E’ il 12 luglio quando ricevo attraverso l’avvocato Claudia Conidi che lo assiste, le risposte ad alcune domande che alcuni giorni prima, con una mossa per la quale nutrivo poche speranze, avevo inviato al pentito di ‘ndrangheta Antonio Di Dieco, recluso a Sulmona.
So che è uno delle migliaia di lettori calabresi attentissimi a quel che scrivo. Come accade del resto, per esempio, in quegli uffici giudiziari e investigativi che vedono accanto a persone degne anche traditori di quegli ideali di giustizia e Stato incarnati da persone come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per onorare i morti, o Roberto Scarpinato e Nino Di Matteo per restare ai vivi.
Di quel che vergo su questo blog o sul Sole-24 Ore è sempre informatissimo. Sa che non guardo in faccia a niente e nessuno può condizionare quel che scrivo. Non ho amici e non voglio averne, come spesso capita ai miei colleghi “giornalai”.
Motivi in più per provarci.
Ed infatti la redazione del Sole-24 Ore, stanza inviati, alle 14:34 riporta le risposte di Di Dieco attraverso l’ufficialità del suo avvocato.
LE RISPOSTE DI DI DIECO
Di Dieco – per chi lo avesse dimenticato – è quel pentito che per primo denunciò il complotto che Nino il “nano” Lo Giudice per conto dei Condello e del gotha mafioso reggino, aveva inscenato contro i pm antimafia Alberto Cisterna e Francesco Mollace rei di aver dato la caccia proprio al Supremo, catturato da Sismi e magistratura grazie forse anche alle soffiate dei Lo Giudice. Ma per questo rimando ai miei post in archivio del 28 e 29 giugno e del 4 luglio.
La prima domanda che ho sottoposto a Di Dieco attraverso il suo avvocato è la seguente:
“Perché dovrebbe essere credibile su quanto lei ha appreso a Rebibbia e Sulmona sui pm Cisterma & c? E dunque perché i magistrati dovrebbero credere che lei non ha niente da guadagnare?”
Ecco la risposta testuale: “Esimio dottor Galullo,
personalmente non mi sono mai posto il problema di poter essere “attendibile” o meno in merito alla vicenda Lo Giudice o meglio al cosiddetto complotto nazionale per come amava definirlo il medesimo nell’interloquire con il sottoscritto.
Non ho affanno né necessità di raccattare attendibilità e/o credibilità. Per onestà personale (non solo collaborativa) poichè la stessa, insieme alla mia dignità, mi accompagna da decenni.
Ho ritenuto notiziare il mio legale di fiducia in merito ad un complotto, per quanto di mia conoscenza, in merito a nomi, fatti, magistrati, avvocati e anche qualche giornalista calabrese.
Quello che è venuto fuori è solo la punta di un iceberg e che presto “colpirà ingiustamente” tante persone che per decenni hanno svolto il loro dovere, in onestà e legalità!!!
Mi sono chiesto non una volta ma 100 volte chi me l’ha fatto fare ad esporre quanto di mia conoscenza e nulla ho chiesto a nulla avrò da chiedere a nessuno tanto e tale è il rispetto che porto verso l’altrui persona, chiunque essa sia!!!
Io ho ritenuto di esplicitare quanto di mia conoscenza diretta, poiché il complotto è solo all’inizio, con la speranza di poter dare il mio modesto contributo al fine che l’onorabilità di tanti non venga lesa.
Personalmente bastano i diversi e non pochi articolo 8 delle legge 203/91 (riconoscimento di benefici di pena per essere un collaboratore attendibile ndr) conseguiti in diversi e complessi procedimenti penali, alcuni passati in giudicati, altri…ricorrenti in Cassazione.
E’ inutile quanto superfluo evidenziarvi, esimio dottor Galullo, che l’attestazione di attendibilità e credibilità, non l’hanno sentenziata i signori pm che proposero il programma di protezione (Dda di Catanzaro) ma i presidenti delle Corte di Assise e delle Corti di Assise di appello competenti per distretto giudiziario”.
ALTRE DUE DOMANDE
La seconda e la terza domanda erano le seguenti: “Quale pensa possa essere il fine ultimo di questa tragediata?”. “Crede che la cosca Condello sia in grado di influenzare gli equilibri nella provincia di Reggio e se sì con quali famiglie si divide la torta?”
Qui le risposte – cumulate – diventano criptiche e devono essere lette alla luce di codici che non mi appartengono e che, forse, appartengono al detto-non detto.
Ecco la riposta sintetizzata: “La mia famiglia d’origine, composta tutta da modesti professionisti mai si è invischiata in situazioni illecite e mai ha condiviso il mio percorso criminale iniziato nel ’91 e per quanto mi riguarda interrotto nel febbraio 2003 quando decisi di collaborare con l’autorità giudiziaria.
La mia famiglia, conosciuta e stimata per la sua onestà professionale non credo possa essere oggetto di ritorsioni se la ‘ndrangheta applicherà quei famosi “patti e prescrizioni” che determinano l’eliminazione fisica, a “circolo formato”, decisa presso il “Tribunale d’omertà” di soggetti che vivono di pane e ‘ndrangheta”.
Per ora mi fermo qui ma è meglio che non vi perdiate le notizie di domani su questo blog. Aggiungerò nuovi ed esclusivi elementi alla vicenda della cosca senza territorio Lo Giudice.
1 – to be continued
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