ESCLUSIVO/ La lettera del pentito Di Dieco: “Non chiedo nulla per me e temo la vendetta di Condello”

“Non chiedo nulla, l’importante è che tu comunichi tutto ciò, in tempi brevi alla Dna e che i burattinai non colpiscano me, altrimenti non mi muovo”.

Inizio questo articolo riportando la frase chiave della lettera che il collaboratore di giustizia Antonio Di Dieco ha spedito al suo avvocato, Claudia Conidi, il 25 maggio.

Una lettera che l’avvocato farà leggere, qualche giorno dopo, ai pm della Direzione nazionale antimafia Roberto Pennisi e Alberto Cisterna. Un passo che sarà poi seguito dalla lettera – spedita al fax personale in Dna di Cisterna – in cui lo stesso Di Dieco arricchisce di contenuti la sua voglia di raccontare quel che sa.

Faccio, dunque, anche io il nome di Di Dieco.

Sapete che nei giorni scorsi ho messo in linea su questo umile e umido blog due approfonditi articoli che davano conto di una importante novità: tra fine maggio e fine giugno un pentito cosentino aveva prima fatto contattare la Procura nazionale antimafia e poi aveva fatto depositare un esposto-denuncia alla Procura di Roma.

Lo scopo: essere ascoltato dai magistrati al più presto per denunciare il complotto contro Alberto Cisterna, Francesco Mollace e altri pm antimafia, che aveva appreso nel carcere romano di Rebibbia e in quello di Sulmona (rimando ai post del 28 e 29 giugno in archivio).

Tutti accusati – in primis Cisterna – di essere corrotti e corruttibili, dal “nano Nino” Lo Giudice che, a parte il ritrovamento dei Bronzi di Riace e i moti di Reggio, dopo un miracoloso pentimento, si è autoaccusato di ogni azione criminosa avvenuta a Reggio Calabria e provincia negli ultimi… 50 anni.

Per la stragrande parte dei fatti criminosi non era ancora nato o era poppante ma comunque questi sono dettagli di poco conto. Pinzillacchere, direbbe Totò.

Un nome di fronte al quale a Reggio – mi dicono – alcuni quaquaraqua hanno reagito dicendo: “ma non esiste nessun nuovo pentito che vuole smascherare i Lo Giudice. Galullo vaneggia”. Eccoli serviti.

Avevo scelto di non fare il nome del pentito – pur conoscendolo ovviamente – per due motivi:

1)     mi interessava solo ed esclusivamente portare altri elementi di conoscenza alla sceneggiata che vede protagonista Nino Lo Giudice, il pentito “a lento rilascio” che abbondantemente dopo i 180 giorni che per legge spettano ai pentiti, aveva tirato in ballo la corruttibilità di alcuni magistrati. Dopo aver detto – attenzione attenzione – tutto e il contrario di tutto a ruota libera e senza incontrare ostacoli.

Un pentito a “graduale rilascio” sputtanato dal fratello Maurizio che aveva addirittura pubblicato sul profilo facebook riconducibile al Procuratore nazionale Piero Grasso alcuni documenti e aveva scritto che i congiunti non avrebbero pagato neppure i pannolini ar pupo, figuriamoci se potevano corrompere magistrati per agevolarlo.

Ecco dunque che ora un altro pentito, Di Dieco, è pronto a incontrare i magistrati, per far saltare per aria (ovviamente secondo la sua verità, che, si badi bene, non è la verità perchè quella va appurata in un aula di Tribunale) la tragediata ordita da Pasquale Condello, con il benestare delle cosche Libri e De Stefano (altrimenti, se la cupola non decide, a Reggio non si muove nulla).

Luciano e Nino Lo Giudice avrebbero contibuito a portare Cisterna, Vincenzo Macrì, Mollace e Sismi a catturare (anche) il Supremo (vero? falso?). E il Supremo ci avrebbe messo due “Nino-nano-secondi” a sapere tutto, a cattura avvenuta. La cosca Condello avrebbe avuto mano libera: la protezione della Giustizia sulla quale la famiglia Lo Giudice credeva di contare non poteva esserci.

