In Piemonte e in Liguria la ‘ndrangheta si fa classe dirigente (a partire dalla politica)

La ‘ndrangheta al Nord si sta facendo ormai classe dirigente. Non fa più solo affari: governa.

Dopo l’inchiesta del 13 luglio 2010 sull’asse Reggio Calabria-Milano, anche le ultime operazioni delle Procure di Torino e Genova, Minotauro, Maglio e Maglio 3* , lo testimoniano.

Le cosche sono disposte a forzare la mano pur di accelerare l’ingresso nelle stanze dei bottoni. I magistrati piemontesi, nell’inchiesta Maglio del 23 giugno, raccontano ad esempio la strana affiliazione del consigliere comunale di Alessandria Giuseppe Caridi, indagato per associazione mafiosa, arrestato e sospeso dal consiglio, che nega però ogni contatto con le cosche. “ Si tratta, come gli stessi ‘ndranghetisti riconoscono – si legge nell’ordinanza – di un’affiliazione non del tutto conforme alle regole del sodalizio ma, proprio per questo, particolarmente significativa della volontà dell’associazione non solo di estendere il proprio controllo alla politica ma anche di inserirvisi in prima persona, segno inequivocabile non solo della sua forza ma anche e soprattutto della debolezza delle istituzioni”.

L’inchiesta Maglio 3 del 28 giugno svela alcune dinamiche tra politica e cosche.

I pm riportano ad esempio un’intercettazione ambientale del 19 gennaio 2010 nel negozio di ortofrutta dell’indagato Domenico Gangemi, ritenuto dagli inquirenti il capo della ‘ndrangheta a Genova. Il colloquio intercettato conferma la dinamicità politica e l’interessamento dell’indagato alle consultazioni elettorali, nonché la ricerca di voti in favore di due politici verso i quali far confluire le preferenze. L’intercettazione mette in evidenza come il legame tra l’indagato e gli amministratori fosse fondato sulla potenzialità della comunità calabrese di incentivare, a favore di amministratori compiacenti, preferenze solo ed esclusivamente per tornaconti personali o dell’organizzazione mafiosa. “La forza elettorale della ndrangheta non potrà mai, soprattutto lontano dalla terra d’origine – spiegano bene i pm – imporsi ai candidati in quanto i numeri non glielo consentono, ma è il candidato di turno, a prescindere dall’appartenenza politica, che sceglie l’appoggio mafioso ponendone a disposizione i benefici che in primis godrà una volta eletto”.

Questa debolezza delle Istituzioni viene certificata nell’inchiesta Minotauro del 9 giugno, che ha ridisegnato anche la geografia dei locali di ‘ndrangheta in Piemonte, con 191 indagati. Le pressioni e le influenze sono in tutti i settori amministrativi: Asl, aziende di servizi pubblici, dirigenti e funzionari comunali e persino il Nucleo Carabinieri dell’Ispettorato del lavoro di Torino. Una vicenda in particolare, scrivono i pm, “è emblematica degli appoggi che la consorteria vanta con le Istituzioni a tutti i livelli: vi è dunque un apparato di controllo costante del territorio che consente ai membri della consorteria di sottrarsi alla legge e di mantenere di fatto il controllo sulle attività economiche, alterando l’ordinario sistema di mercato cui soggiacciono gli altri imprenditori”.

Una frase intercettata dalla Procura di Torino nell’inchiesta Minotauro rende l’idea di quanto ormai anche in Piemonte i voti calabresi pilotati dalle cosche possano influenzare le elezioni: “Facciamo quello che vogliamo, compare, facciamo quello che vogliamo”. Era la risposta a chi chiedeva se fosse possibile orientare i voti su un candidato piuttosto che su un altro nel Comune di Castellamonte (Torino). Chi disponeva del pacchetto di voti si disinteressava completamente dello schieramento di appartenenza dei candidati. L’importante era portare a casa il risultato.

Lo scopo è sempre lo stesso: acquisire direttamente o indirettamente la gestione o il controllo di attività economiche. In particolare nel settore edilizio, del movimento terra e delle attività commerciali. Acquisire, inoltre, appalti pubblici e privati.  Molto ruota intorno al ciclo del cemento, sulla cui scia ci sono facili arricchimenti, controllo del territorio, concorrenza sleale, corruzione negli uffici pubblici. Sono sempre gli inquirenti di Torino che riportano un episodio che vede protagonista il sindaco di Rivarolo Canavese (Torino), Fabrizio Bertot, che non è indagato. Il politico, che prenderà la parola nel corso di un incontro organizzato per presentarlo come candidato alle elezioni europee 2009 ad alcuni boss della ‘ndrangheta in Piemonte, si soffermerà con il suo discorso “in particolare sul proprio impegno nel campo dell’edilizia”. Questo è quanto annotano i pm, che svelano poi una vera e propria trattativa economica per accaparrarsi il voto dei calabresi.

* ANSA 9 NOVEMBRE 2012 Sono stati assolti i dieci calabresi imputati nel processo con rito abbreviato scaturito dall'inchiesta dei carabinieri del Ros sulle infiltrazioni delle 'ndrine calabresi in Liguria denominata Maglio 3. La sentenza e' stata pronunciata dal gup Silvia Carpanini. Appresa la notizia, i parenti degli imputati, che attendevano fuori dall'aula hanno applaudito a lungo.

Nella requisitoria di metà ottobre, i pubblici ministeri Vincenzo Scolastico e Alberto Lari avevano chiesto 12 anni di carcere per Onofrio Garcea, 10 anni e 8 mesi per Benito Pepé, 9 anni per Rocco Bruzzaniti, 8 anni per Fortunato e Francesco Barilaro, Michele Ciricosta e Antonio Romeo e 6 anni per Antonino Multari, Raffaele Battista e Lorenzo Nucera: secondo i magistrati, Bruzzaniti, Battista, Multari e Lorenzo Nucera avrebbero avuto il ruolo di “partecipi” dell’associazione, mentre gli altri sarebbero stati “promotori”.

Secolo XIX Genova 10 novembre – «Le sentenze non si commentano, se non si è d’accordo si appellano, personalmente ho vissuto un’esperienza simile nel 1996 quando in primo grado sono stati assolti tutti i clan siciliani dal 416 bis poi il tutto è stato capovolto dalla Corte d’appello, e confermato in Cassazione». Così ha detto la vice presidente dell’Anm Anna Canepa la sentenza del gup di Genova

 

 

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  • Flavio Volpe |

    Buongiorno,
    potrebbe descrivere le anomalie relative all’affiliazione di Caridi?
    Se ho ben compreso è inusuale che un affiliato di basso livello (come imputato a Caridi) abbia un ruolo politico.

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