: 3) io non insinuo proprio nulla sui familiari dei morti, ci mancherebbe, ma sono fermamente convinto che quei suicidi sono a diro poco poco credibili (come del resto quello della dottoressa Fallara); 4) la ricerca della verità, casomai, viene stimolata proprio dai dubbi che sono il sale della vita e il miglior ingrediente dell’intelligenza umana. Ergo, spero che chi sta investigando su quei suicidi (se qualcuno investiga) si ponga il dubbio sulle modalità quantomeno anomale e ascolti anche la cassetta della povera Cacciola.
    la saluto
    roberto galullo

  • bartolo |

    caro galullo,
    lei è un vero giornalista.
    ma non sempre i veri giornalisti fanno vera informazione. vede, quando sono stato sequestrato dallo stato italiano per non aver mai commesso alcun reato, dal luogo in cui ero tenuto in cattività, stavo per impazzire; e allora il gip cisterna e il pubblico ministero verzera unitamente al suo amico generale pellegrino mi invitavano a collaborare con la giustizia, nonostante io continuassi a ribadire di non avere la più pallida idea di chi fosse il mio accusatore, il signor barreca (agente a mezzadria tra servizi segreti deviati e ndrangheta). è stato così che ho capito che a loro non interessava la mia conoscenza o meno con detto signore o la mia appartenenza o meno alla ndrangheta, bensì che avvalorassi le loro ipotesi investigative contro l’agguerrita cosca iamonte. in poche parole, il mio contributo doveva essere nei termini che poi è stato quello di alcuni miei coimputati che hanno deciso di servire la causa di coloro che li avevano arrestati in assenza di qualsiasi indizio di colpevolezza, come i pentiti nucera e ierardo. bene, non mi dilungo, lei attaccando lo stato che non protegge i pentiti e i parenti dei pentiti, insinuando addirittura che siano degli assassini, fa un’ottima informazione. peccato soltanto che questa non sia a favore della ricerca della verità.
    sempre con la solita stima e un’abbondante aggiunta di simpatia,
    la saluto
    bartolo

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