Ergo, hai un solo modo per salvare te, la tua famiglia e i tuoi affari, caro “nano Nino”: monda tutti i tuoi peccati passati, presenti e futuri. Accollati oltre agli attentati contro mezza magistratura calabrese magari anche la compravendita di Bonazzoli alla Reggina e in cambio del grande caos, noi, la matassa politico-massonico-mafiosa, continueremo a fare il cazzo che vogliamo a Reggio e in provincia. Una tragediata così quando ci ricapita: carte truccate, Procure spaccate e uffici giudiziari alla larga dalla matassa. Un culo spaziale! Il vecchio Condello ha fatto suo il motto di Mao Ze Dong: «Grande è il caos sotto il cielo, la situazione è dunque eccellente».

2)      Il secondo motivo per il quale non avevo fatto il nome di Di Dieco era perché avevo scommesso con me stesso che quel nome sarebbe uscito sui giornali locali. Sapevo che i colleghi calabresi – che i giorni in cui avevo pubblicato il piccolo “scoop” avevano volontariamente ignorato i miei articoli pur ripresi dall’Ansa – si sarebbero buttati a pesce e avrebbero fatto di tutto per farlo uscire quel nome. Nome uscito, statene certi, da qualche ufficio giudiziario.

Bene. A questo punto ripeto quel che vado scrivendo da tempo, quasi fosse un disco rotto: si continua a guardare il dito, il “nano Nino” ma non la luna, il grande burattinaio che, state certi anche di questo, senza la benevolenza di pezzi deviati dello Stato che a Reggio sono da sempre di casa, non si sarebbero permessi tutto ‘sto casino.

LA LETTERA

E ora torniamo alla lettera del 25maggio. Due sono le cose che Di Dieco scrive:

1) in cambio delle confidenze che ha raccolto da Nino Lo Giudice e Consolato Villani non chiede nulla;

2) teme che i burattinai (cioè la cosca Condello) possano colpire lui (o la sua famiglia). E’ per questo che chiederà, nei giorni che seguiranno, di essere ascoltato al più presto dalle Procure.

Qui si inserisce – come ho accennato nel post del 28 giugno – la valutazione sull’attendibilità del pentito Di Dieco che è imputato nel processo Santa Tecla ma che, contemporaneamente, è ritenuto pentito attendibilissimo al punto che il 7 luglio sarà chiamato a testimoniare in videoconferenza dal carcere di Sulmona nel processo Arca che si sta celebrando a Palmi.

CHI E’ DI DIECO

Di Dieco, dunque, doctor Jekill o Mister Hyde?

Il pentito di Castrovillari attualmente ha un regime di protezione sospeso. Perché?

La storia, a dir poco, è complicata. Ri
assumiamola ai minimi termini: avrebbe pagato tal Cosimo Scaglione in cambio di una testimonianza a lui favorevole nel processo sulla cosiddetta “strage di Strongoli” il cui esito processuale ha sortito in appello la condanna di Di Dieco a 16 anni ma con il riconoscimento premiale dell’articolo 8 legge 203/91. Ma proprio a causa delle accuse di Scaglione – che Di Dieco sostiene essere stato un ricatto per carpire il silenzio su fatti pregressi riguardanti la sua famiglia, al punto che ha a sua volta denunciato Scaglione -  la Commissione centrale del Viminale gli ha sospeso il servizio di protezione.

La decisione è stata impugnata dinanzi al Tar del Lazio ed è ancora sub iudice (l’udienza si è svolta il 9 giugno 2011 ma la riserva non è stata ancora sciolta).

Insomma: un bordello.

A Di Dieco viene riconosciuto un premio in sentenza perché ritenuto collaboratore attendibile ma al tempo stesso, con la stessa sentenza, gli si sospende la protezione. Ergo: è affidabile ma inaffidabile. Anzi: di nuovo affidabile, visto che viene in questo momento utilizzato in giudizio in processi di competenza delle Dda di Reggio Calabria e Catanzaro.

Tra pochi giorni – il 7 luglio – ci sarà la cartina di tornasole. Nel processo Arca le parole di Di Dieco peseranno come macigni e credo che proprio nessuno vorrà fare a meno della sua collaborazione. Così come credo che a nessuno passerà per la capa di non ascoltarlo al più presto sui suoi incontri con il “nano-Nino” e con l’inconsolabile Consolato Villani.

r.galullo@ilsole24ore.com

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